28 marzo 2013
Nel cuore della liturgia crismale vi saluto con rinnovato affetto. Penso alla vostra quotidiana dedizione e ne sono ammirato e grato. In questa divina Eucaristia vogliamo ringraziare il Signore anche per il dono di Papa Francesco dopo la rinuncia di Benedetto XVI. In Conclave – avvolti dal silenzio della Cappella Sistina e separati dal mondo – ogni Cardinale, davanti alla maestà del giudizio universale, doveva individuare colui che lo Spirito Santo aveva scelto come Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa. Momenti gravi, carichi di responsabilità, ma anche ricchi di fede nella consapevolezza che Cristo, Pastore dei Pastori, guida la Chiesa: nelle sue mani è salda e serena. Del riverbero di quella esperienza che ha segnato la mia anima, vorrei che foste partecipi anche a voi per crescere nella nostra comunione. Mentre ringraziamo la divina Provvidenza, Genova rinnova la sua devozione al Papa, gli assicura preghiera e fedeltà.
Il Vangelo ci ricorda che anche noi siamo consacrati con l’unzione dello Spirito; anche noi siamo inviati a portare ai poveri il lieto annunzio. Si tratta della misericordia di Dio che, dal varco della croce, si è riversata sulla terra, e che libera l’uomo dalla prigionia del peccato, origine di ogni povertà, oppressione, ingiustizia; dell’ incapacità di vedere la luce e di sciogliere la vita. La misericordia di Dio ci restituisce a Lui nell’abbraccio dell’amore: non siamo più soli con noi stessi. Per questo il Profeta parla di “lieto annuncio” e noi parliamo della gioia della fede. Proprio perché siamo inviati ad annunciare la fede, vorrei, cari Amici, portare alla nostra attenzione due cose.
La prima è che non possiamo essere ministri del Vangelo senza essere discepoli della gioia. Il Sacerdote non è un vinto della vita, un malinconico perenne; nel suo cuore egli canta perché è discepolo di Colui che ha predicato le Beatitudini. E’ l’uomo della gioia impenitente; sì, impenitente perché non è fondata su illusioni o successi, ma sul coraggio – in alcuni momenti sull’eroismo – e su Cristo. E’ una gioia spesso conquistata, implorata davanti al tabernacolo, strappata alla tentazione della sfiducia e del disincanto, e per questo patinata di bontà e di tenerezza per accarezzare le sofferenze della terra. Non tutto è facile nel ministero: possibili incomprensioni, iniziative mancate, tentativi da rinnovare, piccoli numeri, doveri che si ripetono nella monotonia dei giorni. E poi non di rado bisogna sostenere e rimotivare la partecipazione dei fedeli, sanare dissidi e tenere la comunione, ridare speranza alla comunità, seminare la gioia. E gli anni avanzano. E allora? Cari Confratelli, non è stata questa la vita di Gesù? E anche questo non è segno che siamo sulla sua strada? Non la nostra riuscita ma la sua gloria: e la gloria di Dio è quando un’anima – nel segreto della coscienza – si apre alla luce, la intravede e sorride alla speranza. Nessuno forse si accorgerà di questo miracolo che Dio compie servendosi della nostra povertà, ma è questo il senso del nostro sacerdozio, la bellezza della paternità che abbiamo ricevuto, la soddisfazione più grande insieme alla coscienza di aver fatto di tutto per compiere il nostro dovere per amore di Cristo e della Chiesa. Quante gioie il Signore ci dona nel nostro ministero a contatto con le anime: giovani e bambini, adulti e anziani, genitori e famiglie!
Forse, a volte, siamo anche tentati di confrontare i nostri doveri quotidiani con esperienze pastorali che hanno ampia eco, che sembrano raccogliere consensi facili, entusiasmo e numeri. Forse siamo tentati di paragonare le nostre parrocchie con luoghi ed esperienze che non di rado fanno “tendenza”, come se le nostre comunità fossero troppo piccole, modeste, fredde, incapaci di offrire il Vangelo e la vita cristiana. Tutto è bene ciò che è buono purché sia annunciato il Signore, ma se non c’è chi vive vicino alla gente, se non c’è qualcuno che ogni giorno si piega per arare il solco con pazienza – vorrei dire con gentilezza di animo e di tratto – per togliere la zizzania che sempre rinasce, per seminare a larghe mani il buon seme, per innaffiarlo con la preghiera e corroborarlo con il sacrificio… la gente dove troverà il pastore e il padre? Andrà a cercarlo in luoghi lontani che forse neppure conosce? La parrocchia è la Chiesa vicina alla vita delle persone, è la “fontana del villaggio” che tutti conoscono e vedono, sempre pronta ad accogliere e a generare la grazia. Ha un valore insostituibile pur nella crescente necessità di completarsi con ambienti, associazioni, gruppi e movimenti che lo Spirito suscita e che il Magistero approva. E’ grazie a questa rete capillare, diffusa sul territorio e in ogni ambiente di vita, che la Chiesa conosce i problemi reali di tutti: gioie e preoccupazioni. Specialmente in questi tempi magri e stentati, la comunità cristiana rappresenta un riferimento affidabile, prossimo e concreto, che contribuisce a tenere insieme un tessuto sociale sempre più incerto, sfilacciato e fragile.
E poi ci siamo noi con le nostre povertà personali, che vorremmo superare e cancellare non solo dal nostro cuore ma dalla nostra stessa memoria. Ma per essere ministri della gioia dobbiamo essere discepoli della misericordia: di quell’amore misericordioso che ogni giorno si curva innanzitutto su di noi come il samaritano, per lenire le ferite con l’olio della consolazione e il vino della gioia. No, non dobbiamo temere: “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1 Gv 3,20). Del sacramento della penitenza siamo ministri necessari, ma prima ancora destinatari umili, assidui, lieti.
Vorrei ora ricordare una seconda condizione per essere annunciatori del Vangelo. Si coglie con estrema chiarezza nella preghiera di Gesù nel cenacolo: “come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda” (Gv 17, 21). Che cosa chiede il Signore? Egli chiede al Padre la Chiesa: nel cuore del Maestro essa è la comunità dei discepoli che, mediante la parola apostolica, credono in Lui e così diventano una cosa sola. Egli chiede al Padre che i credenti “siano in noi”, che siano cioè nell’interiore comunione con la Trinità e che da questa comunione si crei un’unità che si possa vedere: una unità visibile che vada talmente al di là di ciò che solitamente è possibile agli uomini, da diventare segno per il mondo e così accreditare il Vangelo, farne risplendere la verità e la bellezza. Questa preghiera, vero atto fondativo della Chiesa, è un continuo esame di coscienza per noi. In quest’ora Gesù ci chiede: vivi tu nella fede la comunione d’amore con me? O vivi piuttosto per te stesso, secondo i tuoi gusti o interessi, allontanandoti così dalla sorgente della comunione e della gioia? Oscurando la mia missione nella storia? Anziché essere dei ponti per gli uomini verso Dio, saremmo un ostacolo. Tutto ciò che minaccia o distrugge l’ unità ha segnato dall’interno la passione di Cristo, il suo Calvario.
Cari Amici, coltiviamo la comunione presbiterale in tutti i modi possibili, a cominciare dall’essere per i fedeli una sola voce del Magistero dottrinale e morale della Chiesa. La comunione delle relazioni non sarà mai perfetta, ma è ugualmente una realtà voluta dal Signore. I rapporti personali, gli incontri mensili di Vicariato, la mensa comune se possibile settimanale, gli appuntamenti Diocesani, le giornate di fraternità, la preghiera insieme, le collaborazioni pastorali…forse sono piccole cose ma sono concrete e, nel tempo, diventano riferimenti affidabili e belli. Anche condividere i desideri pastorali crea legami di destino e di vita. A cominciare dall’ansia per le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa: pregare e parlarne ovunque con gioia forma comunione di anime. Per questo chiedo a tutti di avere a cuore la pastorale vocazionale e di celebrare con impegno la prossima Giornata Mondiale per le Vocazioni nella 4° domenica di Pasqua. Le vocazioni sono innanzitutto un atto di fede di ciascuno di noi, e di noi insieme. Non possiamo qui non pensare ai confratelli che sono avanti negli anni o malati: ad essi siamo tutti debitori. Da questo altare vogliamo raggiungerli con le ali della preghiera: essi sono il centro pulsante e nascosto del nostro ministero così come il cuore alimenta la vita. La Santa Vergine Maria, Madre degli Apostoli e Regina di Genova, ci benedica insieme alle nostre comunità, all’intera Diocesi. Amen.