Un colpo d’ala?

Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa del Giubileo del mondo del lavoro
18-03-2016
Arcidiocesi di Genova
Festa di San Giuseppe, 18.3.2016
Omelia
‘Un colpo d’ala?’
Autorità
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
Con gioia vi do il benvenuto per il consueto appuntamento in occasione della festa di San Giuseppe, Padre putativo e custode di Gesù e della Vergine Maria.
Nonostante i tentativi ideologici di scardinare l’istituto famigliare, la realtà non cambia: la famiglia, infatti, resta sempre il perno, il fondamento della società, il luogo di relazioni dove i figli si generano – non si producono! – dove ricevono la prima educazione dal papà e dalla mamma, dove si impara ad amare e ad avere fiducia in se stessi e negli altri, dove si conosce la bellezza e l’impegno del ‘noi’ che non è nemico dell’io di ciascuno, ma la sua condizione di possibilità per essere se stesso e per essere libero. La Sacra Famiglia di Nazaret – nel suo intreccio quotidiano di amore, vita comune, casa, lavoro; di preghiera domestica, di comunità religiosa e villaggio – non è un modello superato, ma resta esempio e sostegno. E’ vero che cambiano i tempi: le condizioni di lavoro, di abitazione, di stili di vita, sono in gran parte diverse, ma ciò che non cambia è il cuore dell’uomo. E finché il cuore non cambia, l’esempio della Sacra Famiglia resta.
Senza il nucleo originario, senza il microcosmo della famiglia, non si riesce a vivere nel macrocosmo delle relazioni nel mondo. E quanto più il mondo si allarga e diventa globale, tanto più necessaria sarà la famiglia come terra promessa, come ‘focolare’ che scalda, grembo che rigenera le forze. Capisco che certe parole come ‘focolare’ possono suonare arcaiche o fanno addirittura sorridere, ma non dobbiamo lasciarci intimidire dal pensiero unico che vorrebbe dettarci che cosa possiamo dire o non dire, quali parole si possono usare e quali non sono più ammesse.
Il criterio – se non vogliamo essere succubi del politicamente corretto – non è quello del potere di turno, e neppure come stanno le cose, ma come dovrebbero stare secondo la loro intrinseca natura, il loro valore universale. Se in famiglia accade ci siano delle ombre – a volte anche gravi – non significa che la famiglia sia un’ombra, origine quindi di ogni male. La famiglia, di per sé, è luce per i motivi detti sopra, e che il cuore sa essere veri e desiderati; se ci sono ombre bisogna cercare di superarle, prestare maggiore attenzione alla famiglia che resta, per sua natura e vocazione, il focolare: non si uccide il malato per eliminare la malattia. Oggi sembra che si voglia fare il percorso a rovescio in molti ambiti, a volte anche in quello del lavoro.
Una prima persistente preoccupazione al riguardo, è che, anche se la macro economia sembra dare qualche segnale positivo – così si ripete – la ricaduta in termini di reale occupazione non si vedono. Al contrario, le nostre Parrocchie e gli organismi vedono crescere il numero di coloro che hanno perso lavoro e che lo cercano: senza parlare dei giovani inoccupati che non possono farsi un progetto di vita. Non pochi di loro si sono arresi – né hanno lavoro né più lo cercano – ormai arresi alla sfiducia, facile preda della criminalità con conseguenze pesanti sulle casse dello Stato e sulla sicurezza sociale. Gli oltre dodici milioni di pasti, che nel 2015 le mense di Parrocchie e istituzioni della Chiesa italiana hanno assicurato – senza contare la moltitudine di pacchi viveri dati regolarmente – sono un dato di fatto. La situazione richiede che i responsabili – a tutti i livelli -si concentrino notte e giorno sul problema del lavoro e dell’occupazione che- insieme alla famiglia, la denatalità e la scuola – sono i problemi veri, concreti, urgenti.
Da tempo molti si chiedono se il volto del paese stia cambiando e, soprattutto, se sia fatale cambiare. Intendo la sua vocazione anche produttiva, avendo acquisito delle capacità e delle eccellenze che non pochi ci invidiano e che fanno gola. La storia insegna, con qualche raro esempio contrario, che, nonostante tutte le garanzie di rito, chi paga comanda e porta via dove ritiene più conveniente in nome del profitto. Il profitto non è il male assoluto, ma se diventa più importante dell’uomo, allora usa l’uomo e la società diventa esclusivista, creando ricchezza per una parte, ed grande povertà per molti. Nel mondo vediamo paesi ricchi con moltissimi poveri. I conti tornano? E’ questa una civiltà giusta? Ma non possiamo dimenticare un altro fattore: la responsabilità complessiva di un popolo. Responsabilità che si esprime non solo negli appuntamenti propri di ogni democrazia, ma anche nel fare ognuno la propria parte e non in modo indipendente e scollegato, ma rispettoso e collaborativo, remando tutti verso il bene comune. Ciò significa lavorare con professionalità e senso del dovere: fare bene il mio dovere perché lo so fare e lo faccio onestamente. Con la consapevolezza che una firma nella burocrazia, la lavorazione attenta di un pezzo, sedersi ad un consiglio di amministrazione, la strategia di un’azienda, una decisione di politica industriale’ tutto è parte di un tutto che deve avere come scopo supremo non l’interesse di un individuo, di un’azienda, di una parte politica, ma solamente il bene del popolo che si esprime concretamente nelle città, nei paesi, nei borghi della nostra splendida e amata Italia.
Non è forse questo, in modo succinto, il sistema Paese? Nessuno può tirarsi indietro: anche se le responsabilità non sono uguali per tutti, tutti siamo responsabili.
E qui che s’impone la responsabilità di investire: qui non solo altrove. Molti si chiedono se non esistano capitali in grado di mettersi insieme e dare linfa a realtà lavorative languide che legano anche città diverse. Il problema, in generale, non è continuare comunque le linee di sempre, il problema è averle in mano noi, decidere avendo attenzione non solo il mercato, ma anche patrimoni professionali che, se esportati, non ritorneranno più e – se ritornassero – chi sarebbe in grado di insegnarli ancora?
Ci sono questioni aperte e gravi che voi conoscete dal di dentro con competenza: la mia umile voce è solo prestata al sentire della gente e non solo di Genova; gente preoccupata e incerta sul futuro di sé e delle proprie famiglie. Il genio italiano, che è riconosciuto anche all’estero, insieme all’intraprendenza finanziaria che è possibile, siano i detonatori di una esplosione benefica, di entusiasmo creativo, di vie antiche e nuove, urgenti per il riscatto sociale. Il colpo d’ala è possibile poiché intelligenza, esperienza, risorse sono grandi. Che San Giuseppe, umile, esperto e appassionato falegname di Nazaret, ci illumini e sostenga.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
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