Omelia pronunciata in Cattedrale per i Vespri solenni di Pasqua
16-04-2017
Arcidiocesi di Genova
Vespri di Pasqua, 16.4.2017
‘Tornare alla Croce di Gesù’
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
1. l’Ottava pasquale prolunga la gioia della risurrezione, e continua a meditare la passione, morte, risurrezione di Gesù, Figlio di Dio. Il bagliore del mistero da luce al mondo, anche se spesso il mondo non lo conosce o lo rifiuta. Ma la luce pasquale non viene meno, perché le anime sono state conquistate a caro prezzo, cioè col sangue di Dio: per questo la luce non può finire. Gli uomini sentono talmente bisogno della luce che – appena si accorgono che un uomo ne porta un raggio in sé – lo inseguono. Questo compito di portare un po’ di luce vale per ogni cristiano, ma tanto più per noi sacerdoti che siamo chiamati a portare, su una terra stanca e mentitrice, un riflesso di speranza, ad elevare le anime a poco a poco al di sopra degli abituali orizzonti, consapevoli che tutti i contrasti che si verificano tra gli uomini, più che essere di carattere materiale, si riducono al bisogno di Dio. La sorgente di tanta luce è Cristo crocifisso e risorto: Egli è venuto a squarciare le tenebre dell’anima e ha portato la vita di Dio, la grazia all’umanità.
2. Sembra che il mondo sia infastidito dalla visione della croce, e che la croce turbi gli animi, intristisca le culture, deprima le società, sia la negazione della gioia, dello slancio vitale che abita il cuore umano.. Alla mentalità moderna va bene la risurrezione ma non la croce, pensa che il cristianesimo sia la religione del dolore, che addirittura lo propaghi, lo veneri come un idolo, che sia invidioso della felicità umana, della libertà, dell’ebbrezza della vita, che voglia sottomettere gli uomini al giogo della sofferenza. Alla modernità va bene la soddisfazione delle cose facili e apparenti, e non sopporta il limite, la fatica dell’amore. Meglio oscurare, rimuovere, sorvolare; meglio parlare solo di gioia, di successo, di festa. Come se la vita umana fosse senza limiti e ombre fisiche e morali! Coltivare questa finzione significa condannarci alla delusione fino all’ angoscia.
Ma noi guardiamo Gesù sofferente, l’uomo dei dolori che conosce il patire? Sostiamo davanti alla Croce, oppure avvertiamo imbarazzo? E nelle nostre chiese il crocifisso campeggia insieme al tabernacolo e all’altare?
3. La croce fa parte della condizione universale, insieme a gioie e luci. Dobbiamo tornare a contemplare il crocifisso per comprendere la verità delle cose. Gesù sofferente non è vittorioso perché risorge, è vincitore perché muore e, morendo nell’amore, vince la morte. La risurrezione è il sigillo del Padre, che sorride all’obbedienza del Figlio fino all’estremo limite dell’umano, e conferma la sua vittoria. La risurrezione ci garantisce che Gesù ha vinto non nonostante le sofferenze, ma proprio dentro alla passione, così come la gioia vera non si raggiunge nonostante le prove, ma attraverso le difficoltà e le apparenti sconfitte che Cristo riempie di senso, e che trasforma in luce di eternità. Non si può pretendere di abbracciare il volto di Gesù senza stringersi alla sua corona di spine e sentirsi il volto dilaniato. Ma è grazie a questo abbraccio che il bene fiorisce e c’è la speranza sulla terra
Sì, dobbiamo tornare alla croce di Gesù così com’è, nella sua ruvidezza e nel suo mistero di pace. Chiediamo alla Santa Vergine sotto la croce, l’amore del Crocifisso, la garanzia di contemplarlo tutti i giorni per imparare da Lui, ma ancor più per appenderci a Lui.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova