Saluto e ringrazio con affetto quanti hanno lavorato per questo Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile. Insieme al caro Direttore che ci sta dando esempio di fede e speranza, con i Vescovi Italiani sono riconoscente agli Uffici della CEI per l’attenzione e la sollecitudine con cui sono al servizio delle nostre Diocesi. I lavori di queste giornate sicuramente porteranno frutti nella vostra vita, cari Amici, e aiuteranno la vostra missione educativa non solo nel mondo complesso ed entusiasmante della galassia giovanile, ma anche nel cambiamento d’epoca che il Signore ci dona. Vorrei offrirvi ‘in questa Veglia di preghiera’ alcuni spunti di riflessione che vanno ad aggiungersi ai tanti e importante stimoli di questi giorni.
1. Innanzitutto non temete! Come sulla via di Emmaus, anche oggi il Signore cammina con noi: non vuole che siamo sconsolati e scoraggiati, incerti e ricurvi come i due discepoli, tanto che non riconoscono Gesù risorto al loro fianco. I loro cuori mancano di speranza, sono schiacciati dalla delusione e dai loro problemi: quindi non vedono più Dio nelle cose semplici e quotidiane come il camminare insieme e condividere il pane. Noi, oggi, possiamo aggiungere la grazia del Battesimo e la realtà della Chiesa-Corpo di Cristo. Sappiamo ancora stupirci? Ci lasciamo prendere dalla meraviglia di ciò che ci circonda, e che non è possesso ma dono? Ognuno deve pensare se stesso non una sventura ma un dono. E da qui che parte la strada della santità. Siamo in grado di riconoscere ciò che non si vede e che è più importante di tante altre cose? Oppure non ci accorgiamo più di nulla al di fuori di noi stessi? ‘Gli occhi – scriveva Saint-Exupery – sono ciechi. Bisogna cercare col cuore’ (il Piccolo Principe). Sì, per accompagnare qualcuno nella via della vita, per indicare la strada di Gesù, bisogna essere capaci di vedere l’Invisibile, accorgerci del mistero nel quale viviamo, mistero abitato dalla Luce che è Cristo. I nostri occhi sanno vedere nella notte? Quella che a volte avvolge l’anima? Le notti che vorrebbero inghiottire il mondo e farci credere che tutto è inutile e che conta solo spremere l’attimo presente?
I giovani non sono così nel fondo del loro cuore: possono essere distratti dallo scintillio delle cose, storditi da mille rumori, ma mantengono l’istinto della luce e del bene. Aspettano – a volte in modo poco chiaro perfino a se stessi – qualcuno o qualcosa che li spodesti dai loro cavalli di legno e li atterri sulla terra di Dio e del prossimo.
2. La seconda cosa riguarda la vostra forza. Allenare gli altri costringe ad allenare se stessi! Vi allenate ogni giorno? Frequentate la palestra dell’Eucaristia e della Confessione? Gesù accompagna i discepoli fino ad Emmaus, mostrando uninfinita pazienza: si interessa ai loro discorsi, non si offende per la risposta sgarbata, vuole che lascino salire dalle loro anime i motivi veri della loro delusione e della litigiosità recriminatoria che si percepisce. Ha pazienza con le nostre durezze, aspetta il momento e ascolta. A volte noi cediamo alla ‘lamentela’ – come ha ricordato Papa Francesco – diventiamo polemici e ringhiosi, incolpiamo gli altri e le circostanze difficili, e così viviamo male ciò che comunque dobbiamo vivere. Quanta acqua buona viene così sprecata, si perde dal calice fessurato del nostro cuore? Viviamo male e facciamo vivere male; ci affatichiamo e non concludiamo. Ci manca l’alimento, frequentiamo poco la locanda di Gesù che – come ad Emmaus – vuole imbandire per noi. Fa tutto Lui: dopo aver spezzato il pane del Vangelo nel cammino, ora benedice e spezza il pane dell’Eucaristia e del perdono. Ma aspetta che – come i discepoli – anche noi gli rivolgiamo quella umanissima e divina invocazione: ‘Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto’. Potessero, queste parole, diventare una nostra invocazione abituale: sono le parole dell’amore che invocano la compagnia dell’amato, sapendo che, quanto più siamo deboli, tanto più ne abbiamo bisogno, e Lui lo desidera: ‘Egli entrò per rimanere con loro’!
3. Ma la locanda di Emmaus evoca anche unaltro luogo, la Chiesa. Non è forse questa la locanda dove il buon samaritano porta l’uomo ferito dai ladroni sulla via di Gerico? Essa è la casa dei figli di Dio, è il popolo che marcia dietro al Signore nonostante fatiche e cadute: ‘Nella Chiesa, io mi sento a casa mia’, scriveva Bernanos. E Sant’Agostino ripeteva: ‘Non si può avere Dio come Padre se non si ha la Chiesa come Madre’. Il Beato Isacco della Stella affermava che ‘Cristo non è mai intero senza la Chiesa, come la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti, il Cristo totale ed integro è capo e corpo ad un tempo’ (Dai discorsi, 11). Possiamo dire anche noi queste parole con la stessa convinzione, ma soprattutto con la stessa passione? Molte sono le cose che hanno valore, ma ce ne devono essere alcune per cui potremmo anche morire, perché lì si gioca la nostra vita.
Cari Amici, la Madonna, Regina di Genova, vi benedica: benedica voi, i vostri Vescovi, i vostri Sacerdoti. Senza di loro che cosa potremmo fare noi? Ritornerete nelle vostre Diocesi rigenerati: spero che porterete nel cuore l’immagine di Genova, città di mare, di orizzonti, di duro lavoro; un po’ schiva ma accogliente. Adagiata sulla costa, aperta sul mare e difesa dai monti, potrebbe riassumere questi giorni: anche noi, infatti, rassicurati dalla rocciosa presenza del Signore, raccolti e vicini gli uni gli altri come le case dei nostri vicoli, prendiamo il mare con passione e ardimento sulla barca della Chiesa. Su quella barca c’è Gesù, che a volte vediamo imperioso e rassicurante, a volte ci sembra dormire per mettere a prova la nostra fede. Sopra il nostro capo – ovunque saremo – brilla una stella, Maria. Quando guarderemo il cielo stellato ci penseremo gli uni gli altri, perché sarà come se in quei punti luminosi fossero impressi i nostri volti, la fede che portiamo nell’anima. Sarà veramente così, se nella luce diffusa vedremo – con gli occhi del cuore – il volto materno di Maria: ella è Madre, e in una Madre vi è sempre il volto del figlio, i nostri volti.