2013 (sabato 9 febbraio): Catechesi e nuovi mass media

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Cronaca dell’intervento di Mons. Pompili, sottosegretario della CEI e direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della CEI.
 
La partenza della relazione è stata lo spot realizzato per il primo miliardo di utenti di FB: siamo dunque già in argomento; tale video subito provoca la sala per le metafore che contiene e che esprimono i significati della rete per i giovani : da una parte il desiderio di relazione e dall’altra la domanda d’infinito e di “ulteriorità”. Facebook è presentato come luogo “fatto per le persone”, luogo proprio in cui incontrarsi, ma anche luogo dove si possono condividere domande più grandi, affacciarsi, come da una porta, sull’oltre. La” metafora” prima di questo spot, “la sedia”, è, non uno strumento per sedersi, ma una forma che consente vicinanza; a partire da ciò l’intervento di Mons. Pompili, si snoda in tre parti : il contesto digitale, con i rischi e le opportunità; il cambiamento della formazione in tale contesto; il ruolo del catechista, che non deve tanto trasmettere un sapere, ma favorire un incontro.
 Il contesto digitale del nostro tempo, che interpretiamo ascoltando l’ambiente e la cultura, ci mostra una realtà nella quale possiamo dire di non usare più “strumenti” per comunicare, ma di abitare un ambiente misto in cui sono spariti i confini tra i media e così i confini tra i media e l’ambiente e in cui esiste un “perpetual contact”, ossia un essere perennemente connessi, pena la “sindrome da arto mancante”.
 Per i giovani l’ambiente FB ha assunto diffusione enorme e gli adulti, davanti ad essa, si sentono estranei, poichè poco conoscono di queste pratiche giovanili, pertanto le avvertono come fortemente rischiose, ma ne sono nello stesso tempo affascinati: questo “pregiudizio dualista” si esprime bene con la “metafora della torta”. Essa manifesta molto bene l’ambivalente sentimento degli adulti verso i social media : da una parte attirano , sono piacevoli, dall’altra sono dannosi e “fanno male” perché impediscono di nutrirsi di “sostanze più sane”. Questa prospettiva dualistica, continua il relatore, è sbagliata, e carica di negatività un ambiente che ha invece alte potenzialità e, assieme all’individualismo, al nichilismo fa parte di un’unica svolta culturale del nostro tempo che vede, proprio nell’individualismo, la “madre di tutte le crisi”, come ha sottolineato il Cardinal Bagnasco più volte. In questa realtà culturale il “sapere religioso è stato combattuto fino a lasciare il posto a un analfabetismo religioso diffuso”.
In questo panorama si trova a dover operare la catechesi.
 Anche se i giovani, oggi, più che dall’individualismo, sono attratti da forme “iperelazionali”, hanno una “sensibilità integrale” che li porta a considerare “tutto l’uomo e tutti gli uomini”, e “vogliono immergersi nelle cose da realizzare”.
Tutto questo fa ripensare completamente il processo educativo in chiave “di maggiore reciprocità”, per cui il vero educatore è chi sa lasciarsi educare, ascoltando prima di tutto il contesto; il sapere non è più deposito, ma sapienza viva, e la formazione non è trasmissione ma un “lavoro” nel quale si impara facendo. Ma, sottolinea il relatore, citando il nostro Cardinale, “non è il nostro fare più o meno esasperato che compie il miracolo della fede, ma consentire il fare del Signore”; per questo è necessario cercare i modi di una nuova “devotio”, partendo dalla valorizzazione della liturgia, usando il linguaggio della narrazione e quello dell’arte (pittura, scultura, teatro, ecc.). Per questo Benedetto XVI° si esprime così :” la capacità di usare nuovi linguaggi è richiesta non tanto per essere al passo con i tempi, ma proprio per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare forme di espressione in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti.”
 E così Mons. Pompili passa all’ultima “metafora” quella della “porta”: è un terzo modo di vedere la rete che allude ad una dimensione ulteriore, a un “fuori della rete cui poter guardare per vivere meglio anche dentro, se la porta viene lasciata aperta. E il catechista può essere il “medium”, il “custode” che si preoccupa che le porte siano sempre aperte perché tutti si sentano accolti ed invitati ad entrare. Siamo così giunti alla terza ed ultima parte della corposa relazione, parte che riguarda più specificatamente la “figura del catechista”, che è colui “ che introduce un cambiamento, dove il cambiamento è la conversione operata in noi dalla Buona Notizia e dall’incontro che ciascuno può realizzare con Cristo.” Il mediatore perfetto, a cui il catechista deve ispirarsi, è Gesù; e il catechista, magari su Facebook, può mettere in connessione col “profilo di Gesù”, aiutare a diventare suoi “amici”, un’amicizia che genera libertà e forza. Dunque il catechista come colui che costruisce il rapporto con Dio anche attraverso la liturgia, vissuta e fatta vivere nel suo più alto valore simbolico; la nostra età ha distrutto il valore dei simboli e l’alterità che essi portano con sé : riscoprire il simbolo e la dimensione simbolica delle nostre vite è ciò che il catechista può e deve fare. Infine il catechista deve aiutare a superare il dualismo che il nostro tempo vive come forma di pensiero : non anima contro corpo, non vita eterna e vita su questa terra, ma, fondandosi sull’incarnazione, mostrare la pienezza a cui siamo stati chiamati che si realizza già su questa terra.
Mons. Pompili conclude sottolineando come, fermo restando che il tecnologico, non produce l’antropologico, ma è la fede vissuta nella carità o la carità illuminata dalla fede che consentono all’uomo di realizzare la sua pienezza e trovare risposte, mediatore e messaggio, linguaggi e contenuti non sono uno strumentale all’altro, ma sono un’unità inscindibile e il catechista, al di là di ogni nuovo media, è la persona della relazione e nessun annuncio passa fuori dalla relazione.