Un cammino ha bisogno di macinare chilometri e di soste in cui ritrovarsi, per riposare e parlarsi, ha bisogno di concretezza e di simboli. Il Cammino sinodale della chiesa e della città di Genova ha raggiunto in 8 mesi più di 10.000 persone, ha messo insieme più di 850 incontri, coinvolto oltre 300 referenti coordinati da una équipe di 14 persone. E sabato 28 maggio ha fatto una sosta, non la prima (c’erano già state le assemblee del 16 ottobre 2021 e del 12 marzo 2022) ma sicuramente la più rilevante, perché ha restituito dati e contenuti del lungo lavoro e lo ha fatto cercando nuovi linguaggi, una delle richieste più ricorrenti tra le persone e gli ambienti ascoltati lungo il percorso. Quello vissuto da circa 450 persone sotto il tendone di Piazza delle Feste nell’Area Porto Antico di Genova è stato simbolo e “prova tenica” di un modo nuovo di essere chiesa, come sempre chiamata ad ascoltare lo Spirito e a rinnovarsi alla fonte del Vangelo, cogliendo il qui e ora del popolo di Dio e di quanti vi entrano in relazione. Una “chiesa in uscita”, come ha scritto la settimana scorsa su queste colonne don Gianni Grondona, vicario episcopale alla sinodalità, che “sappia passare dalla ‘chiesa edificio ‘- magari splendido e solido ma pesante e chiuso – alla realtà di una ‘chiesa tenda’ capace di accogliere senza rinchiudere, di alleggerirsi nella sua struttura per potersi muovere agilmente ed incrociare il cammino di tutti, di essere luogo dove sperimentare relazioni autentiche di amicizia e fraternità.” Forse il segno più evidente di questa attesa di novità, largamente rilevata negli incontri di questi mesi, sono i ripetuti applausi che i partecipanti riservano ai punti di debolezza più che a quelli di forza della chiesa e delle sue espressioni – parrocchie, sacerdoti, laici, consacrate e consacrati, realtà ecclesiali, gruppi, movimenti. Applausi che assomigliano ad un sollievo: sentirsi ascoltati e rappresentati in ciò che sembrava difficile da dire o che non valeva la pena dire, perché tanto non cambia niente. Un momento di festa, seppure riuscito come quello del 28 Maggio, non è garanzia di cambiamento ma vedersi rappresentati senza edulcoranti sorprende visibilmente la maggior parte dei presenti.
“NON ABBIAMO NULLA DA DIFENDERE!”
Lo dice con chiarezza l’Arcivescovo p. Marco Tasca e, per farsi intendere, spiazza la platea: “Per spiegarmi, vorrei citare due canzoni di Franco Battiato. La prima è ‘E ti vengo a cercare’. Ci sono alcune parole che mi colpiscono molto. Dice: ‘E ti vengo a cercare, anche solo per vederti o parlare. Perché ho bisogno della tua presenza. E ti vengo a cercare con la scusa di doverti parlare, perché mi piace ciò che pensi e che dici, perché in te vedo le mie radici.’ Non c’è scritto: ti vengo a cercare perché mi convinci, perché è filosoficamente tutto corretto, teologicamente tutto perfetto, no! È scritto: perché mi piace! ‘E ti vengo a cercare perché sto bene con te, perché ho bisogno della tua presenza.’ Pensate se il nostro annuncio fosse proprio questo: ho bisogno della tua presenza Signore, mi piace Gesù ciò che dici e che pensi, mi piace Gesù perché sto bene con te, perché ho bisogno della tua presenza, perché mi piace come vivi!’. È questo l’elemento fondamentale del nostro annuncio, pensate quanto è bello questo annuncio. Capite? Non abbiamo niente da difendere!”
TROVARE L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE
“L’altra canzone di Battiato che vorrei citarvi stamattina è ‘Prospettiva Nevski’ – ha proseguito p. Marco – e in particolare l’ultimo verso: ‘E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire’. Vedete, mi arrabbio sempre un po’ quando mi dicono, nelle parrocchie e negli incontri: eh caro vescovo, siamo pochi, siamo vecchi, siamo finiti… No! Basta! Abbiamo già dato! Sarà anche vero, ma la vera domanda è: siamo capaci di trovare l’alba dentro l’imbrunire? Tutti possiamo vedere il cielo imbrunire, l’imbrunire arriva, ma io so trovare l’alba dentro l’imbrunire? Questa è la grande sfida del nostro cammino sinodale, trovare l’alba e l’alba c’è! Non bisogna piangersi addosso, non cediamo al pessimismo! Come facciamo noi cristiani che crediamo in Gesù morto e risorto, che crediamo alla vita, a cedere al pessimismo? I tempi passati non erano migliori di quelli attuali, c’erano più vocazioni sì, ma una partecipazione molto meno consapevole, in molti paesini delle nostre campagne le donne entravo in chiesa per la messa e gli uomini aspettavano al bar! Erano davvero tempi migliori? La corresponsabilità che cerchiamo oggi significa riscoprire la nostra vocazione battesimale! Questo dobbiamo fare: riscoprire questa corresponsabilità e camminare insieme! Ecco il cammino sinodale!”.
News completa su Il Cittadino del 5 giugno 2022