19 maggio 2013
Il mistero della Pentecoste si rinnova oggi nel segno della Liturgia: come attraverso un varco, lo Spirito Santo filtra dalle piaghe di Cristo, rinnova la terra con la paternità di Dio, unge il mondo con la luce del suo amore, crea un’umanità nuova di figli e fratelli. L’antica Babele è redenta, la comunione dei cuori è possibile, bisogna solo arrendersi allo dolce azione dello Spirito!
Ma oggi la nostra gioia cresce perché lo Spirito Santo sta per consacrare questi nostri seminaristi: tre diventeranno sacerdoti e quattro diaconi in vista del Sacerdozio. E’ una grande grazia per la nostra Diocesi e, mentre benediciamo Dio, ci stringiamo a loro con la preghiera e l’affetto.
A coloro che stanno per ricevere il Diaconato, segno sacramentale di Gesù servo dell’uomo, diciamo che oggi essi consegnano il loro cuore a Cristo e alla Chiesa per sempre. Cari amici, è questo il vostro più importante modo di servire il mondo: essere, ognuno, tutto e solo di Dio, anima e corpo, intelligenza e cuore. Nel nostro tempo, sembra che non si trovi più il coraggio di promettere fedeltà per tutta la vita; il coraggio di decidersi e di dire: io ora appartengo totalmente a te. Sembra che tutto debba essere a tempo, una prova; che qualunque scelta debba tenere aperta una via di fuga. Ma solo nelle decisioni definitive l’uomo matura veramente, nella fedeltà a qualunque costo esprime la propria consistenza e affidabilità. Le emozioni vanno e vengono, ma non bisogna temere: fanno parte dell’impasto umano. Questa scelta consapevole e libera la dovrete guardare in faccia ogni giorno: sarà davanti a Gesù, cuore a cuore con Lui, che la vostra risposta si confermerà, metterà radici profonde, e porterà frutto. In questa consegna di castità piena e d’amore, si rinnoverà il gesto di Gesù nel cenacolo, quando – cinto un asciugatoio – si inginocchiò davanti agli apostoli per lavar loro i piedi. Ricordate: qualunque servizio il Vescovo vi chiederà – da diaconi o da sacerdoti – sarà una forma della vostra radicale appartenenza d’amore a Dio. Ecco perché, anche quando gli anni proseguono inesorabili e le forze riducono l’attività pastorale, il servizio rimane fecondo: l’essere totalmente di Dio, infatti, è essere in stato perenne di dono. Siate vigili sul vostro cuore: è il sacrario della vostra vita e del vostro diaconato.
A voi, cari amici che state per essere configurati sacramentalmente a Cristo Sacerdote e Pastore, ricordo le parole di san Giovanni Crisostomo: “A uomini che vivono sulla terra è stata affidata l’amministrazione dei tesori celesti ed è stato dato un potere che Dio non ha concesso agli angeli” (Il Sacerdozio, 3, 4-5). La grandezza dei poteri non è per la vostra grandezza, ma per la vostra umiltà e per il vostro servizio: quanto più grandi sono i doni di Dio tanto più emerge la coscienza della nostra piccolezza, e quanto più il popolo vi guarderà con stima e affetto perché ministri del Signore, tanto più sentirete l’indegnità e la gratitudine per il dono ricevuto. Ecco la gioia del sacerdozio. Non c’è spazio per l’orgoglio o la presunzione, per i propri comodi. Il pastore non è un funzionario del sacro, ma un uomo segnato dal fuoco dello Spirito, un uomo che – in un certo senso – non s’appartiene più perché appartiene al Signore e alla Chiesa. E’, come l’Apostolo, “prigioniero di Cristo Gesù” (Filemone, 1): è una prigionia d’amore, per questo è un uomo libero. Per lui, infatti, la prima questione non è di essere un “conquistatore” di anime, ma di essere lui “conquistato” da Cristo. Non deve possedere gli altri, ma essere lui posseduto da Dio. E qui ritorna la gioia. E’ questa la ragione per cui il sacerdote è l’uomo della gioia, una gioia intrisa di bontà, una gioia ostinata, impenitente perché non è fondata su illusioni, affermazione di sé, preferenze personali, beni effimeri, comodi propri, ma su Dio. Una gioia che si alimenta ogni giorno al bacio del Crocifisso e, per questo, non esita a stringersi alla sua corona di spine. Ecco perché il sacerdote non può non essere portatore di gioia anche quando – in certi momenti – la deve mendicare per sé bussando da solo al cuore del tabernacolo. Ed ecco perché non può esistere un sacerdote triste; potrà trovarsi in difficoltà come tutti, essere provato, nella sofferenza, ma non triste e lamentoso: “le lamentele – diceva Papa Francesco – fanno male al cuore (…) anche quelle contro noi stessi” (Omelia Santa Marta, 3.4.2013). Siate dunque messaggeri della gioia di Gesù!
Quante volte vi sarete domandati: “perché Dio ha scelto proprio me? Chi sono io? Forse migliore di altri?”. A questa doverosa domanda risponde solo un’altra domanda: “Si può chiedere spiegazioni all’amore?”. Nessuno di noi è migliore e più degno di altri, ma l’amore ha le sue ragioni e, queste, sono ragioni d’amore. Vivete umili e sarete liberi; vivete umili e dimorerete nell’adorazione. Adorare è stare davanti alla divina Eucaristia, ma anche vivere sulla “strada” alla presenza di Dio. Significa vivere con lo sguardo verso Gesù: e allora tutto si trasfigura poiché i nostri occhi sono trasfigurati e vedono l’invisibile. Vedono che tutto è storia di salvezza e che le tenebre del male sono sì aggressive, ma Gesù ha salvato il mondo. Vedono che gli altri sono anime comprate a caro prezzo, il sangue del Figlio di Dio. Vedono che tutto è grande e bello, anche le croci, se vissuto con Lui, e che possiamo abbracciare il mondo non perché corrivi col peccato, ma perché partecipi dell’amore. Anche voi, cari Amici e figli, potrete abbracciare la terra rimanendo liberi solo se lo guarderete con gli occhi del Signore: altrimenti vedrete solo voi stessi. Ecco perché il sacerdote è chiamato a vivere in adorazione, guardando cioè instancabilmente il volto di Cristo.
Cari ordinandi diaconi e sacerdoti, prestate attenzione a quel cuore d’argento appeso al collo della Madonna Regina in questa nostra splendida cattedrale: esso ci rimanda al cuore d’argento che – nel 2010, anno sacerdotale – abbiamo affidato alla Madonna della Guardia. In quel cuore che brilla, ci sono anche i vostri cuori. Sono deposti sul cuore della Madre di Dio e nostra. Non dimenticatelo mai! Sentirete la sua tenerezza.