11-11-2012
Genova, Cattedrale di San Lorenzo,
11 novembre 2012
Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato
Signori Cardinali
Cari Fratelli e Sorelle
1. Ringraziamo il Signore Gesù per la bellezza della Chiesa, popolo di Dio e sua mistica Sposa. Essa procede serena nel mare della storia, poiché è nella mani di Dio: come Pietro sul lago di Galilea, nel cuore della notte e nell’ incertezza delle onde, la Chiesa essa deve tenere fisso lo sguardo sul volto del Signore. Solo allora può attraversare ogni mare ed essere barca sicura che offre rifugio e conforto, gioia e salvezza. Solo così la luce di Cristo, splendente sul volto della Chiesa, può illuminare tutti gli uomini annunziando il Vangelo (cfr Concilio Vaticano II, LG 1). Tenere fermo lo sguardo su Gesù benedetto! E’ quanto ogni discepolo è chiamato a fare perché l’opera della santità si compia in lui; ma quanto più deve essere il Vescovo a tenere fissi i suoi occhi negli occhi del grande Pastore! Naufragare nello sguardo del divino Maestro, e dimorare accanto al suo cuore! Dove potrà mai il Vescovo trovare luce e forza per la missione che la Chiesa pone sulle sue piccole spalle di uomo? Dove cercare riposo e pace? Dove attingere il sorriso di Padre per tutti e per ciascuno? Dove mendicare la gioia di cui siamo debitori al mondo? Dove ascoltare la parola di verità e di misericordia di cui è costituito Maestro autentico? Dove, se non perdendosi nella profondità di quello sguardo salvatore ed amico? Se non lasciandosi andare all’abbraccio che perennemente invita? “Vieni”, il Signore ha detto a Don Guido attraverso la voce della Chiesa: vieni e non temere perché io sarò con te. Ma questo invito solenne che sa di intimità e di amicizia, comporta sempre anche un “andare”: sì, per camminare verso di Lui è necessario lasciare, andar via da qualcosa, luoghi, ambienti, persone. Anche Pietro, per andare incontro alla Voce cara, deve lasciare la sua barca, i compagni di viaggio, e avventurarsi solo sulle acque, sfidare i limiti umani. Non dobbiamo avere paura: non perché sicuri delle nostre risorse – sempre così povere e fragili – ma perché sospesi alla parola del Maestro.
2. Non è forse questa la fede? La consacrazione episcopale che avviene nell’Anno della fede, resta segnata come un memoriale, come uno speciale appello ad essere non solo Maestro di fede, ma uomo di fede, di una fede – come insiste il Santo Padre Benedetto XVI – piena di gioia: “è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia del credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede” (Porta Fidei, 7) Ad una fede languida si risponde con una fede entusiasta, sapendo che la fede “è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui” (id 10). Alla malinconia triste e smarrita dei nostri tempi si risponde con la semplice gioia del Vangelo letto sulle ginocchia della Chiesa, invocando la grazia di aderire a Gesù non come a una idea o ad una organizzazione, ma come consegna senza condizioni a Lui, adorabile e unico Salvatore.
Ogni giorno il Vescovo sale la santa montagna per celebrare i divini Misteri e, come Mosé, prega per sé e per il popolo: nella sua anima c’è posto per tutti poiché, celebrando il sacrificio della Croce – come ricorda la lettera agli Ebrei – pone il suo piccolo cuore nel cuore stesso di Cristo. Sull’altare, ogni giorno deve imparare a guardare gli altri attraverso l’Ostia, perché solo così potrà avere la tenerezza di una madre, la determinazione di un padre, la pazienza di un santo, anche quando gli altri non lo guardano, non lo comprendono o lo disdegnano.
Immesso nella successione apostolica, il Vescovo è segno vivo del grande Pastore, del Sommo Sacerdote, del Maestro affidabile: egli deve essere lampada che brilla, posta sul candelabro per fare luce alla casa. Stare sul candelabro, comunque si voglia vederlo, è sempre impegnativo, anzi esigente, di solito scomodo. Ma necessario! Gesù vi è rimasto sempre, fino ad essere innalzato sul candelabro della croce, ma lì ha abbracciato ed elevato il mondo fino al cuore della Trinità.
3. Ma, se posso aggiungere, ricorda che la prima cura del Vescovo sono i suoi sacerdoti che deve tenere “come fratelli e amici” (Concilio Vaticano II, PO 7); e della loro santità il Concilio Vaticano II afferma che al Vescovo “incombe in primo luogo la grave responsabilità”. Come è possibile questo? Essere gravemente responsabili della santità altrui? Non può certo sostituirsi alla libertà di ciascuno, ma deve serenamente inquietarsi per la santità del suo Clero. Il Vescovo sa che Dio è fedele e non fa mancare la sua grazia; sa che la preghiera insistente e penitente apre i cuori; sa che il Concilio invita i presbiteri a venerare in lui l’autorità di Cristo supremo Pastore nella carità e nell’obbedienza (cfr id. 7). Ma sa anche che il modo migliore per aiutare i suoi sacerdoti è – lui per primo – percorrere umile e deciso la via della propria santificazione. Per questo, al termine del giorno, il Vescovo deve esaminarsi non tanto su ciò che ha fatto, ma su ciò che è stato. Egli sa anche che non deve offrire la vita agli uomini: in primo luogo la deve offrire a Dio, perché non è questione di essere un conquistatore di anime, ma, prima di tutto, di essere un conquistato da Dio.
4. La lettura del libro dei Re anticipa il Vangelo ascoltato. I due testi ci parlano – possiamo dire – del buon terreno e della sua composizione. Si tratta della fiducia, dell’umiltà e della carità evangelica: insieme portano grande frutto, possono fare anche miracoli. La vedova di Sarepta ha fiducia nelle parole del profeta: sembra semplice nella lettura, ma – data la situazione di carestia – l’atto di fiducia della donna è grandioso. Non si trattava solo di rischiare la propria vita ma anche quella del figlio! All’origine dell’atto di carità della donna – ha donato l’ultima farina e l’ultimo olio – vi era la fiducia in Dio. Quante volte, per molto meno ci mettiamo a discutere con Gesù e con la Chiesa! Ma allora, a che cosa si riduce la nostra fede se non diventa carità ed eroismo? E poi il Vangelo aggiunge la virtù dell’umiltà, il non voler affermare se stessi, il non affannarsi per emergere ed essere ammirati dagli uomini. Non si tratta di vivere rasentando i muri, ma di essere trasparenti alla presenza di Dio, di lasciarLo trasparire dalle nostre azioni e dalle nostre persone. La gente ha bisogno di scorgere nel Vescovo la bellezza di Cristo che è verità e amore di misericordia. E tutto questo conoscendo e sentendo, il Vescovo, il peso della sua povertà: quanto più sarà bruciante questa consapevolezza, tanto più sarà trasparente come una goccia di luce, la luce di Cristo.
La tua Chiesa ora ti aspetta. Da oggi il Signore ti vuole incontrare nella comunità che ti attende e che è qui ben rappresentata per stringersi attorno al suo nuovo Pastore, grata a chi l’ha fin’ora guidata, S.Em. il Card. Giuseppe Versaldi. Ad Alessandria, troverai una storia nobile di fede e di bontà, di preoccupazioni e di sofferenze: sarà la tua. Ma troverai anche la Madonna della Salve, l’antica e venerata immagine della Santa Vergine sostenuta da San Giovanni sotto la Croce. Sostienila anche tu: è un’immagine tenerissima piena di umanità e di fede. Sostienila con la preghiera filiale; Ella sosterrà te, i tuoi sacerdoti, il tuo popolo, nel cammino della fede verso Cristo Gesù, Speranza e Luce delle genti.
Angelo Card. Bagnasco