In Cattedrale il direttore di Famiglia Cristiana ha presentato la figura del Beato Don Giacomo Alberione, fondatore dei Paolini, nel 50° dalla morte
“Umile, silenzioso, instancabile, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all’opera, sempre intento a scrutare i segni dei tempi”: così Papa Paolo VI parlava di Don Giacomo Alberione.
Proprio nel Cinquantesimo dalla morte del fondatore dei Paolini, avvenuta il 26 novembre del 1971, si è tenuto un incontro giovedì 2 dicembre in San Lorenzo con Don Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana. L’incontro è stato introdotto dall’Arcivescovo di Genova padre Marco Tasca che ha letto la preghiera di invocazione al Beato Alberione.
Ma chi era e qual è stato il grande carisma di quest’uomo che ha fondato la famiglia paolina? Ne ha parlato in modo illuminante Don Antonio Rizzolo, partendo proprio dal fatto che tutti conoscono Famiglia cristiana come settimanale, tanti conoscono alcune delle congregazioni e istituti paolini, ma in realtà pochi sanno di Giacomo Alberione. Don Rizzolo, rifacendosi al libro di Rosario Carello “Il padre del futuro. Don Alberione e la sfida del cambiamento” ha fatto sue le parole dello scrittore: “Come è possibile che il fondatore di una famiglia spirituale così grande e soprattutto così esposta nel campo dei media, sia al contempo così sconosciuta?”
Qui ricordiamo alcuni momenti salienti della vita di Giacomo Alberione: era nato il 4 aprile del 1884 a San Lorenzo di Fossano (Cuneo), quarto di sei figli di una famiglia di contadini profondamente radicata nella fede cristiana. Molto presto sente la chiamata del Signore, tanto che nelle elementari alla domanda della maestra “cosa farai da grande” risponde con sicurezza “il prete!”. Racconterà poi che i compagni lo presero in giro, ma lui non se ne sentì minimamente scalfito. La famiglia si trasferisce poi nel comune di Cherasco, nella diocesi di Alba, nella parrocchia di S. Martino; il parroco, don Montersino aiuta il giovane Giacomo nella strada verso il sacerdozio. La notte del 31 dicembre 1900 è per lui un momento di illuminazione che spiegherà tutta la sua attività a venire. Viene ordinato sacerdote nel 1907; facendo esperienza di sacerdozio e di padre spirituale per i giovani seminaristi, Don Giacomo matura la convinzione che sia necessaria creare una congregazione che sappia utilizzare gli strumenti di comunicazione per diffondere più efficacemente, in una società che sta cambiando profondamente, la parola di Dio. Ecco che nel 1914 fonda ad Alba la Società San Paolo, che diverrà la Famiglia Paolina. Nel 1915 nasce la Pia Società delle Figlie di San Paolo, a cui seguiranno Congregazioni e Istituti, fino a “Gesù sacerdote” (i sacerdoti diocesani), che arricchiranno la Famiglia Paolina, dedita all’evangelizzazione attraverso, soprattutto, i mezzi di comunicazione. Don Alberione, che da ragazzo aveva anche lavorato in tipografia fa sì che nasca nel 1921 “La Domenica”, nel ’24 “Il giornalino”, nel ’31 è la volta di “Famiglia cristiana”. A due anni dall’Enciclica “Vigilanti Cura” di PioXI, Don Alberione fonda la Romana Editrice Film. La REF diventerà poi la San Paolo Film, punto di riferimento per i cinema parrocchiali, contribuendo nel tempo a diffondere la migliore cinematografia internazionale.
Insomma, si concretizza la chiamata che aveva profondamente sentito in quella notte del 1900, divenendo instancabile lavoratore nello spirito della missione evangelizzatrice di San Paolo.
Don Rizzolo ha spiegato che leggendo il libro scritto in terza persona da Don Alberione nel 1953, “Abundantes divitiae gratia sua”, si comprende l’influenza dell’Apostolo delle genti sul suo pensiero: “Rinnova il dono che hai ricevuto!”. In Don Alberione tutto rimanda alla figura di San Paolo: solo così si chiarisce la grandissima intuizione che i media possano diventare un potente veicolo per il messaggio evangelico.
Don Rizzolo ha fatto notare che oggi i social media hanno tolto la barriera tra chi comunica e chi riceve il messaggio: tutti noi anche solo con un ‘post’ o con un ‘like’ siamo comunicatori. E viene da chiedersi che cosa divulghiamo. Possiamo essere divulgatori di odio e violenza, oppure siamo testimoni del Vangelo. Don Alberione ha scelto di essere solo un servitore di Cristo, nella Chiesa, tra gli uomini e le donne del suo tempo, non ha avuto alcun desiderio di emergere. “Qui – ha detto Don Rizzolo – risiede il motivo per cui la figura di Don Alberione è rimasta sconosciuta ai più. E’ stato un esempio di umiltà, un dato non trascurabile in un’epoca in cui domina il narcisismo, dove per apparire si è disposti a fare carte false, fino a calpestare la dignità delle persone. Comunque, come il fondatore, noi paolini e paoline dobbiamo considerare realmente S. Paolo come il nostro fondatore e maestro esemplare”. Il direttore di Famiglia cristiana sostiene che conoscere, riflettere e amare un po’ di più l’Apostolo delle genti, accostarsi in modo continuo alle sue lettere è fondamentale per conoscere la missione stessa dei paolini, ma anche per essere tutti noi cristiani testimoni della fede in Gesù. San Paolo è un innamorato di Cristo e ha citato il cap. 11, 16-30 della 2° lettera ai Corinti, in cui S. Paolo “apre il proprio cuore” e in cui afferma che “se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza”.
“Un punto di arrivo e punto di partenza – ha affermato ancora Don Rizzolo citando Don Alberione – è la Lettera di S. Paolo ai Galati Cap. 2 19-20: in cui si legge ‘Sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io, ma Cristo vive in me’. Dunque l’amore di Gesù Cristo che è stato crocifisso, che ha consegnato se stesso per noi, è la sorgente di tutto. E’ la consapevolezza di essere amati da Cristo, di aver gratuitamente ricevuto la salvezza senza nessun merito. Questa è la radice vera della vita cristiana e da lì nasce la spinta all’apostolato di Don Alberione, il quale non dimentica mai le parole del Vangelo ‘Io sono la via, la verità e la vita’”.
“Tutti siamo preoccupati, non solo a livello ecclesiale – ha ripresi Don Rizzolo – di come la fede sia diventata marginale nella vita dei giovani. C’è un individualismo crescente, una confusione delle proposte da cui ci sentiamo invasi o attratti; specialmente i giovani sono molto smaliziati; anzi, secondo un’inchiesta svolta qualche anno fa, la fede sembra diventata irrilevante. Dunque i tempi sono cambiati. La fede non è più un presupposto ovvio come in passato, viene spesso ridotta ai margini, se non derisa. Per questo bisogna cambiare il modo di trasmettere la fede. Bisognerebbe reinventare una pastorale dell’innamoramento facendo sì che il luogo ecclesiale diventi sempre più luogo rigenerativo della fede: ci incontriamo nella fede in Gesù. Allora le parole di S. Paolo sono attualissime, esemplari ancora oggi”.
L’orizzonte di San Paolo è grande e sulla sua scia anche quello di Don Alberione è diventato un orizzonte universale, per arrivare a tutti con ogni mezzo. Don Antonio Rizzolo ha concluso affermando che Don Giacomo Alberione è partito dalle difficoltà e dai problemi del suo tempo, ma non si è adagiato, si è rimboccato le maniche, ha cercato di dare delle risposte, non calandole dall’alto, ma partendo dalla realtà dei suoi interlocutori. “Se San Paolo vivesse oggi salirebbe sui pulpiti più elevati e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale: stampa, radio, cinema e televisione”.
Mariangela Grilli
Sul canale YouTube de Il Cittadino è possibile rivedere il video integrale della Meditazione di Don Antonio Rizzolo e dell’omelia dell’Arcivescovo
Alcune foto dell’evento