“Lavoro e occupazione”

Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa per il Mondo del Lavoro
15-03-2018
Arcidiocesi di Genova
Giovedì 15.3.2018
Santa Messa per il Mondo del Lavoro
OMELIA
‘Lavoro e occupazione’
Distinte Autorità
Cari Fratelli e Sorelle
Il tradizionale appuntamento nella prossimità di San Giuseppe è caro a tutti. Saluto con stima e rispetto ciascuno, e saluto il mondo del lavoro che voi qui rappresentate. La vicinanza della Chiesa ai lavoratori è antica e sempre attuale. I mutamenti della storia e dell’economia sono grandi, ma l’uomo non cambia nel suo desiderio di famiglia, di lavoro, di dignità. In questa prospettiva, il mio illustre predecessore, Card. Pietro Boetto – dichiarato da Israele ‘Giusto tra le Nazioni’ per aver salvato molti Ebrei negli anni orribili della guerra – istituì nel 1943 l’ARMO con un manipolo di sacerdoti di fabbrica: Il Cardinale Giuseppe Siri incrementò con grande convinzione questa forma di apostolato, ricordando che il Sacerdote – di qualunque questione debba occuparsi – lo deve fare solo e sempre come Pastore. Questa presenza pastorale continua tutt’oggi, con crescente frutto spirituale e morale per tutti.
1. Lavoro e occupazione
La questione del lavoro è non solo fondamentale, ma dirimente: senza lavoro, infatti, non è possibile un progetto di vita. Si tira a campare senza poter avere una dignitosa autonomia, spesso impedisce di formare una famiglia o di tirarla avanti. Cresce nell’anima il senso di incapacità e, con esso, di inutilità sociale. Pian piano si scivola in un mondo invisibile agli occhi di una società che mira solo ai risultati economici e per i quali sacrifica anche le persone. In questo orizzonte, il messaggio è che di loro – giovani o adulti inoccupati – la società non ha bisogno. E’ sotto gli occhi di tutti che – nonostante segnali positivi circa una certa crescita del macro-sviluppo – l’occupazione resta una questione dolorosamente aperta e spinosa. Un Paese dove l’occupazione non è alla portata di tutti, va verso la recessione e l’impoverimento economico, ma ancor più culturale e antropologico, perché non sa mettere a frutto il capitale umano che è la prima ricchezza di un popolo.
2. Una conversione di pensiero
Cari Amici, dobbiamo uscire dalla lunga crisi con una mentalità nuova da parte di tutti, ad ogni livello. Mi permetto di elencare, a modo di esempio, alcuni fronti.
Innanzitutto, è necessario pensare ad una globalizzazione sostenibile, cioè non sregolata e con criteri tali che la rendano umana: in questo siamo diventati più saggi? I Paesi del mondo si sono posti il problema concertando delle regole per governare il fenomeno, anziché esserne dominati? La libertà assoluta dei mercati – affidati esclusivamente alla concorrenza e al massimo profitto – non si rivela spietata? Non si parla qui di pietas, ma della giustizia a cui anche gli Stati sono tenuti. La globalizzazione non può uccidere l’uomo, le sue ragioni devono servire non schiavizzare.
In secondo luogo, i numeri che vengono diffusi anche da organismi preposti, dovrebbero essere valutati in chiave di occupazione stabile, poiché solo la ragionevole certezza del lavoro permette di progettare il domani. Fin quando le occupazioni sono a termine, non si può cantare vittoria.
Inoltre, bisogna uscire dalla crisi con un approccio più adeguato al grande bene del lavoro: ad ogni diritto, infatti, deve corrispondere un dovere congruo. In altre parole, dobbiamo desiderare un’occupazione giusta, ma con altrettanta determinazione dobbiamo tutti voler lavorare con professionalità e impegno. L’obiettivo, specialmente per i giovani, di compiere dei lavori che corrispondano in pieno alle proprie aspettative è comprensibile ma, se diventa facile rifiuto di opportunità possibili, si rischia di non cominciare mai rimanendo sempre in attesa: passano gli anni e la fiducia vien meno.
Un altro fronte riguarda la moltiplicazione delle leggi e dei regolamenti: l’Italia è un Paese che sembra “incartato”, vale a dire imprigionato dalla sua stessa burocrazia. Non di rado, per garantire che le cose si facciano bene, il bene viene di fatto impedito. Inoltre, spesso non favorisce lo spirito imprenditoriale della gente. La politica deve diminuire la produzione di carta e timbri, e produrre ciò che è necessario per crescere, come la ricerca, l’industria, il commercio..tenendo sempre al centro la famiglia.
Infine, da tempo la società incentiva il miraggio del guadagno facile, come ad esempio il gioco d’azzardo. Non si tratta di fare del moralismo, ma di preoccuparci affinché il sistema non corrompa i suoi cittadini creando illusione, disagio e infelicità. Nello scorso anno, in Italia si è giocato per circa 100 miliardi, con un incremento del 7-8%, e si calcola che i giocatori patologici siano oggi circa 800.000! Anche l’illusione secondo cui legalizzare il gioco d’azzardo avrebbe eliminato la malavita, è crollata. Non dimentichiamo che questa illusione si sta applicando anche ad altri campi, ma la realtà smaschera questa falsità che copre altri interessi. Non è questione di pensare ad uno Stato etico, ma neppure ad uno Stato irresponsabile, che lascia andare le cose in modo tale che le persone – specialmente più deboli – vengano danneggiate mentre lui profitta di un facile e rapido introito.
3. Lo slancio etico
Come si vede, la questione centrale, anche in ambito economico, è di tipo etico. Senza un vero rinnovamento morale, gli sforzi per risanare l’economia e il tessuto sociale sono parziali e instabili. Senza una coscienza formata nella verità, su principi veri per tutti, principi che nascono dal buon senso e da una onestà senza colori, le pratiche dell’ evasione fiscale, della corruzione, dell’ inadempienza agli obblighi civili e del disinteresse per la cosa pubblica, il progresso sarebbe sempre impedito.
Anche l’idea del cosiddetto ‘sgocciolamento’, secondo cui presto o tardi – in virtù delle dinamiche spontanee del mercato – l’arricchimento degli uni porterà automaticamente a una qualche ripartizione dei benefici per gli ultimi, è passata: non ha mai prodotto gli effetti attesi.
L’approccio all’occupazione non può essere mercantile: deve ispirarsi ad una visione non individualistica, deve cercare una non facile compenetrazione tra il risultato delle aziende e il beneficio di tutti. In questo, la Chiesa offre il patrimonio del Vangelo che ha generato civiltà e cultura, lavoro, giustizia e arte.
4. Pensare positivo
Per cercare una concretezza che non suoni ideale e irraggiungibile, dobbiamo impegnarci a crescere nel parlarci con lealtà, riconoscendo i segnali positivi esistenti, delle opportunità che si sono affacciate, senza denigrarci a vicenda, rinunciando alla facile e vergognosa pratica di spargere ombre e sospetti come se tutto fosse losco e impresentabile. Tutte le parti in causa, i corpi intermedi – ognuno secondo i propri compiti – crescano nel pensare e lavorare insieme, mettendo da parte interessi corporativi e particolarismi, nella consapevolezza che solamente insieme si cresce.
Cari Amici, siamo nel Giubileo della nostra Cattedrale: nove secoli or sono, Papa Gelasio II la consacrò (era il 1118). Rinnoveremo anche la consacrazione alla Santa Vergine – venerata sull’antico altare – che la Repubblica genovese nel 1637 volle incoronare “Regina della Città’. Sia Lei a illuminare le menti e dilatare i cuori per il bene della gente. A.. Lei ripetiamo con il Bambino Gesù che porta in grembo: ‘et rege eos’, governali Tu. Anzi, vogliamo dirle: ‘et rege nos!’. Amen.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
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