“Una luce nella notte”

Omelia pronunciata a Dovadola (Forlì) nella S. Messa per la venerabile Benedetta Bianchi Porro
21-01-2018
Diocesi di Forlì-Bertinoro
Domenica 21.1.2018
Parrocchia di Dovadola
Anniversario di Benedetta Bianchi Porro
 
OMELIA
‘Una luce nella notte’
Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
È motivo di gioia essere qui con voi per l’anniversario di Benedetta Bianchi Porro, le cui spoglie mortali sono custodite e venerate in questa chiesa. Ringrazio per il fraterno invito il Vescovo S.E. Mons. Lino Pizzi, e con lui il Parroco e il clero. Leggere la vita di Benedetta lascia non solo profondamente impressionati, ma sbigottiti, tanto la grazia può operare in chi si affida a Dio. La sua vicenda terrena è nota a tutti voi, cari Amici, e pertanto non devo ricordare ciò che è scritto nella vostra memoria e nei vostri cuori. Permettete, però, che lasci emergere alcune personali emozioni nell’incontro con una figura che lascia pensosi e felicemente contagiati.
1. La sapienza dei piccoli
La sua vita fa toccare le parole di Gesù: ‘Ti ringrazio, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli’. La sua capacità di vedere la luce nel buio spaventoso delle sue sofferenze non si spiega altrimenti: i buoni genitori, gli amici, i sacerdoti che l’hanno incontrata, nulla è sufficiente per spiegare Benedetta. Tutto umanamente concorre, ma nulla è sufficiente per capire da dove le venisse la luce che tutto illuminava. Ascoltando le sue parole ci si accorge che Benedetta è opera di Dio, che le mani dello Spirito hanno continuato a modellare una creta che non poneva resistenza. L’inesorabile spogliazione della mobilità, dell’udito e della vista, richiamano le stigmate che hanno trafitto il Crocifisso, e il suo permanente abbandono a Dio ricorda la piccola via di Santa Teresa di Gesù Bambino. La via semplice dell’infanzia spirituale, della piccolezza consapevole, della fiducia nella fedeltà divina in mezzo a un destino umanamente crudele, hanno squarciato le tenebre dell’incomprensibile. La sua croce è rimasta, ma l’affidarsi al Crocifisso le ha rivelato il mistero di gloria e di risurrezione nascosto ai sapienti del mondo: ‘Anche se ci troviamo nei più silenziosi deserti, Dio non ci lascia mai soli’ (1963) scriveva, e continuava dicendo: ‘La serenità è possibile solo attraverso la croce’ (1961). Benedetta annotava queste cose nel pieno delle sue indicibili sofferenze, inchiodata al Calvario del suo letto, là dove nessuno ha voglia di recitare la parte e di fare poesia o retorica, ma tutto diventa crudo.
Il nostro tempo idolatra l’efficienza, e qui siamo di fronte all’impotenza, esalta l’apparenza e qui siamo di fronte ad un corpo amputato, ama l’autonomia individuale, la libertà assoluta, e qui abbiamo una giovane che deve chiedere ogni cosa. E noi cristiani di oggi? Anche noi ragioniamo con le categorie del mondo rincorrendo l’apparenza, l’efficienza, il successo, la libertà senza legami considerati – questi – mortificanti della nostra libertà, anziché la condizione per essere veramente liberi? Anche noi scambiamo la soddisfazione con la gioia? La prima appaga per un momento, la seconda riempie il cuore e scalda la vita.
2. Fede e mentalità di fede
Gesù ha inaugurato un mondo rovesciato, dove il corso degli eventi umani non cambia miracolosamente, ma resta segnato da luci e contraddizioni. Il Signore, però, nella sua vita ci ha dato un nuovo principio interpretativo, ci ha svelato il nucleo più vero della realtà terrena: più vero perché rimane per sempre. La scorza – brillante o ruvida – degli accadimenti non cambia, ma la sostanza è oltre, e noi siamo chiamati a vivere soprattutto di questo oltre. Vivere l’oltre non ci astrae dalla storia, ma ci permette di abbracciarla con maggiore passione e responsabilità Ecco la fede!
Cari Amici, oggi respiriamo un’aria triste che si chiama secolarismo: esso è vivere come se Dio non ci fosse. E’ come una nube tossica che avvelena l’occidente e non solo. Tutti siamo esposti, nessuno è al riparo: per questo dobbiamo interrogarci spesso se e quanto siamo contagiati. Possiamo, infatti, credere in Dio ma non vivere di Dio; possiamo avere la fede, ma non avere una mentalità di fede. Quando ci accorgiamo di giudicare le cose non con il pensiero di Cristo, quando non le vediamo con gli occhi di Dio, allora vuol dire che crediamo in un cristianesimo ridotto a una dottrina, a un codice di comportamento, a un galateo del vivere insieme, ma non all’avvenimento centrale della storia umana, a un incontro che sconvolge l’anima e il cuore, che ci fa vivere le cose di tutti ma in modo diverso da tutti. Un rischio di oggi è quello di naturalizzare il Vangelo, togliendogli il nerbo interiore del soprannaturale, della vita di grazia. E’ ciò che Benedetta aveva compreso e descritto quando aveva solo 24 anni: ‘Nel mondo si apprezzano le virtù cristiane, ma appena arriva Gesù Cristo, la sua croce, allora tutti si dileguano, tutti tacciono…: cioè: cristianesimo in fondo sì, ma Cristo no’ (1960). Queste parole ci rivelano che per lei la fede cristiana era un pensare cristiano che ispira la vita: era vivere riferita ogni momento a Cristo..
3. Amore, sacrificio, gioia
Nella mentalità odierna si dà molto spazio all’amore, come se con l’amore tutto diventasse non solo permesso, ma anche giusto e morale. Anche in questo caso, Benedetta ci parla con la sapienza che Gesù dona agli umili di cuore: ‘Io credo all’Amore disceso dal cielo. A Gesù Cristo – scriveva nel 1959 – ‘Sì, io credo all’Amore’! Che cosa insegna a noi? che l’amore è necessario come il pane poiché tutti desideriamo amare ed essere amati, ma l’amore è una questione terribilmente seria e impegnativa, chiede impegno, fedeltà, sacrificio. Solo allora riempie il cuore e la vita, ed è gioia. Dal suo letto di sofferenza, Benedetta ricorda al mondo la bellezza e la concretezza dell’amore: ci dice che non si può amare se non siamo disposti a soffrire. La nostra società mente, facendo credere che amare è solo sentimento e sempre esaltazione; ma questo non è vero, e l’inganno porta sempre al disinganno e all’amarezza, porta al tormento e non di rado alla violenza. Gesù ci parla e vive diversamente. E noi, come pensiamo l’amore?
Il Signore ha condotto Benedetta su sentieri ardui che possono spaventare, e lei si è lasciata condurre e plasmare in un azione trasfigurante tanto da poter dire: ‘Non saprò mai ringraziare abbastanza il Signore di tutto quello che mi ha dato. Perché tutto ciò che dà è grazia’ (25.10.1963). L’ultima sua parola fu ‘grazie’. Anche noi ancora una volta diciamo ‘grazie’ a te, Benedetta, sorella nostra: siamo quasi intimoriti di fronte a te che vedi la luce. Ma non dobbiamo temere, poiché il Risorto è con noi sempre: egli è il Principe della pace, il Salvatore del mondo, il Pane per il nostro cammino, il Farmaco di immortalità. Chiede di arrenderci al suo amore che ci trasfigura in Lui. La Santa Vergine, cari Amici, ci guardi e benedica, ci prenda per mano, ci rialzi e ci sorregga per giungere alla vetta che il Signore ha preparato per ciascuno di noi. Non abbiamo timore né della vita né di noi stessi poiché ‘Nulla è impossibile a Dio’.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
 
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