Cari fratelli e Sorelle nel Signore,
La festa della presentazione di Gesù al tempio è un anticipo della Pasqua: Gesù compie l’oblazione di sé al Padre, oblazione che si consumerà sulla croce. Maria, assieme a Giuseppe, offre il divin Figlio con la lacerazione intima di una rinuncia che la associa per sempre all’opera della Redenzione. La suggestiva benedizione delle candele, e la processione, sviluppano il tema di Cristo, luce del mondo.
1. La liturgia celebra la giornata della vita consacrata, e la Chiesa ne gioisce, poiché ogni carisma religioso abbellisce il suo volto e benefica l’umanità. Non possiamo non pensare al Prologo di san Giovanni, dove l’Evangelista annuncia che la Luce è venuta nelle tenebre ma queste non l’hanno né accolta né vinta. Proprio pensando alle parole di Giovanni, ci chiediamo: e noi, abbiamo accolto la luce? La vogliamo accogliere ogni giorno di nuovo? Quella luce non è nostra – non siamo noi né la parola né la luce! Vogliamo dunque accogliere la luce che è Gesù? La domanda può suonare strana, poiché la nostra consacrazione attesta che abbiamo accolto questa luce divina apparsa nel mondo, luce che ha sfiorato la nostra anima e che ci ha affascinati per la vita. Questo è vero: tutti sappiamo, nel fondo del cuore, che senza quella luce non saremmo niente, non avremmo volto, e la nostra esistenza sarebbe senza senso: non basta, infatti, fare cose buone, per riempire l’anima ci vuole un orizzonte che scalda, un cuore più grande del nostro, perché sentiamo che solo l’infinito può riempire la nostra povera finitezza. Solo il cuore sconfinato di Dio può colmare il nostro desiderio d’amore. Si può vivere l’ordine e la fedeltà con freddezza, ma non si può vivere 1″ vita senza calore. La fraternità, che è specifica della vostra consacrazione, accompagna e provvidenzialmente sostiene, ma non potrà mai sostituire l’intimità, il cuore a cuore con la fornace di Cristo. Ed ecco che ritorna la domanda: abbiamo accolto la luce, la accogliamo di nuovo ogni giorno? Mancare all’appuntamento quotidiano con Lui è perderLo di vista, anche se Lui non perde ci vista noi; è diventare tiepidi, è entrare nella routine dei compiti da assolvere, è sentire che le naturali fatiche diventano pesi.
2. Se noi siamo esposti a questo rischio! E quanto più lo possono essere i laici che hanno famiglia, figli, e tante altre responsabilità! Per questo dobbiamo aiutarli con la preghiera, l’esempio, la parola, la religiosa vicinanza. Dobbiamo aiutarci a non essere distratti ma centrati, a non lasciarci prendere dalla mentalità del mondo che tende a farci pensare con le categorie del successo, dell’ affermazione personale, della concorrenza, della presunzione, reiterando l’antica tentazione che ha colpito anche gli apostoli: “chi è tra noi il più grande?”. Quando questa domanda si insinua nelle comunità, di solito travestita da ragioni umane, pastorali, spirituali, teologiche … è la fine: il cuore si raffredda e tutto diventa peso. Il primato di Dio – nel quale crediamo sinceramente – rischia di diventare parola che si ripete, ma che non origina vibrazione del cuore, sussulto dell’anima, calore della vita, libertà dal nostro io.
3. Cari Amici, vorrei questa sera pensare alla vostra vita di comunità – della cui testimonianza ha sterminato bisogno l’umanità divisa e conflittuale – nella luce della famiglia cristiana. Essa nasce sul fondamento del sacramento, è corredata da una grazia speciale. Così la nostra vita di comunità nasce da Dio che ci dona una grazia unica, a cui attingere nel corso degli anni e delle circostanze. Il Signore non è solo il centro, il criterio e l’esempio, ma è innanzitutto la sorgente perenne, il roveto ardente. Come nella famiglia però, così nella comunità questo fondamento, questa centrale presenza deve ispirare delle forme concrete e visibili, in grado di tradurre e confermare questa Presenza: la gratitudine espressa e l’esplicita richiesta di perdono. Quale educazione permanente scaturisce da queste due piccole parole, che il Santo Padre ha raccomandato alle coppie e alle famiglie! Ma che noi raccomandiamo questa sera a noi stessi! Quanta distrazione rispetto al bene che si riceve da chi ci sta accanto, a volte quanta trascuratezza! A una certa insensibilità con i vicini fa stridente confronto tanta attenzione e gentilezza per altri, che non condividono la stessa vita e che – pertanto – non sono gomito a gomito con noi ogni giorno, e che spesso ci gratificano con parole e attenzioni! Essere gentili fuori casa e scorbutici in casa non aiuta nessuno, famiglia e comunità. Mentre, invece, dobbiamo aiutarci nella vocazione e nella missione che a ognuno Dio affida attraverso la Chiesa. Non è la gratificazione umana il criterio della nostra vocazione e dell’apostolato, ma il sapere di essere umilmente nella volontà di Dio non nelle nostre iniziative solitarie. E questo basta! La Santa Vergine, Regina di Genova, vi benedica; vi doni numerose vocazioni, scaldi continuamente i vostri cuori, faccia delle vostre comunità dei focolari che riscaldano e illuminano. Tutto si desideri e si compia nella umiltà, col desiderio di sparire il più possibile perché risplenda solo la luce del Signore. Angelo Card. Bagnasco Arcivescovo Metropolita di Genova