La Beata Maria Repetto nacque a Voltaggio (Alessandria) il 31 ottobre 1807, dal notaio Giovanni Battista e da Teresa Gazzale. Battezzata lo stesso giorno, s’incamminò di buon’ora sulla via della santità e e la percorse tutta intera, senza soste, senza rallentamenti, sempre ilare e serena, sempre decisamente orientata verso il cielo.
Essendo la prima di 11 figli, aiutò la mamma nelle faccende domestiche, pronta nell’ubbidienza, illibata nei costumi, assidua nella preghiera, generosa verso i bisognosi. Dava quanto aveva: i suoi risparmi, le sue robe, dava specialmente se stessa, facendosi la serva di tutti per portare tutti a Dio. Di famiglia signorile, rassettava le case dei contadini, rammendava le loro vesti, assisteva i loro infermi, prodigandosi perfino di notte. Così fino a 22 anni, quando fu libera di seguire la voce di Dio che la voleva sì al servizio dei poveri, ma in una dimensione di vita consacrata. A tal fine, il 7 maggio 1829, disse addio al mondo ed entrò, come postulante, tra le suore genovesi di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario, dette popolarmente Brignoline. Il primo nome deriva dalla località cittadina dove la Serva di Dio Virginia Centurione Bracelli (1587-1651) fondò il suo Istituto; il secondo, dal patrizio genovese Emanuele Brignole (1617-1678), il più munifico dei suoi protettori. L’Istituto, oggi fiorente Congregazione religiosa diffusa in molte parti del mondo, col suo fine specifico di servire i poveri, era il più adatto a soddisfare le aspirazioni della Beata, che vi fu ammessa, dopo due anni di prova, il 15 agosto 1831. Qualche anno prima, vi era stata ammessa anche la sorella minore Giuseppina, che trasferita poi a Roma, morì vittima di carità, assistendo i colerosi. Altre due sorelle abbracciarono due diversi Istituti religiosi, mentre l’ultima, rimasta nel mondo, morì sotto una tormenta di neve nel recare il suo aiuto ad una piccola parrocchia sperduta tra i monti. L’unico fratello, consacrato sacerdote, morì ancor giovane con fama di santità. Ecco i frutti di un’educazione veramente cristiana!
La nostra Beata, che aspirava ad una vita claustrale, trascorsi i primi anni di religione nel laboratorio come rammendatrice e ricamatrice in una continua elevazione di preghiere, fecondate dal sacrificio; ma quanto, nel 1835 e nel 1854, la città cadde in preda ad una furiosa epidemia di colera, ella, incurante del pericolo, memore delle 53 consorelle che nella peste nel 1656 si erano immolate nell’assistenza agli infermi, corse intrepida al capezzale dei morenti, scivolando con moto perpetuo tra i letti, aiutando, confortando, schiudendo lembi di cielo. Cessato il lungo flagello, dopo mesi e mesi di dedizione completa, se ne tornò silenziosa in convento come chi non ha fatto nulla. Solo il suo dovere. Chiese di ripresentarsi sulla breccia per le stesse pubbliche calamità nel 1866 e nel 1873; perfino nel 188, all’età di 77 anni, ma non le fu concesso. La carità non fa strepito e non sappiamo che cosa Suor Maria abbia fatto in quei giorni. Ma lo possiamo arguire dal fatto che, già dopo la prima apparizione del 1835, la voce popolare cominciò a chiamarla la “Monaca Santa”. Si era distinta tra decine e decine di Consorelle, più abili di lei come infermiere e più appariscenti di lei, che era sì piccola da farsi paragonare a un “rattin”, un topolino. La fama di santità andò crescendo di giorno in giorno quando ella assunse l’ufficio di portinaia, che la mise a contatto continuo con un pubblico bisognoso spesso di pane e più spesso di luce soprannaturale. Ai primi ella dava l’obolo della carità e nessuno, ci dicono i biografi, partì da lei senza un aiuto. Quando ne era sprovvista, sapeva chiedere agli altri, donando con una mano ciò che riceveva con l’altra. Ai secondi, desiderosi di conforto, ella sapeva riversare i frutti delle sue elevazioni spirituali, penetrando le coscienze, dando suggerimenti e consigli, svelando i segreti di Dio. Ma gli infermi li affidava a colui che confidenzialmente chiamava il suo “fattore” presso Dio: San Giuseppe. E la sua fiducia non andò mai delusa. Questa carica inesauribile di vita interiore, congiunta con la fama dei miracoli, trasfigurava ogni passo, ogni gesto, ogni parola della nostra piccola gracile suora, determinando un afflusso sempre maggiore di poveri e di infelici alla sua portineria. Tutti volevano vederla, ascoltarla, avere qualche cosa da lei; magari una parola. Ed ella, ci dice un teste: “Avrebbe dato perfino se stessa per sollevare i poveri”. E un altro: “Correva per tutti e sorrideva”. Sorrideva con quel suo sorriso semplice e buono che illuminava la sua faccia “che pareva imparadisata”, come afferma un altro teste. In quel sorriso c’era la purezza verginale del suo cuore che vedeva Dio e si slanciava verso di Lui con la gioia filiale di una bambina. E in Lui risolveva ogni problema, perché nulla gli è impossibile. Ed agiva così come credeva, riversando spontaneamente sugli altri la luce di Dio. Perciò fu chiamata la “Monaca Santa”. E il giudizio del popolo verrà ratificato successivamente dal supremo magistero della Chiesa. Volò in cielo il 5 gennaio 1890 e la sua morte fu l’inizio della sua epifania nel mondo: tante sono le grazie che si attribuiscono alla sua intercessione.
Fu dichiarata eroica nelle virtù il 4 luglio 1968; beatificata dal Pontefice Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1981.
Da: Cappella Papale del 4 ottobre 1981,
a cura dell’Ufficio per le Cerimonie Pontificie