Comunicare la fede cristiana nell’Europa di oggi

Introduzione al Joint Committee CCEE - KEK Hannover 17 novembre 2014
17-11-2014
Hannover, 17 – 19 Novembre 2014
Joint Committee CCEE – CEC
‘Comunicare la fede cristiana nell’Europa di oggi”’
 
Introduzione del Cardinale Angelo Bagnasco
Vice Presidente del CCEE
 
Cari Amici
1. Sono lieto di portare il cordiale saluto del Cardinale Peter Erdo, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE). Saluto in modo particolare il nuovo Presidente della KEK, Sua Eccellenza Christopher Hill, e i suoi collaboratori. A loro il migliore augurio di buon lavoro per continuare il dialogo tra le diverse realtà cristiane. Il cammino ecumenico deve continuare con convinzione e fiducia a tutti i livelli, valorizzando i passi che sono stati fatti e che si potranno fare. Esso esige da parte di tutti un continuo processo di conversione interiore, una crescente apertura dell’anima verso Gesù, una costante invocazione allo Spirito Santo, Spirito di verità e di amore, di riconciliazione e di pace. Anche la recente visita a Gaza da parte della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, non solo ha voluto portare vicinanza e sostegno ai cristiani e alle popolazioni di quel territorio benedetto da Dio, ma martoriato dalla guerra e dalla divisione. Con la visita al Vescovo ortodosso della città, ha inteso essere anche un gesto di carattere ecumenico. La preghiera nel Sancta Sanctorum della chiesa ortodossa è stata un momento commovente di invocazione all’unico Signore del mondo e della storia.
Nell’insieme, pare cresciuta la sensibilità ecumenica nel popolo di Dio, forse senza una grande consapevolezza dei patrimoni storici e dottrinali delle varie confessioni cristiane, ma, comunque, come un dato positivo. Tale sensibilità si esprime in quelle forme che sono chiamate ‘ecumenismo di preghiera, di vita, di carità’ che conosciamo, e che le circostanze della storia attuale e della globalizzazione facilitano – e quasi esigono – nelle Nazioni e nei Popoli. Tocca ai Pastori in particolare che ognuna di queste lodevoli forme non porti, col tempo, ad una specie di ‘indifferenza ecumenica’ per cui, in fondo, le peculiarità specifiche non hanno importanza, e il cristianesimo è ridotto ad una esortazione moralistica al bene.
2. Questo nostro Simposio ci vede riuniti per affrontare la “comunicazione della fede cristiana nell’Europa di oggi’ , grande sfida alla quale non vogliamo sottrarci per amore di una duplice fedeltà, a Cristo e all’uomo. Vorrei offrire qualche considerazione sul nostro tema: esso corrisponde al mandato che Gesù ci ha dato di predicare il Vangelo a tutte le creature. Desidero rifarmi all’esperienza degli Apostoli che, seguendo il Signore, vedono il Maestro non sempre accolto e seguito dalla gente, che a volte lo rifiuta e lo deride: ‘Perché il mondo è redento da Cristo, ma non è infuocato per Cristo?’. Certamente si saranno posti un interrogativo sul fatto che Gesù non è sempre un predicatore di successo, pur dicendo parole di vita, pur annunciando il Regno, l’amore di Dio. Oggi si sente dire spesso che dobbiamo rinnovare il linguaggio; che è un problema di comunicazione; che – come dice McLuhan, ‘Il mezzo è il messaggio’! Non discuto l’importanza di questo: soprattutto oggi – stagione dell’immagine e della rete – è necessario adeguare la comunicazione ai destinatari. Tuttavia, mi pongo una domanda: chi, meglio di Gesù, conosceva i suoi interlocutori? Ne conosceva il cuore, le aspettative, le domande profonde; ne conosceva le sensibilità e i modi di pensare. Chi meglio di Lui era in grado di comunicare il lieto annuncio? Egli era il messaggio e il messaggero! Eppure! Di fronte alla comprensibile perplessità degli Apostoli, il Maestro presenta tre parabole.
3. La prima è quella del seminatore che esce a seminare (Mc 4). Una cosa che colpisce è l’insensatezza del seminatore che non sceglie il terreno buono, ma sparge il seme ovunque capita e quindi in parte si perde: l’asfalto, le pietre, i rovi sprecano il seme. Ma Gesù non rimprovera il seminatore scriteriato, e, se non lo rimprovera, vuol dire che va bene così!
       Abbiamo pertanto due prime indicazioni di fondo: essere coraggiosi e instancabili seminatori del Vangelo, e non selezionare i terreni. Dobbiamo amare il campo dove Dio ci ha posti a lavorare. Non sono indicazioni che riguardano il “come “ comunicare il Vangelo, ma atteggiamenti interiori dell’evangelizzatore: egli non deve dimenticare che come il seminare è l’incontro tra il buon seme e i diversi terreni, così l’evangelizzazione è l’incontro tra due libertà, quella di Dio che offre la buona notizia e la libertà dell’uomo che si pone di fronte alla buona notizia. Per questo l’evangelizzazione è sempre un mistero e non può mai essere ridotta a organizzazione di metodi, iniziative, programmi. E’ dramma, perché nulla è automatico, ma tutto  chiama in causa la libertà.
4. La seconda parabola è quella del seme che, nel cuore della terra, di notte vive e germoglia (Mc 4). E’ la continuazione della pedagogia di Gesù che vuol portare gli Apostoli, disorientati dall’indifferenza della gente, a vedere le cose non nella logica umana di costi e ricavi, di causa ed effetto, ma sul piano di Dio, con il suo sguardo. Se con la prima parabole li ha esortati a seminare con coraggio infaticabile, ora li invita a seminare con fiducia nella forza del seme, cioè del Vangelo. Non devono mai essere agitati e ansiosi. La doverosa inquietudine dell’evangelizzatore, nasce dall’amore per le anime, per il loro vero bene, l’ansia invece nasce dal senso della nostra incapacità a convincere: nel primo caso il centro è il Signore, nel secondo siamo noi.
5. La terza parabola è quella del granellino di senapa (Mc 4). L’evangelizzazione passa da umili cose, parole, gesti. Non dobbiamo inseguire grandi organizzazioni e cercare successi evidenti. Non è questa la via di Dio. La legge ordinaria del Vangelo non è la spettacolarità ma la piccolezza, spesso il nascondimento. Sono così evocate tutte quelle forme di pastorale e di annuncio che appartengono alle nostre tradizioni, ma che a volte – sotto la pressione dei cambiamenti culturali e delle sfide – rischiano di essere considerate superate e inutili. In realtà, esiste una missionarietà programmatica ed una paradigmatica. La prima consiste nell’individuare delle iniziative e dei modi nuovi per comunicare il Vangelo, la seconda consiste nel fare pastorale ordinaria in modo missionario, con la consapevolezza di chi sa di vivere in una società secolarizzata, e i cosiddetti ‘lontani’ sono spesso accanto a noi, alle nostre o nelle nostre comunità.
6. Delineati alcuni atteggiamenti di fondo attraverso le parabole del seminatore, vorrei dire una parola sul “destinatario” a cui ci rivolgiamo: l’Europa. Europa vuol dire occidente con luci e ombre: sul piano storico, la cultura e la civiltà europea nascono da tre città: Atene, Gerusalemme, Roma.
Vorrei mettere in rilievo tre considerazioni.
a) Innanzitutto, il cristianesimo, come in un alveo, ha accolto diversi contributi di pensiero e di sapienza e, valorizzandoli, li ha portati a sintesi. Ne è scaturita quella civiltà che ha – in molte forme – contagiato beneficamente il mondo avendo al centro la visione alta della persona come immagine e figlio di Dio: Cristo Gesù ne è il volto rivelatore. Oscurare il Creatore significa oscurare anche l’uomo. Se, infatti, storicamente Nietzsche è stato il profeta della morte di Dio, Foucault – nel ‘900 – è stato il profeta del suo uccisore, cioè l’uomo: morto Dio, l’uomo perde il suo volto e diventa un’ombra sulla sabbia. E’ significativo che Karl Lovith, non cristiano, in un saggio di filosofia della storia, riconosca che ‘Il mondo storico in cui si è potuto affermare il pregiudizio che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la ‘dignità’ e il ‘destino’ di essere uomo, non è originariamente il mondo (…) del Rinascimento, ma il mondo del cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo con l’affievolirsi del cristianesimo è divenuta problematica anche l’umanità’ (K.Lovith, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, pag. 482).
La dignità di ogni persona, la libertà, i diritti fondamentali, la distinzione e il rispetto tra Stato e Chiesa, il fatto che nessuno è solo perché Dio è Padre di tutti e quindi tutti siamo fratelli’, appartengono al nucleo del Vangelo. Il pensiero europeo ha colto queste verità, le ha elaborate secondo parametri razionali variabili, se ne è appropriato fino a negarne la fonte originaria, il Vangelo, e il senso religioso. E’ giunto oggi a ritenere che il cristianesimo è addirittura un pericolo per la democrazia e la libertà individuale. E’ giunto a voler escludere Dio dalla zona pubblica e confinarlo nel privato individuale.
b) In secondo luogo, la libertà – dono di Dio – è stata slegata dai valori oggettivi ed è diventata norma a se stessa. La libertà, però, non è un contenuto ma un contenitore: è buona se il contenuto della sua scelta è buono. La libertà è condizione di moralità, non il criterio dell’etica; è premessa della responsabilità personale. Invece, oggi, pare che ogni scelta – per il fatto di non essere costretta – è buona di per sé a prescindere dal suo oggetto. Questa visione è un grande inganno e distorce il modo di pensare e di vivere delle persone, dei gruppi e delle società: sta alla base della cultura dei cosiddetti diritti individuali che, a volte, sono solamente dei desideri con la pretesa di diritti.
c) In terzo luogo, l’individualismo esasperato. La persona è stata ridotta a individuo privo di legami, staccato dagli altri, più di fronte che dentro alla società, con un debole senso di appartenenza ad un popolo e ad una storia. Pur di essere -cittadino del mondo- l’uomo sembra diventato senza patria e senza famiglia. Ma così è più felice? Tagliando le radici della propria origine è ancora possibile avere una prospettiva, guardare il futuro? Verso dove se non so da dove? L’uomo è individuo aperto non chiuso e autoreferenziale; per questo è persona. Egli trascende se stesso perché non solo agisce ma sa di agire; si trascende perché entra in comunione con gli altri e il mondo; perché si realizza solo in una rete di relazioni; si trascende perché il suo cuore è fatto per l’infinito, è ferito da una specie di perenne inquietudine che è il richiamo di Dio e a Dio. La persona è veramente una creatura di confine, un vivente sulla spiaggia tra terra e cielo, tempo ed eternità.
7. Queste considerazioni descrivono appena il contesto europeo. Naturalmente ho tralasciato le luci: le possiamo vedere già dentro a quanto ho accennato. L’ uomo europeo è il campo a cui il Signore ci ha inviati come seminatori instancabili e coraggiosi, fiduciosi e pazienti. Ma come? Le vie sono quelle che già conosciamo: la catechesi, la liturgia e la carità. Cristo conosciuto, pregato e testimoniato. Ma possiamo porre qualche accento particolare in riferimento ad oggi? A mio parere, sì.
a) Quanto più l’uomo moderno è frettoloso e anonimo, tanto più è necessario fargli sentire la nostra vicinanza, presagio della affidabile vicinanza del Signore che chiama ciascuno per nome; che ci accoglie come un Padre che non si tanca di perdonare, di rialzare, di accompagnare. Bisogna rispondere all’angoscia del cuore moderno di essere senza nome e senza volto, invisibile, in mezzo a società che corrono per produrre e guadagnare. Società che tendono a scartare le ali più deboli, i bambini e gli anziani, perché entrambi hanno bisogno di sguardo, di attenzione e di cura. In questo senso, sia noi Pastori che le nostre comunità, dobbiamo esserci, dobbiamo essere visibili e reperibili, pronti ad avvicinarci a chi è ai bordi della vita, e prenderci cura. Dobbiamo vincere anche noi la tentazione della fretta e della indisponibilità.
b) Credere non nasce da una dottrina, non è la scelta di un codice etico o di una sapienza umana, ma è incontro della persona di Cristo. E un incontro non lo si può programmare e assicurare: accade se lo si desidera, se lo si attende anche in forma confusa. Ma come fare a suscitare tale desiderio? Pascal scriveva che i cristiani devono aiutare gli altri a “disperarsi”, cioè a prendere coscienza del vuoto dei loro miti, di tante aspirazioni che molto promettono ma rubano la vita. Bisogna far emergere le domande più vere che spesso restano sepolte sotto la cenere di rumori, menzogne, apparenze’sotto montagne di vuoto. Sepolte ma non morte perché non possono morire, in quanto fanno parte del cuore umano, e vivono fin quando pulsa il cuore. Gli uomini, più che cattivi, sono molto distratti. Illuminante l’affermazione di A. Gide: ‘Non perché mi sia stato detto che tu eri il Figlio di Dio ascolto la tua parola; ma la tua parola è bella al di sopra di ogni parola umana, e da ciò riconosco che tu sei il Figlio di Dio’.
c) Incontrare Gesù significa entrare in un rapporto da persona a persona: e vivere questo rapporto d’amore significa vita spirituale. Il calore e la bellezza della liturgia scalda il cuore e alimenta l’intimità con Dio, apre alla comunità, sospinge verso i poveri, sostiene ad essere partecipi convinti e responsabili della storia. La fede in Cristo deve diventare conoscenza del suo mistero con tutte le implicazioni di tipo antropologico e sociale. La Storia interpella i cristiani ad essere cittadini della città terrena e a portare il proprio originale contributo ai problemi e alle sfide dei tempi con la verità del Vangelo, la forza della testimonianza, la parressia umile e coraggiosa, disposti ad andare controcorrente, a cantare fuori dal coro del pensiero unico. E’ necessario però  che questa presenza non sia affidata solamente ai singoli, ma anche alla comunità visibile e udibile. Tra l’essere sale della terra e luce del mondo, vi è una complementarietà necessaria e indissolubile. Non si può essere luce senza essere sale, né essere sale senza essere luce e città posta sul monte.
d) Il tema dei mezzi di comunicazione si colloca a questo punto con realismo, prudenza e fiducia. E’ noto che i nuovi media offrono straordinarie opportunità di contatti e di conoscenze, e questo è certamente un bene. Ma non danno la sintesi e non educano ai rapporti. E’ pertanto necessario utilizzare questi mezzi senza esserne usati, senza illusioni ingenue, senza voler rincorrere le mode. Senza contare di più sul mezzo che sulla potenza del seme evangelico, irrorato dalla rugiada costante della preghiera e dal sole mite dei rapporti veri e della vicinanza: ‘cor ad cor loquitur’, ricordava il Card. Newman.
Cari Amici, spero che questo mio contributo possa essere utile ai nostri lavori: ogni nostra parola e gesto sia benedetto dal Signore della grazia e della comunione. Grazie!
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