«Cari sacerdoti, ho subito pensato a voi»

Lettera ai sacerdoti della Diocesi all'inizio del ministero pastorale

26-01-2003

Cari sacerdoti,

fin dal 10 dicembre, giorno della mia nomina a successore del Cardinale Dionigi Tettamanzi quale Arcivescovo di Genova, ho pensato subito a voi, compartecipi di o a un evento che ci supera tutti e ci investe col suo significato di grazia. È un avvenimento di Chiesa, continuatrice dell’opera di salvezza di Cristo, nel tempo e nello spazio. Si tratta della successione Apostolica, che porta con sé il passaggio da un successore degli Apostoli ad un altro, anello di una lunga catena che si sviluppa nella storia pluricentenaria di questa illustre e prestigiosa Chiesa di San Siro. È una grazia nuova di autentico amore pastora le e di responsabilità episcopale. E alcuni di voi l’hanno rilevato nelle lettere che hanno voluto scrivermi.

Certamente c’è un disegno di amore su ciascuno di noi, come c’è un disegno di amore sulla Chiesa da parte di Cristo, che l’ama, la nutre e la santifica con la Parola e con i Sacramenti, e perciò con la chia­mata e con il dono dei suoi ministri.

“Il sacerdote, alter Christus, è nella Chiesa il ministro delle azioni salvifiche essenziali. Per il suo potere sacrificale sul Corpo e sul Sangue del Redentore, per la sua potestà di annunciare autorevolmente il Vangelo, di vincere il male del peccato mediante il perdono sacramentale, egli – in persona Christi Capitis – è fonte di vita e vitalità nella Chiesa e nella sua parrocchia. Il sacerdote non è la sorgente di que­sta vita spirituale, ma colui che la distri­buisce a tutto il popolo di Dio. E’ il servo che, nell’unzione dello Spirito, accede al santuario sacramentale: Cristo Crocifisso (Cfr. Gv 19, 31-37) e Risorto (Cfr. Gv 20, 20-23), dal quale sgorga la salvezza” .

Coscienti di questa missione, siamo chia­mati a costruire una profonda unità tra vita interiore e attività pastorale. La crescita di questa unità di vita si fonda sulla carità pastorale nutrita da una solida esperienza di preghiera, per essere inseparabilmente uomini di carità e maestri di vita interiore.

“L’intera storia della Chiesa è illuminata da splendidi modelli di donazione pastorale veramente radicale; si tratta di una numerosa schiera di santi sacerdoti, come il Curato d’Ars, patrono dei parroci, che sono giunti ad una riconosciuta santità attraverso la generosa ed instancabile dedizione alla cura delle anime, accompagnata da una profonda ascesi e vita interiore. Questi pastori, divorati dall’amore di Cristo e dalla conseguente carità pastora­le, costituiscono un Vangelo vissuto”.

Ciò che caratterizza e unifica la spiritualità e la vita del presbitero è la decisione di subordinarsi alla missione, così da avere “mani e piedi legati dallo Spirito” (At 20,22), a servizio e vantaggio di ciò che è utile a molti, in modo che siano salvi. Questo comporta la simultanea attenzione e docilità sia allo Spirito, che con la varietà dei suoi doni parla e agisce all’interno del Popolo di Dio, sia a coloro che dallo stes­so Spirito hanno ricevuto il carisma del­l’autorità a servizio di tutti, perché tutti siano nella verità “una cosa sola”. Dice Paolo VI: “Cristo ha affidato il compimen­to della sua opera nell’umanità a due fatto­ri differenti: allo Spirito e agli Apostoli. Egli ha promesso di mandare lo Spirito, ed egli ha mandato gli Apostoli. Queste due missioni provengono ugualmente da Cri­sto. Il disegno incontestabile del Divino Fondatore della Chiesa vuole che la Chiesa sia costruita dagli Apostoli e che sia vivificata dallo Spirito. Gli Apostoli costruiscono il “corpo della Chiesa”, di cui l’anima è lo Spirito di Cristo”.

Quest’anno liturgico leggiamo e meditiamo il Vangelo di Marco. È interessante rievocare quello che viene chiamato il “breviario di viaggio” dei discepoli in missione “a due a due” (Mc 6,7-13). La prima indicazione che ci dà l’evangelista riguar­da la fraternità sacerdotale.

“Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando. Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due” (Mc 6,6b- 7). Si è mandati in due come segno di comunione, come germe del Regno. Da soli non possiamo dire un Vangelo che è la Buona Notizia dell’offerta di una comunione, del desiderio di Dio di non abbandonare l’uomo alla sua solitudine. Dio stesso, nel Figlio, si presenta come comunione offerta instancabilmente, e il Figlio si consegna agli uomini restando in questa comunione con il Padre anche nell’estrema lontananza, per mezzo dello Spirito. Annunciare una comunione così grande non è possibile da soli. Fin dall’inizio, l’uomo e la donna sono creati come immagine di Dio-comunione, proprio nella loro relazione reciproca. Può forse portare il segno di questa comunione un’immagine individualista di ministero? Questa fraternità viene descritta allusivamente nel testo in due dimensioni che ci sembrano evocative e significative. C’è una vicinanza e una fraternità che accompagna il viaggio: è il fratello insieme al quale si è inviati. Sullo sfondo, ma essenziale, c’è poi una fraternità più ampia, quella dell’insieme dei dodici con i quali è condiviso il mandato. Entrambe le dimensioni hanno la loro origine nella chiamata alla sequela: è il Signore che invia a due a due, ed è attorno a lui che si ritrovano i discepoli. Da una parte ci sono i fratelli concreti con i quali ogni prete vive il proprio mandato; è una rete di relazioni – che comprende i fratelli nel ministero ma anche ogni figura vocazionale – che fa della missione un atto di comunione, anche nelle sue espressioni concrete. Dall’altra, sullo sfondo di questa fraternità concreta, c’è una fraternità più ampia, che si esprime nell’appartenenza alla Chiesa locale e, per il prete, nel suo inserimento in un presbiterio. Quest’ultimo custodisce, nel suo insieme e nel suo radunarsi attorno al Vescovo, la comunione apostolica. Le due dimensioni della fraternità si sostengono a vicenda. Essa deve avere la forma reale e concreta di fratelli con i quali .si condivide la strada della missione; insieme vive di un orizzonte ecclesiale più ampio, di un presbiterio nel suo insieme che si raduna attorno al Vescovo nella Chiesa locale: un aspetto rafforza l’altro.

Credo che possiamo accogliere questo messaggio con piena disponibilità e meditarlo nel nostro cuore. È sempre aperta per ognuno di noi e per la Chiesa una pagina di storia sacra, che scriviamo vivendo e lasciandoci guidare dagli interventi di Dio nel tempo e nel mondo.

Noi Sacerdoti dovremmo essere esperti, testimoni e artefici di comunione, coltivando alcuni atteggiamenti che sono decisivi al riguardo:

– la capacità di rapporti interpersonali

profondi, non solo funzionali al lavoro, ma tali da maturare in amicizia verso la crescita nel Signore e la solidarietà nella missione;

– la capacità di superare le carenze di alcuni, come la difficoltà a comunicarsi, la timidezza, la tristezza e il disagio, con un atteggiamento fatto da vicinanza, di unione, di gioia;

– l’impegno a coltivare le qualità umane richieste per il successo di qualsiasi gruppo sociale, quali: l’autostima, la gentilezza, la sincerità, il controllo di sé, il senso dell’umorismo, lo spirito di condivisione;

– la comunicazione, che non si riduce allo scambio di notizie del giornale o dei dati di lavoro, ma che si manifesta nella condivisione di esperienze e di intuizioni che riguardano la nostra vita in Cristo e la vita della Chiesa; che si favorisce attraverso la revisione di vita, la verifica della comunità, l’interscambio nella preghiera, il discernimento su situazioni, progetti e avvenimenti, sempre pronti a modificare giudizi e posizioni anche solo ai fini della convergenza fraterna e operativa;

– infine, la capacità di lavorare insieme, passando dall’io al noi, dal mio lavoro o settore alla nostra missione, dalla concen­trazione sui miei obiettivi e mezzi alla con­vergenza sull’evangelizzazione e le mète formative. A questo giovano i consigli e le assemblee comunitarie, i ritiri spirituali e gli incontri fraterni.

Una profonda comunione fra noi è il mio augurio per il nuovo anno e per il nuovo tratto di strada che percorreremo insieme “alla scuola” di Maria. “Una “scuola” quella di Maria, tanto più efficace, se si pensa che Ella la svolge ottenendoci in abbondanza i doni dello Spirito Santo”.

In comunione di fede, speranza e carità invoco su ciascuno di voi e sulle vostre Comunità la benedizione del Signore.

Con affetto fraterno.

Tarcisio Bertone, SDB

Arcivescovo

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