Agostino Roscelli

Prete di seconda fila, mai chiamato per prediche perché alle folle non sa parlare. Ma alle persone, sì. È l’uomo del dialogo nel confessionale della Consolazione, una chiesa genovese. Lì è cercato e ascoltato, lì il passaparola fa arrivare gente di ogni condizione in cerca di una guida. E lui, attraverso i suoi penitenti, viene a conoscere la realtà taciuta del sommerso: quei ragazzi e ragazze che affluiscono in città analfabeti e senza mestiere, e tutte le vie tortuose che tanti ne trascinano alla sottoccupazione, allo sfruttamento, alla criminalità. Con l’aiuto di alcune catechiste, don Agostino passa all’azione. Nasce un gruppo di volontarie, si trova una casa e vi si accolgono le prime ragazze in difficoltà, per liberarle dall’analfabetismo e dar loro una formazione morale e un mestiere rispettato. Tutto nasce e funziona con ligure sobrietà ed efficienza, e l’opera cresce appunto perché risponde bene a necessità forti. E qualcuno suggerisce di trasformare quest’iniziativa di volontariato in stabile Congregazione religiosa. Lui non vorrebbe; ha un sorta di orticaria per tutto ciò che è ufficiale e solenne (dice spesso che in Paradiso c’è anche “chi non fu martire né contemplativo né vergine, ma non vi è alcuno che non sia stato umile”). Arrivano poi la spinta del suo arcivescovo, e addirittura l’incoraggiamento di Pio IX: a quel punto don Agostino dà vita (1876) alla Congregazione delle Figlie dell’Immacolata, ora presenti in Italia e all’estero. In Agostino Roscelli la Chiesa ci addita un esempio di sacerdote e di fondatore santo. Come sacerdote incarnò la figura del “pastore”, dell’educatore alla fede, del ministro della Parola, della guida spirituale. Sempre pronto a donarsi nell’obbedienza, nell’umiltà, nel silenzio e nel sacrificio, cercò solo la volontà di Colui che lo aveva chiamato e inviato. Nello svolgimento del suo ministero sacerdotale seguì l’esempio di Cristo, armonizzando la vita interiore con l’intensa azione pastorale e la sua opera fu feconda perché alimentata da una continua preghiera e da un forte amore all’Eucaristia. Seppe leggere le situazioni del suo tempo e intervenire concretamente in favore dei più indifesi e in particolare si adoperò per salvare la gioventù dalle insidie e dai pericoli morali. Si lasciò condurre dallo Spirito fino a fondare, senza quasi saperlo, una Famiglia religiosa.
Nato a Bargone di Casarza Ligure (GE) il 27 luglio 1818 da Domenico e Maria Gianelli, fu battezzato lo stesso giorno perché si temeva per la sua vita. La sua famiglia, povera di mezzi materiali, gli fu sempre esempio di fede e di virtù cristiane. Intelligente, sensibile, piuttosto riservato, Agostino si rese presto utile alla famiglia nella custodia del gregge paterno. I genitori lo affidarono al Parroco, Don Andrea Garibaldi che gli impartì i primi elementi del sapere.
Nel maggio 1835 in occasione di una missione animata dall’Arciprete di Chiavari Antonio Maria Gianelli, Agostino si sentì decisamente chiamato al sacerdozio e si trasferì a Genova per intraprendere gli studi. Gli anni di preparazione all’Ordinazione sacerdotale furono duri e difficili dovendo egli affrontare gravi disagi economici. Lo sostennero la volontà tenace, la preghiera intensa e l’aiuto di persone buone quali il Canonico Gianelli che, divenuto Vescovo di Bobbio nel 1838, gli trovò una sistemazione in qualità di Chierico-sacrestano e custode della chiesa presso il Conservatorio delle Figlie di San Giuseppe in salita San Rocchino, di cui il Gianelli era Direttore. I Gesuiti, poi, lo videro “zelante prefetto”, come afferma lo stesso Rettore in data 1845.
Il 19 settembre 1846 fu ordinato sacerdote dal Cardinale Placido Maria Tadini.
Vice Parroco – Confessore santo – Educatore presso gli Artigianelli Don Agostino fu subito destinato alla popolosa borgata di San Martino d’Albaro dove, nello spirito di Cristo Pastore e nell’adempimento di tutti i sacramenti, iniziò il suo umile servizio nell’opera di santificazione dedicandosi con lo zelo, con la carità e con l’esempio all’incremento spirituale del Corpo di Cristo.
Nel confessionale acquisì una concreta conoscenza della realtà triste e dei pericoli in cui venivano a trovarsi tante giovani che, per motivi di lavoro, si trasferivano in città divenendo facile preda dei disonesti. Lì il suo cuore di padre trepidava e fremeva al pensiero che tante anime semplici potessero perdersi, perché lasciate sole ed indifese.
Nel 1858, pur continuando a dedicarsi assiduamente al ministero della confessione, accettò di collaborare con Don Francesco Montebruno all’Opera degli Artigianelli.
Nel 1872 allargò il suo campo di apostolato. Come Ministro di Cristo “preso tra gli uomini e costituito in favore degli uomini” si consacrò interamente all’opera a cui il Signore lo aveva chiamato, senza estraniarsi dalle miserie e dalle povertà morali della città, interessandosi non solo della gioventù maschile e femminile ma anche dei detenuti nelle carceri di Sant’Andrea per portare il conforto e la misericordia del Signore. Nel 1874, Cappellano del nuovo Brefotrofio Provinciale in salita delle Fieschine, si dedicò ai neonati conferendo loro il Battesimo per un arco di 22 anni (dai registri risulta che i battezzati furono ben 8.484) e, facendo sue le parole di Sant’Agostino “il compimento di tutte le nostre opere è l’amore”, lavorò intensamente anche a favore delle ragazze-madri: semplici fanciulle del popolo che per la mancanza di un lavoro dignitoso e retribuito, cadevano vittime di malintenzionati.
Don Roscelli accolse la proposta di alcune sue penitenti spiritualmente mature che, condividendo il suo desiderio di salvare le anime, gli offrirono la loro collaborazione per aiutare tante ragazze bisognose di assistenza morale, di una guida sicura, e di essere messe in grado di guadagnare onestamente da vivere. In queste sedi le ragazze ricevevano una istruzione morale e religiosa, unita ad una solida formazione umana e cristiana tale da metterle in grado di prevenire o di difendersi dai pericoli della città, e nello stesso tempo di essere preparate professionalmente.
La timida idea di dar vita ad una Congregazione religiosa fu incoraggiata da Mons. Salvatore Magnasco e dalle collaboratrici di Roscelli, le maestre delle Case-Laboratorio, ben convinte che la consacrazione a Cristo e l’impegno di santificazione nella vita comunitaria sono la forza dell’apostolato. Don Agostino, interpellò anche Pio IX e dopo aver ricevuto la risposta “Deus benedicat te et opera tua bona” si rimise totalmente alla volontà di Dio; il 15 ottobre 1876 realizzò il suo sogno e il 22 dello stesso mese consegnò l’abito religioso alle prime Figlie che chiamò Suore dell’Immacolata, indicando loro il cammino di santità segnato particolarmente dalle virtù proprie di Colei che è modello della vita consacrata. La sua opera, dopo le prime incertezze, si consolidò e si dilatò oltre i confini di Genova e dell’Italia.
L’esistenza del “povero prete” si concluse il 7 maggio 1902.
Don Roscelli fu:
Uomo di Dio: ha intuito i disegni di Dio su di sé e si è abbandonato a lui in totale docilità.
Umile prete: in lui l’azione divina e quella umana, la contemplazione e l’azione si sono integrate in una mirabile unità di vita; il suo apostolato è scaturito dall’esperienza di Dio che si apre alla preghiera, alla testimonianza di fedeltà al ministero sacerdotale, all’annuncio del Vangelo.
Sale della terra: contemplativo, povero, austero, ha scelto sempre l’ultimo posto, la rinuncia. Dimentico di sé, delle proprie esigenze, del proprio tempo, sempre a disposizione nel confessionale, come lievito evangelico, intensificò la carità “in cui confluivano l’amore verso Dio e l’amore verso gli uomini”.
Segno profetico: separato dal mondo ma in stretto rapporto con la realtà concreta del suo tempo, il Roscelli ha reso visibile il primato dell’amore di Dio accostandosi, con spirito misericordioso e con cuore amoroso di Padre, agli abbandonati, ai carcerati, alle ragazze-madri, alla gioventù in genere e a chiunque fosse caduto vittima dell’ingiustizia: tutti aiutò con profonda sensibilità per i diritti umani e per la giusta causa della promozione dell’uomo.
È stato canonizzato da Giovanni Paolo II il 10 giugno 2001.
da: www.vatican.va
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