Parlare con franchezza – la “parresia” evangelica – e ascoltare con umiltà. È racchiuso nei due estremi di questo binomio il senso della terza Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia. A raccomandarlo ai partecipanti come “cifra” dello stile sinodale è stato Papa Francesco, aprendo la prima Congregazione generale. Una panoramica, a 360° gradi, sullo “stato di salute” della famiglia è stata offerta dal cardinale Péter Erdő, relatore generale. Per la prima volta, la “Relatio ante disceptationem” ha incluso già gli interventi scritti dei padri sinodali, inviati alla segreteria generale del Sinodo prima dei lavori. Prima prova pratica di collegialità, tema questo che sta molto a cuore al Papa, ha assicurato monsignor Bruno Forte, relatore speciale, durante la prima conferenza stampa sui lavori. Perché il Sinodo non è un Parlamento, ha puntualizzato il cardinale André Vingt-Trois, presidente delegato di turno: non cerca la maggioranza ma il confronto fraterno per far progredire la Chiesa. Vivere insieme senza matrimonio: è una delle tendenze più in voga oggi in materia di famiglia, ha denunciato il card. Erdő. Oggi “molti percepiscono la loro vita non come un progetto, ma come una serie di momenti nei quali il valore supremo è di sentirsi bene, di stare bene”, e così “ogni impegno stabile sembra temibile, l’avvenire appare come una minaccia”. Nonostante questo la famiglia “non è un modello fuori corso”, anche se incontra “molte difficoltà”: “Non viene messa in questione la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio in quanto tale, essa è anzi incontestata e nella maggior parte osservata anche nella prassi pastorale della Chiesa con le persone che hanno fallito nel loro matrimonio e che cercano un nuovo inizio”.
Nessun “catastrofismo”, né “abdicazione”: c’è “un patrimonio di fede chiaro e ampiamente condiviso, dal quale l’Assemblea sinodale può partire, di cui si dovrebbero rendere più universalmente consapevoli i fedeli attraverso una più profonda catechesi sul matrimonio e la famiglia”, in grado di guardare “al di là della cerchia dei cattolici praticanti”. Il cardinale parla di vere e proprie “strutture di peccato” e di “un processo di stravolgimento che mette in questione la tradizionale cultura familiare e spesso la distrugge”. D’altra parte, “la famiglia è quasi l’ultima realtà umana accogliente in un mondo determinato pressoché esclusivamente dalla finanza e dalla tecnologia. Una nuova cultura della famiglia può essere il punto di partenza per una rinnovata civiltà umana”.
“La misericordia non toglie gli impegni che nascono dalle esigenze del vincolo matrimoniale”. Anche nelle “situazioni matrimoniali difficili”, questi impegni “continuano a sussistere anche quando l’amore umano si è affievolito o è cessato”. La “vera urgenza pastorale”, allora, “è permettere a queste persone di curare le ferite, di guarire e di riprendere a camminare insieme a tutta la comunità ecclesiale”. Come? Attraverso una “rinnovata e adeguata azione di pastorale familiare”, che sappia “sostenere i coniugi nel loro impegno di fedeltà reciproca e di dedizione ai figli, riflettere sul modo migliore di accompagnare le persone” in difficoltà, “in modo che non si sentano escluse dalla vita della Chiesa”, e “individuare forme e linguaggi adeguati per annunciare che tutti sono e restano figli e sono amati da Dio Padre e dalla Chiesa madre”. Non serve la “pastorale fai-da-te”.
“Quello dei divorziati risposati civilmente è solo un problema nel grande numero di sfide pastorali oggi acutamente avvertite”. Parole chiare, quelle del relatore generale, secondo il quale “sarebbe fuorviante il concentrarsi solo sulla questione della recezione dei sacramenti”. “Bisogna tener conto della differenza tra chi colpevolmente ha rotto un matrimonio e chi è stato abbandonato”: i divorziati risposati civilmente “appartengono alla Chiesa, hanno bisogno e hanno il diritto di essere accompagnati dai loro pastori”. Di qui la proposta di “avere almeno in ogni Chiesa particolare un sacerdote, debitamente preparato, che possa previamente e gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio”.
“Non sembra azzardato ritenere che non pochi dei matrimoni celebrati in Chiesa possano risultare non validi”. Il card. Erdő ha messo l’accento sulla questione della nullità dei matrimoni, affrontata in più punti della sua relazione. La proposta del cardinale è di “rivedere, in primo luogo, l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme per la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale, procedendo al secondo grado solo se c’è l’appello da una o da entrambe le parti”. Da “esaminare più approfonditamente” la prassi di alcune Chiese ortodosse, che “prevede la possibilità di seconde nozze e terze connotate da un carattere penitenziale”.
“Dietro le tragedie familiari c’è molto spesso una disperata solitudine, un grido di sofferenza che nessuno ha saputo scorgere”. “Perché si possa veramente accogliere la vita nella famiglia e averne cura sempre, dal concepimento fino alla morte naturale, è necessario ritrovare il senso di una solidarietà diffusa e concreta”, ha detto il cardinale, esortando ad “attivare a livello istituzionale le condizioni che rendano possibile questa cura facendo cogliere la nascita di un bambino, così come l’assistenza a un anziano, quale bene sociale da tutelare e favorire”. In primo piano anche l’accoglienza e la difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale: rivisitando anche, in positivo, il messaggio della “Humane Vitae”.
M. Michela Nicolais
(agenzia SIR)