La concretezza di Maria

Omelia pronunciata nella Chiesa del Gesù nella S. Messa per la Solennità di Maria SS. Madre di Dio
01-01-2017
Arcidiocesi di Genova
Maria Santissima Madre di Dio, 1.1.2017
OMELIA
‘La concretezza di Maria’
 
Cari Fratelli e Sorelle
 
Oggi, primo giorno dell’anno civile, la liturgia festeggia Maria Santissima, Madre di Dio. A Lei la Chiesa affida il nuovo tempo che il Signore ci dona. Tutto cammina verso la meta che non è la fine, ma il compimento, la pienezza di tutto ciò che di bello, nobile, buono, facciamo nella vita terrena: e la pienezza della luce sarà per sempre!
Mentre ringraziamo e ci affidiamo alla Santa Vergine, vogliamo anche imparare qualcosa di particolare da Lei. L’evangelista Luca dice che i pastori trovano ‘Maria, Giuseppe, e il bambino adagiato nella mangiatoia’. E poco prima Luca racconta che Maria, prima di adagiarlo, lo avvolge in fasce. Tutto, nel Vangelo, parla. La Madonna ci da un esempio di che cosa vuol dire essere concreti. E oggi quanto c’è bisogno di concretezza!
  
L’opposto della concretezza è indulgere ai sogni di bene. Sognare è bello, ma adagiarsi nei sogni è inutile e fa male: è infantile. Mancanza di concretezza è anche illuderci, credere agli entusiasmi effimeri, magari sinceri ma passeggeri, privi di sostanza e continuità. Mancanza di concretezza è lasciarci guidare dall’ideologia che è una forma di falsa concretezza: si piega la realtà ad un’idea arbitraria che ci facciamo delle cose e delle situazioni, forse della Chiesa stessa. E così perdiamo il contatto con la realtà vera. Mancanza di concretezza, infine, è il distacco tra ciò che si dice – magari in modo solenne, aulico, altisonante – è ciò che facciamo, tra promettere e mantenere. Al fondo di queste distorsioni vi è una personalità non unitaria, frammentata.
 
Maria è una persona che vive nella sintesi interiore, nell’armonia di se stessa, e l’esempio di concretezza che il Vangelo riporta ne è testimonianza.
Innanzitutto, nell’incontro con l’Angelo dell’annunciazione, ascolta e riflette: è questo un primo atto di concretezza. Non parla dominata dalla forte emozione del momento, dal turbamento, ma ascolta con apertura di cuore, con disponibilità vera non apparente. Ascolta il fatto e il suo significato profondo: ‘nulla è impossibile a Dio’. In secondo luogo Maria decide. La decisione del cuore – inteso non come sentimenti, ma come il centro più intimo e personale – è la radice della concretezza. Il punto nodale. Rivela che la concretezza non è un ‘fare’, ma piuttosto è obbedienza alla verità, è risposta alla chiamata, è esprimere nella vita quotidiana ciò che Dio indica. Infine, Maria agisce. La prima azione narrata da Luca è il suo andare dalla cugina Elisabetta per aiutarla. E lo fa in fretta, quasi per dirci che la grazia dello Spirito non ammette indugi; che una cosa, una volta decisa in profondità, va fatta, perché in caso contrario marcisce. Pensare di continuo, voler valutare ogni possibile aspetto prima di decidere, significa pretendere di avere tutto sotto controllo, la vita nelle nostre mani, non fidarsi. Il risultato è estenuarsi tra il sì e il no, tra il forse e il semmai, tra il può darsi e il vedremo; è diventare inconcludenti e tristi. I continui ritardi nel bene ci marciscono dentro. Un altro esempio che l’evangelista descrive con pochissime parole, come una cosa ovvia, è che Maria avvolse Gesù ‘in fasce e lo depose in una mangiatoia’. In concreto, fece tutto il possibile che si poteva fare in quella situazione, senza sproloquiare inutilmente su ciò che avrebbe potuto essere e sulla capacità recettiva di Betlemme. 
 
Possiamo ora chiederci come mai i pastori – vedendo quella poverissima scena – credettero: viene in mente l’apostolo Giovanni che, entrato insieme a Pietro nel sepolcro vuoto,  ‘vide e credette’.  Che cosa hanno visto, i pastori , per poter credere che era nato il Salvatore del mondo? Di certo, risuonavano nei loro cuori le parole dell’angelo: ‘questo per voi è il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. Ma come potevano queste parole aprire i cuori degli uomini ad un mistero così sconvolgente e inaudito?
I pastori vedono  la massima privazione – come è un bimbo appena nato in una grotta – avvolta dalla massima cura possibile, le fasce e la mangiatoia. E, in questo, hanno visto l’invisibile: hanno visto in quella scena il segno atteso, il segno di un Dio che aveva promesso di venire un giorno a prendersi cura dell’umanità bisognosa di tutto. Hanno visto in quella fragile carne ciascuno di  loro, l’umanità intera, e in quelle fasce concrete hanno riconosciuto un’ amorevole cura non solo verso di lui, ma verso il mondo malato. Hanno visto che quel Bimbo misterioso conteneva la natura umana, e nello stesso tempo ne era la rigenerazione e la salvezza. Quella debole carne era fasciata e fascia, era custodita e custode, era fragilità e forza.
Certo, tra vedere un fatto, una scena, e andare oltre il visibile, coglierne il significato profondo, c’è uno salto, un andare oltre. Ci vuole il cuore dei pastori, dei semplici, degli umili, di coloro che non vivono parlando a se stessi, chiusi e innamorati di sé, ripiegati sui propri piccoli progetti, o avviluppati in sogni che non conducono a propositi concreti, ma solo illudono e imprigionano in un mondo soggettivo che credono sia il migliore dei mondi possibili.
 
La Santa Vergine ci doni in questo anno il dono della semplicità di cuore e della concretezza secondo il Vangelo: lo doni a ciascuno, alle famiglie, alle nostre comunità cristiane, alla società.
 
 
                                                                                Angelo Card. Bagnasco
                                                                                Arcivescovo Metropolita di Genova 
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