«Coraggio, Chiesa di Genova, il Signore ti chiama!»

Lettera Pastorale 2003

PROGRAMMAZIONE PASTORALE TRIENNALE

 

Coraggio, Chiesa di Genova, il Signore ti chiama!

 

Alla Chiesa di Dio che è in Genova

con tutto l’affetto del mio cuore

in Cristo Gesù, nostro Signore e Salvatore.

 

Introduzione

All’origine di un progetto

  1. I primi mesi della mia presenza nell’Arcidiocesi di Genova come Arcivescovo mi hanno dato la gioiosa opportunità di realizzare molti e significativi incontri. Non posso dimenticare le numerose visite alle comunità parrocchiali, la conoscenza della variegata realtà ecclesiale genovese ben rappresentata negli organismi diocesani di partecipazione, le riunioni con gli Uffici di Curia. E soprattutto porto già nel cuore i numerosi colloqui avuti con i sacerdoti e attraverso i quali mi è stato possibile toccare con mano le belle realtà pastorali presenti nella nostra comunità cristiana, insieme alle fatiche e alle speranze che caratterizzano la vita quotidiana della nostra Chiesa.

Un primo quadro significativo della realtà diocesana, così come è emerso da questi incontri, ha trovato puntuale riscontro e ulteriore approfondimento nel Convegno Diocesano di verifica e riprogettazione pastorale tenutosi lo scorso mese di maggio. Quelle due giornate di ascolto, di riflessione e di cordiale scambio di vedute e di esperienze mi hanno dato la possibilità di individuare alcune priorità da mettere all’ordine del giorno nella presente programmazione pastorale triennale. Quelle stesse priorità sono state dibattute, approfondite e condivise anche in altre sedi: dapprima nella riunione del Consiglio Pastorale Diocesano, poi in quella dei Direttori degli Uffici di Curia e, infine, nella riunione del Consiglio Presbiterale Diocesano e dei Vicari. Così sono emerse in modo piuttosto chiaro tre direzioni da intraprendere nel cammino della nostra Chiesa: quella dell’iniziazione cristiana – con l’indispensabile coinvolgimento dei genitori –, della pastorale giovanile e della pastorale familiare – con un’attenzione particolare alla terza età -. Il tutto all’interno di un quadro di collaborazione e di coordinamento che mi piace definire “spiritualità del con”.

  1. Nel contempo, il cammino da percorrere in queste tre direzioni, che interessano altrettanti settori della nostra pastorale, si intreccia con la cura degli ambienti di vita. Una cura che è stata oggetto di privilegiato studio e approfondimento, soprattutto in sede di Consiglio Pastorale Diocesano, negli anni dell’episcopato genovese del mio caro predecessore, il Cardinale Dionigi Tettamanzi. Ogni ambiente di vita, di conseguenza, dovrà essere considerato con grande interesse. Le circostanze, però, nelle quali viviamo, e alcune significative riflessioni fatte da molti in sede di Convegno Diocesano, mi portano a dare particolare rilievo, negli anni a venire, all’ambiente umano della scuola. Non è forse vero che proprio nella scuola entriamo in relazione con i ragazzi e i giovani, così come con le famiglie e con gli adulti in genere? In questo senso mi piace considerare la scuola come un crocevia privilegiato per l’incontro quotidiano con il mondo di oggi, quel mondo nel quale il Signore ci manda ad annunciare la sua Parola di salvezza. Avverto, allora, che la consapevolezza nuova dell’importanza di un impegno pastorale ad ampio raggio nella scuola da una parte è sintomo di un risveglio missionario della nostra Chiesa, dall’altra proprio questo impegno, pensato e realizzato nel tempo, potrà favorire quella conversione pastorale in chiave missionaria, da tante parti sollecitata e di cui tutti abbiamo sicuramente urgente bisogno.

Ho parlato di programmazione pastorale triennale. Mia intenzione, infatti, è quella di fare convergere l’impegno di tutti nelle tre direzioni indicate per un tempo relativamente lungo, nella convinzione che non sia sufficiente né produttivo limitare a un solo anno un programma che appare da subito impegnativo. Dico questo non per scoraggiare il nostro entusiasmo mentre ci mettiamo al lavoro nella vigna del Signore, ma piuttosto per invitare tutti all’operosità seria e appassionata nel segno della comunione.

 

Coraggio! Alzati, ti chiama!”

  1. Il coraggio e l’invito all’operosità seria e appassionata hanno riecheggiato anzitutto nel mio cuore di pastore durante la lettura di un testo evangelico a tutti ben noto e che mi sarà caro richiamare di seguito, come orizzonte ideale a cui fare riferimento in ogni tematica affrontata. Mi riferisco all’incontro tra Gesù e l’uomo cieco Bartiméo, che mendicava lungo la strada nei pressi di Gerico, raccontato nel Vangelo di Marco (10, 46-52). Proprio a quel cieco che, privo di risorse umane, grida a Gesù la sua domanda fiduciosa di pietà e di aiuto, viene rivolto lo stupendo invito: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”.

E’ un invito che ho sentito ancora una volta indirizzato a me e a motivo del quale con grande fiducia ho intrapreso la gioiosa fatica della programmazione pastorale, guardando al futuro della nostra Chiesa con la ferma speranza che viene dal Signore e dalla sua fedele presenza di amore. Il Signore mi chiama: posso forse tirarmi indietro? Il Signore mi chiama: posso dubitare che si tratti di una rinnovata promessa di salvezza e di vita?

È un invito che, attraverso di me, desidero raggiunga tutti. Forse alcuni sono affaticati sotto il peso del duro lavoro cui il nostro Maestro chiama ogni giorno; altri portano i segni della disillusione e della tristezza per un annuncio evangelico che pare spesso scontrarsi contro il muro della contrarietà e dell’indifferenza; altri ancora vivono l’amara esperienza della propria debolezza e della propria infedeltà a Dio. Certo, sovente tutti, chi più chi meno, viviamo nella stanchezza e nello scoraggiamento. E’ proprio a noi, alla nostra Chiesa, che è rivolta la parola del coraggio e dell’invito ad alzarsi. Se il Signore Gesù è con noi e ci chiama, che cosa mai potrà privarci della fiducia, dello slancio, della tenacia che mai si adagia, del desiderio di tentare vie nuove per raggiungere al cuore questo mondo che amiamo e che vogliamo coinvolgere nell’esaltante esperienza di salvezza che ha conquistato la nostra vita?

È un invito che desideriamo insieme fare risuonare in ogni angolo della nostra terra, perché la chiamata di amore di Gesù raggiunga ogni uomo e ogni donna e faccia loro scoprire la bellezza sorprendente della vita nuova in Cristo e la gioia di poterla condividere in quella famiglia straordinaria che è la Chiesa.

  1. Nel momento in cui mi sono messo in ascolto dell’invito ad avere coraggio e ad alzarmi ho potuto rinnovare in me l’esperienza gioiosa di una chiamata che il Signore mi fa giungere per il tramite della sua Chiesa. Nel brano evangelico citato Gesù si rivolge immediatamente ai discepoli -“chiamatelo”-, perché siano essi, a loro volta, a rivolgere al cieco l’esortazione ad alzarsi e ad avvicinarsi.

Così mi è parso di ascoltare in quel “Coraggio! Alzati, ti chiama!” l’invito della Chiesa che qui a Genova ci ha preceduto e che nel corso della storia ha fatto ripetuta esperienza delle meraviglie dell’amore di Dio. E’ anche a partire da questa bellissima tradizione di grazia e di opere, testimonianza viva dell’amore di Cristo per noi, che riprendo il mio cammino. Ed esorto tutti a riprenderlo con me.

Possiamo forse dimenticare la storia di santità che è fiorita lungo i secoli del nostro passato? Nei primi mesi del mio servizio episcopale genovese ho avuto la gioia di vedere proclamata beata Eugenia Ravasco e santa Virginia Centurione Bracelli. Ma come dimenticare i moltissimi santi che, anche recentemente, la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente tali, e che hanno contribuito a fare grande e cristiana la nostra terra? E’ da questi amici, vivi nella comunione dei santi, come anche da tutti coloro che nascostamente, ma non meno fedelmente, hanno seguito la chiamata del Signore che oggi arriva a noi l’invito: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. E’ un invito che ha origine da un’esperienza vissuta: la fedeltà di Dio alle sue promesse. Come è chiara questa fedeltà se guardiamo indietro nel tempo! E questa è una fedeltà che si rinnoverà ancora: per noi, per la nostra Chiesa, per il mondo nel quale siamo chiamati a vivere e a portare l’annuncio della salvezza.

Capitolo primo

Allora Gesù di fermò e disse: “Chiamatelo!”

(Mc 10, 49)

Un dialogo di salvezza

  1. Il dialogo tra Gesù e il cieco di Gerico si rivela un’immagine molto bella della storia della salvezza.

Da una parte c’è l’uomo, infermo, mendicante, bisognoso. Il grido di Bartiméo “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” (Mc 10, 47) esprime splendidamente la condizione interiore dell’uomo, smarrito per le vie di questo mondo alla ricerca di senso e di salvezza. La sua è una ricerca spesso non chiara, confusa: certo rivela il bisogno di un di più di vita che egli non si può dare da solo.

Dall’altra parte c’è Gesù, il Salvatore, l’unico vero Salvatore dell’uomo e del mondo: che fa chiarezza nella confusa richiesta dell’uomo mendicante ai bordi della strada, donandogli ciò di cui davvero ha bisogno, ma non disdegnando di venire incontro anche alle attese immediate, se pure parziali, del povero cieco: “Rabbunì, che io riabbia la vista!” (Mc 10, 51).

E poi ci sono i discepoli, nei quali non è difficile scorgere il mistero della Chiesa, che il Signore chiama a collaborare al suo piano di salvezza ma che, nella sua povera umanità, a volte rischia di rendere difficile proprio quell’incontro con Cristo che è tutto il senso della sua vita in questo mondo: “Molti lo sgridavano per farlo tacere…” (Mc 10, 48).

Oggi, nella nostra realtà diocesana, si ripropone ancora questo dialogo di  salvezza tra Gesù e il cieco di Gerico, tra Gesù e l’uomo della strada che è alla ricerca della salvezza. E noi potremmo essere quei discepoli che, purtroppo, qualche volta diventano impedimento al realizzarsi dell’incontro di Cristo con il mondo; ma che chiedono la grazia di una continua conversione per poter ascoltare l’invito di Gesù “chiamatelo” e poter dire a tutti ciò che dà senso alla loro vita: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”.

Perché questo desiderio diventi realtà si rende necessario un impegno duplice e prioritario: per la riscoperta della centralità del giorno del Signore e per la rinnovata consapevolezza del bisogno di una intensa formazione nella fede.

Il giorno del Signore

  1. “Il giorno del Signore…ha avuto sempre, nella storia della Chiesa, una considerazione privilegiata per la sua stretta connessione col nucleo stesso del mistero cristiano. La domenica infatti richiama, nella scansione settimanale del tempo, il giorno della risurrezione di Cristo. E’ la Pasqua della settimana in cui si celebra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, il compimento in lui della prima creazione, e l’inizio della ‘nuova creazione’ (cfr. 2 Cor 5, 17). E’ il giorno dell’evocazione adorante e grata del primo giorno del mondo, ed infine, dell’ ‘ultimo giorno’, quando Cristo verrà nella gloria…e saranno fatte ‘nuove tutte le cose’ (cfr. Ap 21, 5)” (Giovanni Paolo II, Dies Domini, n. 1).

Con questa bellissima descrizione il Santo Padre Giovanni Paolo II ancora una volta ci propone il dono grande che Dio ha fatto all’umanità e alla sua Chiesa con la consegna del suo giorno: giorno della creazione, giorno della redenzione. Giorno di gioia e di festa, dunque, perché invito fatto ad ogni uomo perché ricordi le meraviglie del Signore e le riviva al presente come grazia rinnovata e attuale di vita e di salvezza.

È giusto, allora, affermare che il giorno del Signore è il “signore dei giorni”, secondo una felice espressione di un antico autore del IV secolo. Ed è altrettanto giusto dire con San Gerolamo: “La domenica è il giorno della risurrezione, è il giorno dei cristiani, è il nostro giorno” (In die domenica Paschae, II, 52).

Ma oggi come lo viviamo questo giorno? Non è forse diventato progressivamente, anche per coloro che si professano cristiani, semplicemente “fine settimana”, esclusivamente giorno di riposo e di evasione? E non è vero che questo tempo, originariamente di Dio, lo stiamo rendendo sempre più solo tempo dell’uomo?

Anzitutto dobbiamo avere il coraggio di riappropriarci di una terminologia cristiana che ci è stata sottratta: non temiamo di assumere il linguaggio cristiano della domenica, del giorno del Signore, del primo giorno della settimana che dà significato a tutti gli altri giorni! Penso che sia importante anche parlare in termini cristiani, per recuperare i contenuti originali e bellissimi che questi stessi termini esprimono.

E poi si tratta di recuperare nella prassi cristiana i grandi contenuti che da sempre caratterizzano la spiritualità del giorno del Signore: a partire dalla preghiera e da un più profondo dialogo con Dio, per continuare con la pratica della carità fraterna fatta di molteplici e concrete modalità, per finire con l’esperienza di un riposo del corpo e dello spirito, segno e anticipazione delle realtà future.

Davvero molti possono essere i modi per dare corso a questo stile di vita domenicale. Al riguardo mi è caro esortare alla rilettura della bellissima lettera del Santo Padre Giovanni Paolo II sul giorno del Signore,  qui citata, “Dies Domini”. Sarà poi la fantasia di pastori e fedeli a suggerire i percorsi più idonei per realizzare nella vita delle nostre comunità cristiane un rinnovato ed esemplare stile di domenica cristiana considerando, ad esempio, la possibilità di brevi pellegrinaggi, di incontri di fraternità, della celebrazione dei Vespri. Si tenga anche presente l’importanza del giorno del Signore e dell’Eucaristia domenicale per la vita della famiglia e per la sua crescita come “piccola Chiesa domestica”.

  1. Al centro del giorno del Signore sta proprio la celebrazione eucaristica. “La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Con gioia essa sperimenta in molteplici forme il continuo avverarsi della promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20); ma nella sacra Eucaristia, per la conversione del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore, essa gioisce di questa presenza con un’intensità unica […] Giustamente il Concilio Vaticano II ha proclamato che il Sacrificio eucaristico è ‘fonte e apice di tutta la vita cristiana’ (Lumen gentium, n. 11)… Perciò lo sguardo della Chiesa è continuamente rivolto al suo Signore, presente nel Sacramento dell’Altare, nel quale essa scopre la piena manifestazione del suo immenso amore” (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 1).

Giova ricordare che fin dai primi tempi della Chiesa i pastori hanno ricordato continuamente ai fedeli la necessità di partecipare all’assemblea liturgica. “Lasciate tutto nel giorno del Signore e correte con diligenza alla vostra assemblea, perché è la vostra lode verso Dio. Altrimenti, quale scusa avranno presso Dio quelli che non si riuniscono nel giorno del Signore per ascoltare la parola di vita e nutrirsi dell’alimento divino che rimane eterno?” (Didascalia degli Apostoli, II, 59, 23).

Il richiamo dei pastori ha generalmente incontrato l’adesione convinta e cordiale dei fedeli che, in tante situazioni di pericolo, hanno affrontato anche la persecuzione con vero eroismo. Basti ricordare, tra i molti, quei cristiani che, al tempo dell’imperatore Diocleziano, sfidarono l’editto imperiale che impediva le assemblee cristiane e accettarono la morte pur di non mancare all’Eucaristia domenicale. Celebre è la risposta di una martire di Abitine, in Africa proconsolare, che disse davanti ai suoi accusatori: “Noi non possiamo stare senza la cena del Signore […] Sì, sono andata all’assemblea e sono andata alla cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana” (Acta SS. Saturnini, Dativi et aliorum plurimorum martyrum in Africa, 9, 10).

Viene da domandarsi se le nostre comunità vivono con la stessa intensità il significato della celebrazione eucaristica domenicale. Urge recuperare la consapevolezza gioiosa di una celebrazione senza della quale viene meno l’identità cristiana. E questo non può non significare un impegno nuovo da parte di tutti, a cominciare dai presbiteri, per rendere sempre più le nostre celebrazioni dell’Eucaristia trasparenza fedele di quel mistero della fede in cui “annunziamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione in attesa della sua venuta”. Si presti attenzione, allora, all’accoglienza cordiale delle persone nelle nostre chiese, alla bellezza del canto sacro, alla valorizzazione dei gesti liturgici e della preghiera dei fedeli. Ai sacerdoti, in particolare, chiedo di curare l’arte del celebrare con religiosa dignità, la catechesi approfondita sul mistero eucaristico, la preparazione attenta dell’omelia domenicale. In questa prospettiva ripropongo nuovamente a tutti la “Nota pastorale sulla celebrazione delle Sante Messe nell’Arcidiocesi di Genova” (14 settembre 2000) perché sia portata a compimento nel suo spirito e nella sua lettera.

Nella bellissima lettera enciclica sull’Eucaristia “Ecclesia de Eucharistia”, qui citata e che invito a leggere con attenzione, Giovanni Paolo II esorta l’intera Chiesa a vivere un vero e proprio “stupore eucaristico”. Di questo stupore abbiamo tutti un grande bisogno! Lo stupore davanti al dono di Dio che offre se stesso per la vita del mondo. Un dono del quale siamo non soltanto destinatari meravigliati e felici, ma nel quale anche siamo coinvolti per diventarne testimoni per le strade del nostro tempo. Fare questa stupenda esperienza nella Messa domenicale significa sperimentare la comunione che tutti ci lega intimamente a Cristo Gesù e alimentare in noi il desiderio della missione, perché il mondo creda e possa condividere con noi la gioia della salvezza. Ma tutto questo esige da noi conversione e rinnovamento. Come sono le nostre Messe domenicali? E che cosa offrono le nostre comunità per introdurre tutti all’esperienza esaltante che è tipica di una comunità di salvati che vive nella carità e di carità? Genova ha una storia gloriosa nel campo della liturgia: basti pensare alla riforma liturgica che proprio nella nostra Chiesa ha visto gli albori. E’ questa una storia di cui vogliamo essere eredi fedeli.

Da tutto questo una conseguenza si impone con immediata chiarezza: la forza missionaria che sprigiona dalla partecipazione alla celebrazione eucaristica. E al riguardo mi viene spontaneo citare un passaggio del percorso pastorale diocesano offerto alla Chiesa di Genova dal Cardinale Dionigi Tettamanzi per l’anno 2001-2002. Le parole del mio Predecessore rimangono del tutto attuali per la vita della nostra comunità cristiana.

“…se la missione è parte essenziale dell’Eucaristia e se l’Eucaristia viene vissuta nella sua “verità”, chi partecipa alla Messa deve uscire dalla chiesa con una rinnovata passione missionaria. E’ evidente che l’entusiasmo e l’incisività dell'”andate”, ossia della missione, sono direttamente proporzionali alla “qualità” personale della Messa, all’intensità della partecipazione spirituale e liturgica con cui i singoli fedeli e le comunità cristiane celebrano l’Eucaristia” (Chiesa di Genova, prendi il largo, n. 14).

  1. E’ a tutti chiaro come si renda necessario per una partecipazione fruttuosa alla celebrazione eucaristica domenicale l’acquisizione di una confidenza sempre più profonda con la Parola di Dio che, della celebrazione, costituisce un momento insostituibile. Nell’assemblea eucaristica, infatti, l’incontro con il Signore risorto avviene mediante la duplice partecipazione alla mensa della Parola e del Pane di vita. E la prima dona quell’intelligenza della storia della salvezza e del mistero pasquale che Gesù stesso, risorto da morte, procurò ai suoi discepoli. Non si dimentichi che è lui a parlare quando nella Chiesa si ascolta e si legge la Scrittura Sacra.

Per favorire una tale confidenza con la Parola del Signore, a partire da quest’anno la ormai abituale lectio divina sarà tenuta nei singoli vicariati e avrà come testi di riferimento alcuni brani della Sacra Scrittura che leggeremo e ascolteremo nelle celebrazioni eucaristiche domenicali. In tal modo avremo tutti l’opportunità di avvicinare nel clima della meditazione e della preghiera, e quindi di approfondire, almeno alcuni testi della Parola di Dio che ci accompagneranno durante l’anno liturgico. Ho anche pensato di continuare l’esperienza della lectio divina in Cattedrale. Per dare, però, maggiori possibilità di partecipazione all’incontro mensile con l’Arcivescovo l’orario della lectio divina sarà anticipato alle ore 18 e, a rotazione mensile, ciascun vicariato sarà invitato in Cattedrale dove, per quel mese, continuerà con l’Arcivescovo l’itinerario già avviato a livello vicariale.

L’impegno nella formazione

  1. La pratica della lectio divina si presenta come uno strumento privilegiato per quella formazione alla fede in Gesù Cristo di cui tutti sentiamo urgente una realizzazione sempre maggiore. Grazie alla lettura pregata della Scrittura, infatti, diventa possibile una più profonda conoscenza di Gesù e, dunque, quell’esperienza personale della sua vita che sta al centro di una vera formazione alla fede.

In questo senso si rende quanto mai necessario un ritorno al primato della contemplazione del volto del Signore nella vita dei singoli e delle comunità. E questo significa ridare spazio e tempo adeguati alla preghiera personale e comunitaria. “Le nostre comunità cristiane devono diventare  autentiche ‘scuole’ di preghiera…Una preghiera intensa, che tuttavia non distoglie dall’impegno nella storia: aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio…Occorre allora che l’educazione alla preghiera diventi in qualche modo un punto qualificante di ogni programma pastorale” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, nn. 32-34).

E’ triste pensare che le nostre comunità possano essere centri di iniziative belle e generose, come anche luoghi di fraternità e di carità operosa, ma che al contempo non presentino il volto di famiglie di fedeli che amano la preghiera, perché non possono fare a meno di incontrarsi con il loro Signore, in un clima di profonda religiosità e di intensa gioia spirituale. Si mettano, allora, in atto programmazioni generose e sagge per dare alle nostre comunità cristiane il volto di vere e proprie comunità oranti. Lo chiedo dal profondo del cuore!

Non c’è altra strada per poter realizzare il fine di ogni autentica formazione alla fede: la santità. L’universale vocazione alla santità, prima di essere scritta nei documenti del Concilio Vaticano II o di essere fatta risuonare da sempre dalla voce della Chiesa, è impressa in modo indelebile nell’essere stesso del cristiano: non si dà autentica vita cristiana che non sia vita di santità. Riascoltiamo ancora la voce del Santo Padre Giovanni Paolo II. “La prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità…E’ ora di riproporre a tutti con convinzione questa ‘misura alta’  della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e della famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (Novo millennio ineunte, nn. 30-31).

  1. La formazione alla fede comporta, insieme all’adesione sempre più intensa a Cristo, anche una particolare attenzione alla cultura, cioè alla mentalità e al costume che sono prevalenti all’interno della nostra società. Senza dimenticare come molto spesso questa stessa cultura dominante finisca per fagocitare il nostro stesso modo di pensare e di giudicare in rapporto alle grandi problematiche della vita e della storia. E’ in questo senso che la Chiesa Italiana sta lavorando attorno a un progetto culturale. Dove, per progetto culturale, al di là di applicazioni più specifiche, si intende esattamente la capacità intrinseca alla fede cristiana di dare forma a un modo originale di considerare i problemi dell’uomo.

Vale la pena riascoltare il pensiero limpido di Paolo VI: “Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendendo nuova l’umanità stessa… Strati dell’umanità che si trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza… Occorre evangelizzare la cultura e le culture dell’uomo…, partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio… La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre” (Evangelii nuntiandi, nn. 18-20).

  1. È un esigenza e anche un desiderio di tutti coltivare una fede che sia “pensata”, ovvero conosciuta anche nella sua completa portata dottrinale e in tutte le sue implicazioni quando si tratta di affrontare i grandi temi della vita, dalla bioetica alla famiglia, dall’economia alla politica, dalla comunicazione alla cultura. Ed è anche un’indicazione chiara che i Vescovi hanno dato alla Chiesa in Italia: “Ci sembra importante che la comunità sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede adulta, «pensata», capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo. Solo così i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale –fatto di famiglia, lavoro, studio, tempo libero- la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita (cfr. 1Pt 3,15)” (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila, n. 50).

A sostegno di questa esigenza che in Diocesi è fortemente avvertita e al fine di offrire un’occasione di formazione alla fede che investa integralmente la vita cristiana, intendo avviare una scuola di formazione di base e unitaria, per tutti i soggetti a diverso titolo impegnati nell’ambito della vita pastorale. Nella nostra realtà diocesana vi sono molte offerte formative, per lo più però indirizzate a categorie precise di persone: siano esse religiose e religiosi, diaconi, catechisti, insegnanti di religione, educatori, giovani e adulti, appartenenti alle diverse realtà associative… E sono una vera e propria benedizione! Ma si avverte al contempo la necessità di dare vita a una scuola cui possano accedere indistintamente tutti, per una preparazione non solo dottrinale ma anche spirituale, e che costituisca il fondamento di ogni altro approfondimento della fede, orientato al servizio specifico da svolgere all’interno della comunità. Al riguardo, quanto prima saranno offerte indicazioni più precise circa i contenuti e le modalità di questa scuola a cui tengo molto e alla quale invito tutti, e particolarmente i miei confratelli sacerdoti, a dare la loro pronta collaborazione.

  1. Parlando di formazione, mi sta a cuore sottolineare una questione che è emersa con singolare continuità nel corso delle molteplici occasioni di incontro prima ricordate. Mi riferisco alla questione fondamentale della formazione permanente dei presbiteri. E’ anzitutto nel mondo del laicato, e del laicato più preparato, che è avvertita l’esigenza di un clero sempre meglio formato sotto ogni punto di vista. Rimane vero, dunque, che la crescita nell’esperienza della fede da parte dei nostri fedeli laici non esclude, ma anzi richiede ancor di più la presenza di sacerdoti che siano tali in tutto e per tutto, e che siano all’altezza della missione ricevuta dal Signore. Afferma in proposito Giovanni Paolo II: “…la formazione permanente è espressione ed esigenza della fedeltà del sacerdote al suo ministero, anzi al suo stesso essere. E’ dunque amore a Gesù Cristo e coerenza con se stessi. Ma è anche un atto di amore verso il popolo di Dio, al cui servizio il sacerdote è posto” (Pastores dabo vobis, n. 70).

È interessante notare una preoccupazione crescente che si avverte all’interno delle nostre comunità cristiane: quella di avere sacerdoti che siano vere guide spirituali e padri nella fede, mediante l’annunzio competente e innamorato della Parola di Dio, la celebrazione vissuta dei sacramenti e della liturgia, la guida autorevole della comunità, la prontezza all’ascolto e all’accompagnamento spirituale di giovani e meno giovani, soprattutto in vista della ricerca vocazionale. Per noi presbiteri, quest’attesa di tanti fedeli laici non può che essere invito a un serio esame di coscienza: non sarà vero che ci siamo dedicati a tante e troppe occupazioni, a volte non così decisive per il nostro ministero, tralasciando ciò che invece è essenziale per la nostra fecondità apostolica? “Il sacerdote è l’uomo di Dio, – ricorda Giovanni Paolo II – colui che appartiene a Dio e fa pensare a Dio…I cristiani sperano di trovare nel sacerdote non solo un uomo che li accoglie, che li ascolta volentieri e testimonia loro una sincera simpatia, ma anche  e soprattutto un uomo che li aiuta a guardare a Dio, a salire verso di lui. Occorre dunque che il sacerdote sia formato a una profonda intimità con Dio” (Angelus 4.3.1990). Senza dimenticare che spesso il modo di vivere il nostro sacerdozio riflette una crisi interiore di identità. È questo un aspetto che non pochi, anche tra i sacerdoti, hanno fatto rilevare come problematica cui dare una qualche risposta.

Senza dubbio buona parte di queste problematiche richiede una rinnovata assunzione di responsabilità da parte di ciascun presbitero. Soprattutto si tratta di tornare a quel primato della spiritualità che solo può garantire al sacerdote la fedeltà all’Ordine sacro ricevuto, sia come legame fecondo con la propria più vera identità, sia come coerenza di vita rispetto ai doveri, peraltro entusiasmanti, del proprio stato. Però è chiaro che dobbiamo anche sostenerci a vicenda, mediante iniziative già promosse e collaudate dai miei Predecessori. E anche camminare progressivamente verso un nuovo modo di organizzare in concreto la vita dei presbiteri: se è vero che le esigenze pastorali si moltiplicano è anche vero che urge ripensare l’impiego dei sacerdoti consentendo loro un genere di vita che non attenti al necessario equilibrio spirituale e umano.

  1. Anzitutto mi sarà caro continuare a tenere aperto, se possibile ancora di più, il dialogo con ciascun sacerdote. Questi primi mesi di presenza a Genova, mi hanno dato l’opportunità di capire quanto giustamente sia sentita da tutti l’esigenza di incontrare a tu per tu il proprio Arcivescovo: non solo per presentare problematiche personali e pastorali, ma anche per la gioia di un confronto cordiale con colui che nella Diocesi è il Vicario del Signore e il punto di riferimento imprescindibile del proprio sacerdozio ministeriale. In questo senso sarà mio impegno riservare tempo ed energie per incontri personali in Episcopio e per fare sentire la mia presenza a quei sacerdoti che per i più diversi motivi attraversano fasi non facili della loro vita: penso alla malattia, ai lutti familiari, alle difficoltà materiali e spirituali. Così chiedo che questo sia uno stile abituale di coloro che più da vicino condividono con me la sollecitudine pastorale della comunità diocesana. Penso in questo momento anche agli Uffici di Curia, che desidero siano sempre più esemplari nel servizio che sono chiamati a rendere alla Diocesi, anche per l’aiuto puntuale e premuroso da offrire a tutti i sacerdoti. Sarei davvero molto contento se si potesse pensare agli Uffici di Curia con simpatia e riconoscenza da parte di tutti!

Non dimentico la bella esperienza degli incontri con i sacerdoti delle diverse zone pastorali della diocesi. E’ un’esperienza che intendo continuare, anche per rafforzare i vincoli di comunione tra i presbiteri operanti nell’ambito di uno stesso territorio; e poi per l’opportunità che in quelle occasioni è data di confrontarsi con serenità e impegno sulle problematiche pastorali emergenti nella zona. Al riguardo, non è forse venuto il momento di dare vita a incontri sacerdotali vicariali a scadenza settimanale, tenuto conto di qualche esperienza già avviata con soddisfazione in alcune zone della Diocesi? Caldeggio vivamente questa forma di comunione presbiterale, occasione importante per condividere con i confratelli della stessa zona pastorale momenti di fraternità, di preghiera comune, di reciproco sostegno anche in vista del ministero come, ad esempio, la preparazione dell’omelia domenicale.

Presto spero di poter avviare nuovamente la bella iniziativa, già in passato sperimentata con soddisfazione da parte di tutti, di alcune giornate di convivenza e di formazione permanente per i sacerdoti giovani e meno giovani. Se la formazione permanente, infatti, è urgente per i sacerdoti che da poco hanno ricevuto l’ordine sacro, per altri motivi ma con non minore importanza, si rende necessaria anche per quei sacerdoti che ormai sono da considerare adulti se non anziani nel ministero. Il dono di Dio, infatti, è da ravvivare sempre, senza eccezioni.

Nel corso del presente anno pastorale sono in calendario alcune iniziative. Penso al corso di esercizi spirituali previsto per il mese di novembre al santuario della Madonna della Guardia, che io stesso desidero predicare. E’ in programma per il prossimo anno, e spero proprio che si possa realizzare, un corso di esercizi spirituali alle pendici del Monte Sinai, guidato da un esperto biblista.

Come ogni anno, anche per quello in corso sono previste le riunioni mensili del clero in Seminario. Per i temi da trattare si è pensato di riprendere alcuni fondamentali documenti della Chiesa sul sacerdozio ministeriale, a partire dal Concilio Vaticano II a oggi. Sarà questa un’occasione preziosa per contemplare di nuovo insieme l’originalità della nostra chiamata alla sequela di Cristo Sacerdote, per recuperare i lineamenti del Sacerdozio del Signore a cui sempre dobbiamo rifarci per riscoprire chi siamo nella Chiesa, per ritrovare noi stessi e le ragioni del nostro ministero con rinnovato slancio e in modo adeguato alle esigenze del tempo presente.

  1. Mi è caro, a questo punto, richiamare un aspetto della nostra formazione che è quanto mai urgente approfondire, anche in considerazione delle giuste esigenze presentate dai nostri fedeli laici e prima ricordate. Mi riferisco alla necessità di una rinnovata e più approfondita formazione in vista del ministero della Riconciliazione e dell’accompagnamento spirituale. Per troppo tempo si è lasciato alla buona volontà dei singoli e ai talenti di ciascuno, fin dal tempo del Seminario, la pratica di questa forma eminente di carità pastorale. Non deve e non può essere più così!

Sempre, ma in particolare in questo nostro tempo si avverte l’esigenza di confessori preparati e di padri spirituali autentici, soprattutto nei santuari e in alcune chiese particolarmente frequentate per le confessioni. E’ augurabile, a questo riguardo, che nel tempo si riescano a individuare alcuni luoghi nelle diverse zone pastorali particolarmente adibite alla pratica della confessione e della direzione spirituale con disponibilità protratta nel tempo da parte di alcuni presbiteri. Ma si richiede formazione attenta e prolungata.

È per questo motivo che al più presto e secondo modalità che saranno portate a conoscenza di tutti intendo avviare in Diocesi una vera e propria “scuola dei confessori”, anche sulla base di alcune esperienze già avviate in questo senso altrove in Italia.

In termini ancora più specifici, considerate le richieste che vengono da più parti, verrà costituita un’équipe specializzata nell’accompagnamento di quelle persone che presentano sintomi di non facile interpretazione sia dal punto di vista spirituale che psicologico, come pure nella problematica dell’esorcismo E’ chiaro che anche l’avviamento di questa équipe richiederà un tempo di specifica preparazione per coloro che saranno chiamati a farne parte.

Capitolo secondo

Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù

(Mc 10, 50)

Orientati al Signore

  1. Il gesto del cieco di Gerico, che getta via il suo mantello e si porta ai piedi di Gesù, è altamente significativo. L’uomo, che si sente interpellato dalla voce dei discepoli che lo invitano ad ascoltare la chiamata del Maestro, intuisce che qualche cosa di nuovo sta per accadere nella sua vita: si libera da ciò che gli è di peso e, velocemente senza esitazione, corre vicino al Signore. Oramai tutta la sua attenzione è concentrata lì, su quel “Figlio di Davide” verso cui aveva indirizzato il suo grido di aiuto.

Nell’atteggiamento di quell’uomo cieco e mendicante ci è possibile considerare l’atteggiamento spirituale che anche la nostra comunità cristiana intende assumere con prontezza e con gioia. Gesù Cristo deve essere senza indugio l’orientamento della nostra vita! Al Signore siamo chiamati a rivolgere tutta la nostra attenzione fiduciosa per trovare soluzione ai problemi che assillano il nostro cammino in questo tempo della nostra storia. Lo sappiamo, ma desideriamo rinnovare questa nostra consapevolezza: solo in Cristo è la risposta agli interrogativi che anche oggi interpellano la vita della Chiesa nel mondo. Guai, allora, a ripiegarsi su di sé: che non capiti alla nostra Chiesa di rimanere imbrigliata in un monologo con se stessa che appesantisce il cammino e offusca il suo volto di sposa! Lo sguardo della nostra Chiesa si rivolga a Gesù, il Salvatore!

È proprio ciò che intendiamo fare tutti insieme nel momento in cui ci apprestiamo percorrere le tre direzioni privilegiate del nostro impegno pastorale triennale. E’, infatti, in Cristo Signore che siamo chiamati a considerare le grandi questioni dell’iniziazione cristiana – con l’indispensabile coinvolgimento dei genitori –, della pastorale giovanile e della pastorale familiare – con un’attenzione particolare alla terza età -.

Una “spiritualità del con”

  1. Il nostro sguardo si rivolge, dunque, al Signore. Ma questo non basta. Perché i nostri occhi si orientano a Cristo, “insieme”. C’è uno stile, necessario al nostro agire pastorale, che ancora una volta mi è caro affidare al generoso impegno di tutti: quello che ho desiderato definire della “spiritualità del con”. Non si tratta solo di una forma esterna da imporre e da imporsi, quasi fosse semplicemente uno strumento per il conseguimento di un fine. Si tratta piuttosto e prima di tutto di un’esigenza che scaturisce dal Vangelo e senza della quale non possiamo dire di essere la Chiesa del Signore.

D’altronde è la stessa Eucaristia, che abbiamo detto di voler rimettere al centro della vita delle nostre comunità, a esigere da noi uno stile di profonda comunione. “L’Eucaristia crea comunione ed educa alla comunione. San Paolo scriveva ai fedeli di Corinto mostrando quanto le loro divisioni, che si manifestavano nelle assemblee eucaristiche, fossero in contrasto con quello che celebravano, la Cena del Signore. Conseguentemente l’Apostolo li invitava a riflettere sulla vera realtà dell’Eucaristia, per farli ritornare allo spirito di comunione fraterna (cf. 1 Cor 11, 17-34). Efficacemente si faceva eco di questa esigenza sant’Agostino il quale, ricordando la parola dell’Apostolo: ‘Voi siete corpo di Cristo e sue membra’ (1 Cor 12, 27), osservava: ‘Se voi siete il suo corpo e le sue membra, sulla mensa del Signore è deposto quel che è il vostro mistero; sì, voi ricevete quel che è il vostro mistero’ (Sermo 272: PL 38, 1247)” (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucaristia, n. 40).

È chiaro che l’assunzione di questo stile implica la rinnovata consapevolezza, da parte di tutti, di essere inseriti in una dimensione universale, quale è quella propria della Chiesa. Così desideriamo muoverci in una profonda comunione con la Chiesa universale che dal Santo Padre Giovanni Paolo II ha ricevuto orientamenti chiari precisi per i primi passi in questo nuovo millennio nella Lettera “Novo millennio ineunte”. Allo stesso modo non possiamo dimenticare di vivere in rapporti di intensa comunione con la Chiesa in Italia, che si è data un indirizzo pastorale per il primo decennio del Duemila nel Documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”.

La comunione nella quale ci muoviamo consente alla nostra comunità diocesana di respirare secondo le grandi intenzioni e di camminare in sintonia con i ritmi della Chiesa nel mondo e in Italia. Così è davvero auspicabile che la lettura dei documenti citati non tardi a essere realizzata con attenzione da parte di tutti. Lo ripeto: è questione di “spiritualità del con”.

  1. Lo stile della comunione dovrà poi caratterizzare in profondità la vita della nostra comunità diocesana: “La pastorale diocesana deve essere organica e unitaria ‘sotto la guida del Vescovo. Di modo che tutte le iniziative e attività di carattere catechistico, missionario, sociale, familiare, scolastico e ogni altro lavoro mirante ai fini pastorali debbono tendere a un’azione concorde dalla quale sia resa ancora più palese l’unità della Diocesi’ (Christus Dominus, n. 17). Ciò è possibile se tutto il popolo di Dio e in esso i vari soggetti ecclesiali si impegnano a crescere in uno spirito di comunione e a operare secondo comuni orientamenti, a servizio della Chiesa e della sua missione” (CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 29).

Si tratta di uno stile cui siamo chiamati tutti ad aderire e che, in modo particolare, chiedo che caratterizzi l’opera di quegli Uffici Diocesani più direttamente impegnati nell’applicazione dei presenti orientamenti. Ne consegue una precisa e primaria assunzione di responsabilità da parte di alcuni Uffici di Curia: l’Ufficio Catechistico, l’Ufficio Famiglia, l’Ufficio di Pastorale Giovanile, l’Ufficio per l’Educazione e la Scuola. A questi organismi diocesani, che già mi hanno coadiuvato con frutto nella messa a punto di questa programmazione pastorale, chiedo di essere i primi soggetti attivi della stessa programmazione: con il loro stile di lavoro improntato alla reciproca collaborazione, con l’avviamento sollecito delle linee qui indicate, con la promozione sul territorio di proposte, idee, realizzazioni. Non mancherò di richiamare gli Uffici indicati alla loro responsabilità e mi impegno a condividere da vicino con loro le fatiche e le gioie della concreta progettazione e realizzazione: ispirando, sostenendo, incoraggiando.

Ho parlato del territorio e non a caso. In effetti proprio quella territoriale è una dimensione che auspico possa caratterizzare, almeno in parte, l’attuazione del cammino pastorale diocesano qui proposto. Mi riferisco, ad esempio, alla collaborazione che potrà e dovrà esserci nelle parrocchie come nei vicariati tra sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti, educatori, insegnanti di religione e insegnanti cattolici in genere, famiglie nella formazione ed educazione cristiana dei ragazzi e dei giovani. Se al centro della nostra azione pastorale stanno il bambino e il giovane si rende necessaria, perché più fruttuosa, la convergenza di tutti i soggetti impegnati su un determinato territorio a contatto con i bambini e con i giovani.

È chiaro che se questo richiede una sana e feconda collaborazione tra gli Uffici Diocesani interessati, è altrettanto chiaro che questo richiede anche disponibilità di tempo e di energie da parte di tutti coloro che vivono la realtà della parrocchia e del Vicariato. Chiedo, di conseguenza, di accogliere con simpatia e, oso dire, con entusiasmo, non soltanto le indicazioni qui date, ma le proposte che operativamente verranno presentate via via dagli Uffici competenti di comune accordo con l’Arcivescovo.

  1. È vero che sarà opportuno procedere per gradi e a seconda delle situazioni locali. L’orientamento è, tuttavia, generale e riguarda l’intera Diocesi. E così mi auguro vivamente che le esperienze realizzate siano motivo di incoraggiamento al fine di uniformare progressivamente tutta la realtà diocesana a questa impostazione pastorale. In fondo si tratta di vivere in concreto la realtà, prima richiamata, della Chiesa comunione, la cui dimensione non è solamente teologica e spirituale – se pure questa sia la prima e fondamentale – ma anche operativa. Anzi, si può affermare che questa, operativa, diventa criterio di verifica circa l’autenticità di quella teologica e spirituale. Così sulla generosità e prontezza nel vivere le presenti linee pastorali la nostra Comunità Diocesana potrà misurare la sua maturità nella fede.

Quanto affermo, lo affermo per tutti nessuno escluso. Così intendo rivolgermi anche ai gruppi, alle associazioni e ai movimenti, per i quali nutro grande stima e offro sincero incoraggiamento. E’ normale e anche giusto che ciascuno di essi conservi lo specifico carisma, come pure un proprio itinerario di crescita nella fede e di testimonianza cristiana. Chiedo però anche loro qualche sacrificio, se questo può essere necessario per una più piena e corale partecipazione alla vita della Chiesa locale. Per tutti, non si tratta di escludere né di contrapporre, ma di integrare e di collaborare per l’unica missione da realizzare. Questo è senza dubbio uno degli aspetti della “conversione pastorale” che ci è richiesta. Sento che possiamo intraprendere questo cammino, pure impegnativo ed esigente: perché le forze, le competenze, le disponibilità ci sono. E sento anche che questo cammino lo dobbiamo intraprendere, perché la realtà pastorale della nostra Chiesa lo esige: la nuova evangelizzazione passa anche di qui e il Signore ci invia ancora oggi ad annunziare in forme antiche e nuove il Vangelo di sempre.

Per una rinnovata catechesi dell’Iniziazione cristiana

  1. Il mandato del Signore ai suoi discepoli di andare in tutto il mondo, di annunciare il Vangelo e di battezzare (cfr. Mt 28, 18-20) trova nel momento della catechesi un’espressione privilegiata e particolare. Se nella società contemporanea è necessario dare vita a nuove forme di annuncio e di evangelizzazione, diventa anche sempre più importante cercare di rivalorizzare e curare, in modo originale e con maggiore competenza, la catechesi nelle comunità parrocchiali, nelle associazioni, nei gruppi e nei movimenti ecclesiali.

Mentre affido all’Ufficio Catechistico il compito di predisporre sussidi per gli itinerari catechistici dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana come anche di fornire strumenti operativi per un rinnovamento della catechesi in Diocesi, è mio intento mettere a fuoco alcuni orientamenti prioritari cui fare riferimento d’ora in avanti e già indicare alcune proposte di impegno concreto.

Giova anzitutto ricordare che la catechesi, come azione pastorale di annuncio e di approfondimento della fede cristiana, è azione di tutta la Chiesa: “…la catechesi è sempre stata e resterà un’opera, di cui tutta la Chiesa deve sentirsi e voler essere responsabile. Ma i membri della Chiesa hanno responsabilità distinte, che derivano dalla missione di ciascuno” (Giovanni Paolo II, Catechesi tradendae, n. 16). Per questo, la comunità cristiana deve essere coinvolta a tutti i livelli e non può delegare a singoli individui e indirizzare solo ad alcune categorie di persone l’annuncio e l’itinerario catechistico.

Purtroppo, spesso, la molteplicità degli impegni e delle iniziative, come anche la partecipazione superficiale, sporadica e formale alla vita della comunità rende difficile il coinvolgimento di alcuni nella pastorale parrocchiale, vicariale e diocesana. Occorre, tuttavia ripensare la catechesi, all’interno delle nostre comunità, a partire da una spiritualità della comunione e in prospettiva di una pastorale organica e armonica. La frammentazione delle iniziative non aiuta a vivere un reale cammino alla sequela di Cristo. In questo senso la stessa catechesi dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana non può prescindere da ciò che i Consigli Pastorali parrocchiale e vicariale hanno programmato. E i catechisti sono chiamati a essere inseriti da protagonisti nella vita della comunità parrocchiale, come anche devono sentire la responsabilità di far gustare ai ragazzi e ai giovani i momenti significativi di comunione, sia a livello parrocchiale che vicariale e diocesano. Allo stesso modo, i diversi organismi pastorali, con il loro esempio e la loro azione, possono sollecitare e coinvolgere gli altri cristiani, le associazioni, i movimenti, gli operatori pastorali perché contribuiscano con la loro presenza, la loro competenza e la loro esperienza all’itinerario catechistico.

È bene, per questo, che siano apprezzate e incoraggiate tutte le attività pastorali che aiutano la comunità e la catechesi a far maturare e crescere in questa direzione. Mi riferisco, ad esempio a: l’inaugurazione dell’anno catechistico in Diocesi e in parrocchia, la presentazione dei bambini e dei ragazzi, dei giovani e degli adulti, che iniziano o concludono un particolare e intenso cammino di catechesi, la celebrazione dei sacramenti cristiani nella e con la comunità, il coinvolgimento negli incontri di catechesi degli altri operatori pastorali, la programmazione di percorsi e di attività comuni nel campo della carità e della liturgia. Anche la collaborazione tra la pastorale familiare, giovanile, scolastica, del turismo e del tempo libero, della terza età con la catechesi sono un segno reale e una testimonianza efficace della Chiesa, che evangelizza, annuncia e chiama a vivere la comunione d’amore di Dio.

È chiaro che queste direttive chiedono di essere adattate alle esigenze e alle problematiche pastorali locali. Ma è altrettanto evidente che la catechesi non può più essere pensata come un momento staccato dalla vita della Chiesa, come l’incontro di un gruppo che vive un itinerario indipendente ed autonomo.

  1. Parlando di catechesi e di itinerario catechistico non si può certo prescindere dalla famiglia. Famiglia che, come nucleo originale e cellula fondamentale della società subisce oggi una profonda crisi di identità. Soprattutto l’ideologia dominante circa l’istituto familiare e la nuova organizzazione del lavoro hanno progressivamente messo in crisi il ruolo essenziale della famiglia, come luogo di educazione e di formazione delle nuove generazioni. Gli educatori, gli animatori e i catechisti dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani fanno difficoltà a coinvolgere i genitori nel percorso formativo dei loro figli.

La delega educativa è piuttosto diffusa e denota une grave carenza di responsabilità sul piano educativo: responsabilità per loro primaria e naturale. L’educazione e la formazione catechistica, inoltre, senza il contributo insostituibile della famiglia, corrono il rischio di essere inefficaci e non significative. Anche perché la famiglia, spesso, non è più il luogo primario della trasmissione e dell’assimilazione dei comportamenti religiosi, e la vita e le scelte familiari non sono più illuminate dalla fede; spesso, poi, gli stessi genitori dei ragazzi del catechismo non praticano e non celebrano i sacramenti. Senza dimenticare le situazioni familiari irregolari che non solo interpellano la pastorale familiare, ma incidono anche sulla formazione e sull’esperienza catechistica dei ragazzi.

Grazie a Dio, insieme a queste situazioni pastorali difficili, esistono anche interessanti esperienze di pastorale familiare che prevedono il coinvolgimento dei genitori nella catechesi. E sono queste a dover essere maggiormente conosciute e valorizzate a livello diocesano. In questo la collaborazione tra la catechesi e la pastorale familiare, soprattutto a livello parrocchiale, dovrà essere maggiormente coordinata nelle iniziative e nelle proposte, nelle sperimentazioni e nelle verifiche (cfr. Catechesi tradendae, n. 68).

Nonostante le difficoltà e gli inevitabili insuccessi, valorizzando e comunicando le esperienze riuscite, occorre non smettere di offrire occasioni, proposte e iniziative che, in qualche modo, rendano la famiglia protagonista nell’azione catechistica parrocchiale. Da questo punto di vista è da sollecitare con più forza la testimonianza, coerente e responsabile, delle coppie sia quando scelgono di celebrare il sacramento del Matrimonio, sia quando chiedono il Battesimo per i figli. In queste occasioni si dovrà rendere manifesto il collegamento tra la celebrazione dei sacramenti, la propria testimonianza di fede, l’appartenenza ecclesiale, l’educazione e formazione dei figli.

I genitori hanno una missione educativa e formativa, che nel momento della scelta vocazionale è necessario evidenziare (cfr. Consiglio Episcopale Permanente della CEI, L’iniziazione cristiana 3. Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta, n. 12). In occasione della preparazione al Battesimo i catechisti potranno servirsi del  Catechismo dei bambini per cogliere i contenuti, le metodologie e gli itinerari da proporre ai fidanzati, ai futuri sposi e agli stessi genitori. Inoltre, sono da studiare e programmare incontri con i genitori dei fanciulli e dei ragazzi del catechismo. Questi incontri, gestiti da operatori pastorali di catechesi per gli adulti insieme al parroco e con il contributo di altre famiglie attive in parrocchia, hanno lo scopo di riavvicinare gli adulti alla pratica religiosa e di proporre  un serio cammino di ricerca.

Il catechismo degli adulti può offrire, in questo ambito, ottimi spunti circa gli argomenti dottrinali e le questioni morali ed etiche da svolgere durante questo cammino di fede. In alcune occasioni sarebbe interessante studiare percorsi paralleli di catechesi per i genitori dei ragazzi. In questo modo, gli stessi genitori potrebbero prendersi l’impegno, in alcuni momenti e d’accordo con il parroco e con gli altri catechisti, di svolgere il catechismo ai loro figli e ai loro compagni. Sono, infatti, da incoraggiare e sviluppare, in ordine alla formazione degli adulti e per il principio della sussidiarietà, i gruppi famiglia e le esperienze che valorizzano il periodo del fidanzamento come cammino nell’amore e nella fede.

Risulta, infine, fondamentale il modo di celebrare e di animare l’Eucaristia nel giorno del Signore. Potrà essere opportuno, al riguardo, programmare per la domenica la Messa dei fanciulli o delle famiglie, come anche avere particolare attenzione nella comunicazione dei messaggi e dei contenuti della fede a partire dal tempo liturgico e dall’ascolto della Parola di Dio.

  1. Purtroppo la mentalità diffusa nella pastorale ordinaria delle nostre parrocchie e nella cultura religiosa della maggioranza degli adulti e delle famiglie lega il catechismo in modo esclusivo al raggiungimento dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana: il Battesimo, la Comunione e la Cresima. Il diffondersi di questa sensibilità ha causato una strumentalizzazione dell’intero cammino catechistico in funzione al raggiungimento di una meta; il sacramento, invece, comunica un dono in ordine alla vita e all’acquisizione di atteggiamenti cristiani e di abitudini virtuose. Il catechismo, se è iniziazione, deve essere un itinerario con tappe intermedie, obiettivi personali e comunitari. Il fine dell’itinerario è di esser discepoli del Signore per tutta la vita.

Per questo, il Battesimo, se da una parte incorpora a Cristo e alla Chiesa, al tempo stesso richiede di esser ogni giorno vissuto e alimentato nell’accoglienza dello Spirito del Signore, nella celebrazione costante del sacramento della Riconciliazione, nella maturazione e nel radicamento della fede battesimale. Il sacramento dell’Eucaristia, a sua volta, se viene ricevuto al termine di un cammino di formazione catechistico, deve esser alimentato nella contemplazione del mistero di quel pane del cielo, che sempre ci interroga e ci lascia stupiti: “Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»” (Gv 6, 67-69). Lo stesso sacramento della Confermazione, se da una parte ci chiama a confermare il dono battesimale e ci rende in pienezza figli di Dio, dall’altra ci spinge a vivere come cristiani le problematiche della quotidianità, le scelte fondamentali della vita, gli impegni e le situazioni provvidenziali che ogni giorno ci accadono. Considerando il percorso triennale della presente programmazione è auspicabile dedicare un primo anno alla catechesi relativa al Battesimo, un secondo anno a quella relativa all’Eucaristia e un terzi anno a quella relativa alla Confermazione. Sarà l’Ufficio Catechistico ad offrire proposte di itinerario in questo senso.

In tal modo, il dono della vita divina, che i sacramenti dell’Iniziazione cristiana ci offrono, ci interpella e ci interroga sul come e sul perché essere cristiani, ci permette di vivere nello Spirito della Pasqua ogni evento e ogni scelta personale e comunitaria: il matrimonio, la vita sacerdotale, la vocazione di speciale consacrazione, la sofferenza e il dolore, la solitudine e la vedovanza… Per questo occorre sempre di più guardare al catechismo come a un itinerario permanente e all’Iniziazione cristiana come all’inizio e non come alla fine di un percorso di discepolato. E in questa ottica è opportuno tentare anche vie nuove, al momento non ancora percorse.

La percezione della catechesi dell’iniziazione cristiana come “itinerario” potrà realizzarsi se i catechisti e l’intera comunità cristiana, come gli stessi genitori, si sforzeranno di aiutare i fanciulli, i ragazzi e i giovani a crescere non solo nella conoscenza del mistero di Cristo, ma anche nell’assimilazione di atteggiamenti e di comportamenti coerenti con il messaggio evangelico. Per questo, la decisione sul momento opportuno per celebrare i sacramenti dell’iniziazione cristiana non può essere stabilito semplicemente a partire da criteri temporali, dalla verifica di una conoscenza intellettuale, ma deve maturare all’interno di una condivisione, serena e responsabile, tra i catechisti, il parroco e i genitori. Il fine è un percorso di vita in qualche modo realizzato e vissuto. Ogni parrocchia e ogni comunità cristiana, a secondo delle condizioni e delle situazioni locali, deve tener presente questo fine. E questo, in ogni caso, non può che illuminare e guidare il discernimento per la decisione della celebrazione di ogni sacramento.

  1. Desidero, ancora, sottolineare come il cammino catechistico non possa prescindere da una formazione alla missionarietà. In questo senso occorre mantenere una forte tensione missionaria nella comunità parrocchiale e negli stessi operatori della catechesi. I catechisti dell’Iniziazione cristiana, come ho già detto, in molte occasioni hanno la possibilità di avvicinare genitori di ragazzi, che spesso sono battezzati ma non praticanti. Così la preparazione alla celebrazione di alcuni sacramenti dell’Iniziazione può essere un’occasione importante per programmare cammini di riscoperta della fede: “Quest’area umana, cresciuta in modo rilevante negli ultimi decenni, chiede un rinnovamento pastorale: un’attenzione ai battezzati che vivono un fragile rapporto con la Chiesa e un impegno di primo annuncio, su cui innestare un vero e proprio itinerario di iniziazione e di ripresa della loro vita cristiana. In primo luogo, si tratta di valorizzare quei momenti in cui le parrocchie incontrano concretamente quei battezzati che non partecipano all’Eucaristia domenicale e alla vita parrocchiale” (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 57). Gli stessi bambini, i ragazzi e i giovani possono essere testimoni ed annunciatori, con le parole e con la vita, del Vangelo del Signore nei riguardi dei loro coetanei, dei genitori e degli adulti. Infatti, nella Chiesa il dono della grazia battesimale rende ogni credente missionario e apostolo dei propri fratelli, indipendentemente dall’età. Sono molti gli esempi nella storia sacra di ragazzi e fanciulli che hanno testimoniato la fede in Dio agli adulti, sia credenti sia pagani.

Dunque, l’intero cammino catechistico deve essere animato da questa tensione missionaria e deve educare a diventare, con l’aiuto di Dio, evangelizzatori. La conoscenza di missionari, laici, sacerdoti e religiosi, e l’esperienza e la collaborazione con altre Chiese in missione potranno essere di aiuto a fare sorgere e ad approfondire questa consapevolezza missionaria durante l’itinerario catechistico. Non è auspicabile, allora, favorire per giovani e adulti qualche esperienza di missione, anche fuori dai confini della nostra terra?

All’interno di questo quadro non si può dimenticare quale occasione fondamentale di evangelizzazione e di catechesi sia la testimonianza della carità. In questo senso diventa sempre più urgente una stretta collaborazione tra la catechesi nelle nostre parrocchie e l’esperienza della carità.

Diventa sempre più urgente, al riguardo, un’educazione alla carità parallela alla formazione catechistica e religiosa dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani. Occorre, a questo scopo, individuare ed attuare un percorso comune di formazione alla carità e all’Iniziazione cristiana, capace di educare a vivere ciò che si crede e a credere in ciò che si vive. Infatti, se è vero che può verificarsi drammaticamente una conoscenza dei misteri della fede senza un desiderio di vivere nella carità, può anche paradossalmente succedere di parlare della carità di Cristo senza avere la fede in Lui. Ricordiamo che la fede senza la carità è morta e che la carità senza la fede è cieca.

Perché i nostri giovani siano adulti nella fede

  1. Parlando di Iniziazione cristiana ho cominciato a parlare anche del mondo giovanile, almeno per quella parte di esso che vive l’esperienza della fede attraverso l’itinerario catechistico. Il mio sguardo ora si allarga all’intero “pianeta giovani” che desidero venga da tutti osservato con particolare attenzione e da parte di tutti diventi sempre più oggetto di attenta premura pastorale.

Ai giovani della nostra Arcidiocesi ho già avuto modo di indirizzarmi in più occasioni. Ma certo, la circostanza che ricordo con più grande emozione è stata quella che ho vissuto alla vigilia del mio ingresso ufficiale a Genova quando, nella bellissima chiesa di San Siro, ho avuto la gioia di avere con me una bella rappresentanza del variegato mondo giovanile genovese. A questo mondo giovanile, quella sera, ho consegnato un Messaggio che desidero considerare un vero e proprio programma di pastorale giovanile e che, di conseguenza, conserva tutt’oggi per intero il suo valore. E’ per questo che caldeggio la lettura o la rilettura di quel Messaggio da parte di tutti i nostri giovani.

Qui mi intendo riprendere alcune di quelle indicazioni che ritengo fondamentali e che desidero consegnare alla comunità cristiana, rinnovando la ferma convinzione che proprio tutta la comunità cristiana deve sentirsi interpellata e protagonista nell’impegnativo settore della pastorale giovanile. Queste indicazioni hanno evidentemente bisogno di essere opportunamente tradotte sul piano operativo nelle diverse realtà parrocchiali, vicariali, associative ed ecclesiali in genere. E, in questo senso, affido all’Ufficio di Pastorale Giovanile il compito di ispirare e realizzare queste specifiche e concrete realizzazioni. Nello stesso tempo, auspico che sul territorio, all’interno di ogni Consiglio Pastorale Vicariale, si costituisca una commissione, composta almeno da un presbitero e da religiosi, religiose e fedeli laici, con il compito di coordinare le attività giovanili del vicariato.

  1. Scrivevo nel citato Messaggio, al fine di aiutare i giovani a ridare un volto cristiano e un profumo evangelico alla loro fede: “…occorre ri-identificare ciò che sia veramente essere cristiani, ritrovando il profilo vero del Gesù del Vangelo così come lo propongono, Giovanni, Paolo, gli apostoli, il NT, e la Chiesa oggi ci garantisce nella sua genuinità e nei termini adatti alla nostra cultura. Per questo vorrei dirvi: ‘mettete la vostra fede in stato di catecumenato’, costruite, come ha chiesto Giovanni Paolo II, il ‘laboratorio della fede’, cioè un percorso articolato, a tappe, in cui maturare la componente mistica della vostra personalità, dare alla vostra vita una solida spiritualità cristiana. Essa si compie con una frequentazione seria della Parola di Dio nella Bibbia con la Lectio Divina, approfondita nella catechesi della comunità; si nutre di preghiera (importa accettare di imparare a pregare per trovare il gusto di pregare); fa della domenica e dell’Eucaristia in essa la fonte rigenerativa della settimana; coltiva la ricerca e l’approfondimento anche culturale della fede, riconoscendo domande, dubbi, questioni che, in questo contesto multiculturale e confuso, l’uomo di oggi esprime, anzi lo stesso giovane prova dentro di sé, impegnandosi per questo a trovare per sé e per dire agli altri i motivi della propria scelta di fede. Infine, e questo è un obiettivo così fortemente atteso da Cristo e dalla Chiesa, un giovane può essere oggi genuino credente se si mostra testimone, se accetta una impostazione missionaria della sua condotta (negli ambienti di vita, scuola, università, lavoro, tempo libero), e si impegna a condividere con altri giovani, senza complessi e senza trionfalismo, le ragioni della propria speranza (cfr 1 Pt 3, 15)” (n. 18).

Mi pare importante, al riguardo, invitare ad accostarsi alla preghiera con la Parola di Dio in modo graduale, certo, ma non episodico. In particolare mi sento di suggerire l’ascolto, l’approfondimento e il confronto fraterno sui brani della Sacra Scrittura che ogni domenica la Chiesa ci propone e che costituiscono un vero e propri itinerario di fede attraverso l’anno liturgico. Ho parlato di accostamento non episodico. Infatti uno degli elementi che segnano il passaggio a una fede adulta è proprio quello della fedeltà: aiutiamo, dunque, i nostri giovani in questo cammino di crescita!

È evidente che anche per un giovane cristiano la Messa domenicale occupa un posto insostituibile e fondamentale. E mi chiedo se non si possa e non si debba chiedere anche qualche cosa di più: abbiamo il coraggio, ad esempio, l’incontro con il Signore presente nell’Eucaristia anche durante la settimana? Qui voglio anche invitare a un coinvolgimento sempre più ampio dei nostri giovani nella preparazione e nello svolgimento delle celebrazioni eucaristiche. Il loro apporto, se accompagnato con saggezza pastorale, sarà certamente di grande aiuto per recuperare le bellezza e la gioia, quali tratti qualificanti la vita dell’assemblea liturgica.

Non posso tacere una preoccupazione che ho quando penso ai giovani che frequentano le nostre parrocchie e le più diverse realtà ecclesiali. La preoccupazione riguarda la loro preparazione sui contenuti della fede. Sanno, i nostri giovani, rendere ragione della speranza che è in loro? Per questo ritengo molto importante che sia avviata una catechesi sistematica, capace di fornire alle giovani generazioni cristiane quella conoscenza della fede in forza della quale confrontarsi a testa alta con il mondo di oggi e con le molteplici sfide culturali che esso presenta. Senza dimenticare che una più grande consapevolezza della dottrina cristiana è bagaglio indispensabile per ritrovare quel dinamismo missionario che spesso è stato smarrito. L’esperienza della bellezza della verità di Cristo, accolta e approfondita con l’intelligenza e con il cuore, diventa motivo per comunicare ad altri ciò che ha riempito di entusiasmo e di felicità la propria vita.

Tutto questo i giovani non possono farlo da soli e anche per loro deve valere la “spiritualità del con” che sta alla base della presente programmazione pastorale. In questo senso auspico che ci si prodighi in ogni modo per dare forma a comunità di adolescenti e di giovani vivaci e accoglienti, riservando particolare attenzione ai giovani stranieri. Queste comunità abbiano un respiro parrocchiale, soprattutto nell’età della preadolescenza e dell’adolescenza, avendo cura che, possibilmente, gli stessi educatori che hanno accompagnato i ragazzi nella prima fase continuino ad accompagnarli anche nella fase successiva della crescita. Con il progredire degli anni sarà opportuno che il raggio delle relazioni possa aprirsi sempre più alla dimensione vicariale, diocesana e a quella della Chiesa universale. Nel momento in cui parlo della possibilità di aumentare il raggio delle relazioni, mi riferisco anche a quelle realtà giovanili presenti sul territorio e che fanno riferimento ad associazioni, gruppi, movimenti, istituti religiosi: il coordinamento e la cordiale collaborazione con queste molteplici realtà sono un obiettivo pastorale da perseguire con impegno deciso da parte di tutti.

  1. Ai nostri giovani chiedo anche di fare una scelta generosa a favore dell’uomo, per amore e sull’esempio di Gesù.

“È ancora davanti a voi –scrivevo nel Messaggio- l’esperienza dolorosa di quanto avvenuto a Genova alcuni mesi fa (in occasione del G8). Ha lasciato il segno nell’intimo di tante persone. Gesù interpretava segni analoghi nel suo tempo come un invito di Dio alla conversione (cfr Lc 13,1-5), ossia a riflettere per assumere il giusto atteggiamento di chi riconosce i problemi gravi della convivenza e si impegna a risolverli.

Sono i problemi occupazionali che toccano tante famiglie e i giovani stessi, il disagio dell’immigrazione, la marginalità di tanti giovani per motivi di droga e di microcriminalità… E poi alzando lo sguardo verso l’orizzonte, avvertiamo venti di guerra, insidie terroristiche, il grido silenzioso di chi ha fame; tutto ciò appare collegato a motivi profondi di ingiustizia, di mancato rispetto dei diritti umani e di abuso del creato.

Si prospetta un ‘volontariato dell’anima’ che poi si traduce in un ‘volontariato reale’, come esigenza qualificante la propria dignità di uomini e di cristiani. E’ quanto intendiamo rilanciare alla vostra generosa disponibilità” (nn. 19-20).

Devo dire che in questi mesi trascorsi a Genova ho potuto verificare di persona le molte voci che mi avevano presentato Genova come una città profondamente solidale: questa della solidarietà è la sua tradizione più bella, ma questa è anche una realtà presente e carica di promesse. Tra l’altro, e questo mi riempie di vera gioia, ho incontrato moltissimi giovani impegnati generosamente nelle forme più diverse di volontariato e di aiuto al prossimo.

Tutto questo è da rinnovare e da potenziare: l’anima giovane della nostra città deve continuare a presentarsi con i tratti intensi e affascinanti della solidarietà e della carità. Lo vogliamo perché è un’esigenza che deriva dalla Parola di Gesù, lo vogliamo per il bene della nostra Genova. Invito, di conseguenza, a intensificare il servizio ai più piccoli nelle associazioni educative, negli oratori, nei doposcuola, nella catechesi; e invito anche all’incontro con il mondo della sofferenza, della malattia, della povertà, degli anziani. Quanti anziani nella nostra Arcidiocesi! E quanta solitudine! Già si fa molto, ma si può e si deve fare ancora di più! Perché sull’attenzione nei confronti degli anziani si misura non solo la civiltà di un popolo ma anche la misura della fede cristiana.

E non dovrà mancare l’atteggiamento di sincera fraternità  verso tutti quei coetanei che sono segnati dalle drammatiche esperienze della droga e della criminalità: anche questi sono nostri fratelli, giovani tra i giovani che proprio nel mondo giovanile cristiano devono poter incontrare il volto del Signore che guarda con amore il volto giovane dell’uomo, anche e, direi soprattutto, quando questo volto è sfigurato dalla debolezza, dalla devianza e dal peccato.

Chiedo ancora ai nostri giovani una partecipazione appassionata alle grandi problematiche del nostro tempo, quali la promozione e la difesa della vita in ogni suo momento, l’impegno per la pace e la giustizia, il contributo per la costruzione di una società globale nella solidarietà, l’attenzione premurosa ai problemi della vita sociale che può e deve significare anche diretta assunzione di responsabilità in ambito politico. E che tutto questo trovi sempre alimento e ispirazione nel Vangelo e nei criteri di giudizio e di comportamento che ne conseguono, e non in visioni ideologiche, sempre parziali e fuorvianti.

Un grande aiuto per un impegno ad ampio raggio a favore dell’uomo potrà essere dato dalla Caritas, dai centri vicariali di ascolto, come anche da tutte quelle aggregazioni che fanno della carità nel senso più ampio del termine il motivo della loro vita e della loro opera.

  1. Ai nostri giovani ancora dico: “Ognuno abbia a cuore di scoprire la propria e personalissima chiamata di Dio!”.

“…chiediamoci quali sono le premesse di una felicità duratura. Hanno un nome, diventato classico, dalle robuste radici bibliche e denso di umanità: si chiama vocazione, chiamata… E’ un appello personalizzato di Dio, uno per uno (Dio non fa clonazioni!), per cui ognuno ha la sua chiamata, il disegno progettuale che lo riguarda… Alla scuola del Vangelo possiamo dire che la vocazione di Dio è sempre all’amore e al servizio della vita del prossimo. Amore e servizio che si rendono concretamente visibili in due direzioni.

La prima è la vocazione al matrimonio e alla famiglia. Sono note l’incertezza e la crisi su questo punto. Ciò avviene perché questo straordinario vincolo di amore fra uomo e donna non si riesce più a capirlo ed impostarlo come vocazione, e di conseguenza senza capacità di accettarne i sacrifici per gustarne l’immenso valore di sacramento dell’amore di Dio.

Ma proprio al servizio della vita vi è, nel tanto chiasso che ci circonda, una voce, una chiamata che rischia di restare soffocata, ai margini: la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata. Ve ne parlo non per questione di numero (vi sono pochi preti, poche suore), ma per questione di qualità della fede di tutti noi, in quanto questo tipo di vocazione speciale è come l’ago di verifica della generosità di una intera comunità. Un amico conoscitore dei giovani, come S. Giovanni Bosco, pensava che tutti i giovani e le giovani in un momento della loro vita hanno da Dio un germe di chiamata al sacerdozio o alla vita religiosa, da discernere ovviamente e da maturare, ma non da respingere automaticamente” (nn. 21-23).

A questo fine desidero incoraggiare le proposte di ritiri, esercizi spirituali, esperienze significative di fede, soprattutto in occasione di tempi forti dell’anno liturgico, quali l’Avvento e la Quaresima. La nostra Chiesa già conosce una bella fioritura di iniziative in tal senso, ma credo che si possa ulteriormente arricchire nel corso dell’anno questo genere di proposta che è da ritenersi fondamentale per un giovane che si pone alla ricerca della chiamata di Dio. Il mio è un incoraggiamento che si rivolge a tutta intera la comunità cristiana: ci si impegni, dunque, in questo senso non solo a livello diocesano, ma anche vicariale e parrocchiale.

A coloro che si impegnano in un servizio educativo e di annuncio della fede non può mancare un invito pressante alla pratica della confessione frequente e della direzione spirituale, assai importante anche per l’accompagnamento vocazionale. Già parlando della formazione dei presbiteri mi sono soffermato sull’importanza di questo aspetto del ministero. Qui mi sta a cuore invitare ogni giovane a fare esperienza personale di un momento tanto qualificante del proprio cammino spirituale.

Da ultimo ho intenzione di ricostituire quanto prima il Centro Diocesano Vocazioni, in modo da avviare alcune iniziative vocazionali con l’apporto di tutte le componenti della realtà diocesana. Senza dimenticare che alla base di ogni altra iniziativa vocazionale sta la preghiera, che è da intensificare in ogni comunità cristiana rispondendo all’invito di Gesù: “Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!” (Mt 9, 38).

  1. Sulla base di quanto affermato sarà possibile prospettare un progetto pastorale per le comunità giovanili che, senza nulla togliere alla partecipazione corale alla presente programmazione, indichi un percorso specifico per il “pianeta giovani” nel prossimo triennio?

Penso alla possibilità di dedicare un primo anno in modo particolare all’impegno nel campo della spiritualità e della comunione, un secondo anno al servizio in ogni sua forma, un terzo anno alla missione. Affido all’Ufficio Diocesano di Pastorale Giovanile il compito di verificare questa ipotesi e di attuare in forma concreta le possibili iniziative al riguardo.

Per una famiglia secondo il progetto di Dio in Cristo

  1. Il mio predecessore, il Cardinale Tettamanzi, concludendo il suo ministero pastorale a Genova, ha desiderato lasciarci in dono un Percorso pastorale diocesano dal titolo “Famiglia, dove sei?”. Questo documento programmatico è stato il frutto della sua appassionata e competente attenzione nei riguardi della pastorale familiare, ma anche il naturale sbocco di tante sollecitazioni pervenute da parte della comunità cristiana genovese. Sollecitazioni che hanno trovato un puntuale riscontro durante la preparazione e nelle conclusioni  del Convegno Diocesano di verifica e di riprogettazione pastorale di quest’anno. E’ per questo che “Famiglia dove sei?” non può che rimanere punto di riferimento imprescindibile nel nostro impegno a percorrere in modo prioritario e ordinario la direzione della pastorale familiare.

Se è vero che l’obiettivo permanente e primario della Chiesa è quello di aiutare ogni persona, grazie all’annuncio del Vangelo, a incontrare Gesù Cristo e a vivere nella Spirito la vita nuova dei figli di Dio, è anche vero che lo stesso obiettivo riguarda la famiglia, ogni famiglia. Ed è per questo che l’attività pastorale della Diocesi come quella di tutte le comunità cristiane, a cominciare dalle parrocchie, deve impegnarsi a coinvolgere sempre meglio e sempre di più il soggetto famiglia.

È importante ricordare che c’è una religiosità implicita in molte nostre famiglie che chiede di essere resa manifesta e condotta ad una più adulta responsabilità. Si pensi, ad esempio, alla richiesta, ancora diffusa, dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana da parte dei genitori nei riguardi dei propri figli, del matrimonio religioso e delle esequie: si tratta di un segno indicativo di un senso di fede generico che necessita di purificazione e di evangelizzazione. Diventa, allora, sempre più importante aiutare a capire il significato religioso autentico di tante domande. Gli stessi sacerdoti, insieme a quanti sono direttamente impegnati nella pastorale della famiglia, hanno bisogno di coltivare atteggiamenti di ascolto, di accoglienza, di carità e di vicinanza fedele e costante nei riguardi di coloro che si avvicinano alla comunità cristiana, in occasione di certi appuntamenti, magari dopo un periodo di allontanamento. E’ così che la formazione dottrinale, spirituale e umana di tutti i soggetti  che vivono accanto alla famiglia è esigenza fondamentale per un significativo annuncio di Cristo alla famiglia e nella famiglia.

  1. Il matrimonio, accolto e celebrato come sacramento, risente del processo di scristianizzazione che investe l’intera nostra società e la stessa comunità cristiana. L’abitudine a celebrare il matrimonio in Chiesa per motivi formali e per tradizione poco condivisa, rende la stessa preparazione prossima alla celebrazione del sacramento un momento superficiale e poco incisivo. E’ opportuno ricordare che la preparazione al matrimonio è collegata necessariamente con la preparazione remota ad amare e all’affettività fin dalla tenera età, così come avviene nella famiglia e durante gli anni del catechismo e della vita in parrocchia. Ed è per questo che occorre realizzare una stretta collaborazione tra alcuni Uffici Diocesani, quali quello per la Famiglia, per la Catechesi, per la Pastorale Giovanile e per l’Educazione e la Scuola al fine di programmare un percorso, armonico e progressivo, in questo importante ambito della crescita umana. Solo così sarà possibile giungere ad una scelta matrimoniale libera e responsabile. Diventa anche importante una specifica collaborazione tra la pastorale giovanile e la pastorale familiare per una riscoperta del fidanzamento come “tempo di grazia”. In questo senso sarà necessario riuscire ad organizzare incontri mensili e ritiri per i giovani, che vogliono vivere questo momento importante della loro vita, alla luce della Parola di Dio e della grazia del Signore.

In rapporto al tema della preparazione prossima al matrimonio ritengo opportuno riproporre qui di seguito alcune indicazioni emerse in sede di Convegno Diocesano e che confermano gli indirizza già dati nel documento La preparazione al matrimonio. Orientamenti e disposizioni per la comunità diocesana dell’ottobre del 1995. Al riguardo, tra l’altro, non ci si può non interrogare sul perché disposizioni già date in modo molto chiaro non siano state ancora recepite e attuate. Ed ecco le indicazioni: la scoperta della dimensione battesimale e della prospettiva di fede, quali elementi caratterizzanti l’itinerario di preparazione al matrimonio; la necessità di offrire una certa omogeneità al Corso di preparazione, sia circa la durata che in ordine ai contenuti e, infine, anche relativamente allo stile degli incontri; la richiesta di non improvvisare questo cammino, che deve durare un periodo congruo, essere animato da un èquipe con un sacerdote come guida spirituale e avere come finalità la riscoperta del matrimonio come sacramento della fede.

Per venire incontro a queste esigenze, antiche e nuove, occorrerà dedicare maggior tempo all’annuncio del Vangelo, all’esperienza della comunione e della condivisione nella coppia, con le altre coppie e con l’intera comunità ecclesiale. Chiedo, pertanto, all’Ufficio Famiglia e all’Ufficio Catechistico di riuscire a proporre, a partire dalle esperienze esistenti, un armonico itinerario di fede per la preparazione prossima alla celebrazione del sacramento del matrimonio. Per questo si dovrà cercare di invitare i fidanzati a pensare per tempo, almeno un anno prima, alla preparazione prossima al matrimonio, alla scelta della comunità dove si desidera celebrare il matrimonio, consigliando vivamente che sia ispirata da criteri di ordine pastorale e religioso.

Il problema emergente della diffusione della convivenza tra i giovani esige di essere approfondito con più attenzione a livello diocesano e di essere tenuto ben presente nella programmazione dei Corsi di preparazione al matrimonio. In questo senso, per le coppie che già convivono sarà opportuno dedicare qualche incontro particolare nel quale, attraverso un dialogo fraterno e cordiale, si possa far cogliere come ci sia contraddizione tra la fede in Cristo e le scelte fatte in passato, per poter così intraprendere un cammino di maggior fedeltà alla parola del Vangelo. “Da qualche tempo a questa parte  tendono ad aumentare le convivenze o unioni libere di fatto tra persone che convivono coniugalmente, senza che il loro vincolo abbia un riconoscimento né religioso né civile. Tuttavia, alcune di queste persone intendono continuare a vivere la loro vita religiosa, chiedono i sacramenti per i loro figli e li vogliono educare nella fede […] La comunità cristiana con i suoi pastori deve conoscere tali situazioni e le loro diverse cause concrete […] Di fronte a un così grave fenomeno, la comunità cristiana deve svolgere un’opera di prevenzione, coltivando il senso della fedeltà in tutta l’educazione morale e religiosa dei giovani, istruendoli circa le condizioni e le strutture che favoriscono tale fedeltà, senza la quale non si dà vera libertà, aiutandoli a maturare spiritualmente, facendo loro comprendere la ricca realtà umana e soprannaturale del matrimonio-sacramento” (CEI, Direttorio di pastorale familiare, nn. 227-229).

  1. L’attenzione alla realtà della famiglia, come luogo di comunione di fede e di vita spirituale, sollecita la comunità diocesana e parrocchiale a valorizzare e progettare cammini di ricerca e di approfondimento della fede, adeguati alle coppie che hanno abbandonato la pratica religiosa, a partire dalle domande fondamentali sull’uomo, sul senso dell’essere padre e madre, sul modo di educare i figli, sui dubbi e sulle speranze che sono presenti nel cuore di ogni persona.

Nei riguardi delle coppie cristiane praticanti, invito l’Ufficio Famiglia a proporre, a servizio delle parrocchie, cammini sulla Parola di Dio della domenica, soprattutto tenendo presente l’esperienza di vita familiare. L’ascolto della Parola di Dio settimanale e la partecipazione alle catechesi per adulti, come esperienza di coppia, sono un’occasione provvidenziale per crescere nella vita sacramentale, nell’amore coniugale, nella capacità di un rapporto educativo fecondo con i propri figli.

Un sostegno importante per crescere nella propria identità cristiana è offerto alla famiglia dai gruppi familiari, che chiedo all’Ufficio Famiglia di sostenere e promuovere. “Per la crescita della coppia e della famiglia, a livello pastorale, si richiede anche la messa in atto di alcune iniziative in grado di suscitare e sostenere la loro responsabilità e il loro impegno, sia di esprimere e di alimentare costantemente e stabilmente la cura e la sollecitudine della Chiesa verso di esse. Con vera saggezza pastorale e in docile obbedienza a Cristo Signore, nella comunità cristiana siano, innanzitutto, promossi, riconosciuti e valorizzati i gruppi familiari e ci si adoperi perché siano sempre più luogo di crescita nella fede e nella spiritualità propria dello stato coniugale” (CEI, Direttorio di Pastorale Familiare, n.126).

Questi gruppi familiari sono di grande aiuto alla coppia per vivere nella Chiesa la chiamata alla santità. In essi è possibile realizzare l’approfondimento catechistico, la partecipazione viva alla celebrazione liturgica, l’esercizio della carità, la testimonianza evangelica. In questo modo le coppie cristiane sono accompagnate a  diventare missionarie nei riguardi delle altre coppie e a maturare uno spirito di disponibilità nei riguardi degli ultimi e dei poveri: si pensi alla pratica dell’adozione, dell’affidamento, dell’assistenza agli anziani e ai disabili.

Al fine di rivitalizzare le famiglie potrà anche essere utile favorire “esperienze forti”, quali possono essere quelle promosse dai Cursillos, gli Incontri Coniugali, gli Incontri matrimoniali.

Mi piace ricordare, sempre in quest’ottica, la Giornata Diocesana della Famiglia: come già gli altri anni si svolgerà nelle parrocchie e, se possibile, nei vicariati con momenti di preghiera, di riflessione e di festa. Per questa giornata, per la quale l’Ufficio Famiglia darà indicazioni precise e suggerimenti circa la data, il tema e le attività,  auspico un maggior coinvolgimento dei movimenti e delle associazioni.      

  1. In Liguria e a Genova si riscontra il triste primato delle separazioni e dei divorzi, come anche un progressivo aumento dei matrimoni civili. Occorre che la pastorale familiare abbia una particolare cura nei riguardi di queste situazioni irregolari. Per ciascuna situazione sarà necessario avere un’attenzione guidata dallo spirito del Vangelo, che sollecita la verità nella carità e la carità nella verità. Anzitutto l’insegnamento morale della Chiesa deve essere conosciuto con chiarezza dai sacerdoti e comunicato senza un inutile e falso rigorismo; nello stesso tempo, però, è necessario non avvallare, anche tacitamente, scelte fatte liberamente e coscientemente dalla coppia o dalla singola persona, se in contrasto con la legge morale, e invitare a un itinerario di conversione. Resta sempre valido il principio della legge della gradualità che mai deve essere trasformato in gradualità della legge.

La Chiesa come comunità d’amore ha sempre creato percorsi di crescita e di vita cristiana anche nei riguardi di coloro che per motivi personali o sociali si sono allontananti dalla verità morale sul matrimonio e che, pur pentiti, si trovano in situazioni che non possono ormai più essere modificate. Queste membra, se pur deboli, appartengono alla Chiesa. Così, anche nei riguardi di coloro che vivono situazioni matrimoniali irregolari e non percepiscono la necessità di un cambiamento o non condividono l’insegnamento della Chiesa, la comunità cristiana deve continuare ad avere un cuore aperto e pieno di speranza. L’indifferenza, il giudizio e l’esclusione non aiutano ad avvicinare le persone alla verità della dottrina cristiana e a favorire cambiamenti di mentalità secondo la logica del Vangelo.

  1. Il ruolo della famiglia nella formazione e nella educazione integrale dei figli è prioritaria ed insostituibile. “I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa” (Concilio Vaticano II, Gravissimum Educationis, n. 3).

Proprio questo principio mi ha condotto a pronunciarmi più volte a favore della libertà di scelta della scuola da parte dei genitori e dell’importanza della scuola cattolica in ordine alla formazione delle giovani generazioni. Questo non toglie alcun valore alla presenza e alla collaborazione dei singoli cristiani e delle famiglie nella scuola statale in vista di una reale e armonica formazione. Tuttavia, per ciò che riguarda le scuole cattoliche, deve essere messo in evidenza nella gestione e nella programmazione il ruolo della famiglia nell’educazione umana e religiosa dei ragazzi. Se non è mai positiva la delega dei genitori nei riguardi della loro missione educativa, non può che essere quanto mai controproducente quest’atteggiamento all’interno delle scuole cattoliche. Per questo desidero che i genitori nell’atto dell’iscrizione dei figli nella scuola cattolica s’impegnino a partecipare ad alcuni momenti formativi e religiosi proposti nel corso dell’anno. Gli stessi insegnanti delle scuole cattoliche abbiano una coscienza sempre più profonda della loro missione, che non è solo culturale ma anche religiosa ed ecclesiale.

Nella scelta della scuola e nell’atto di iscrizione nelle scuole statali, i genitori hanno una responsabilità prioritaria, fino alla maggiore età dei loro figli, nella scelta dell’insegnamento della religione. Questa responsabilità non può essere sottovalutata e deve essere ricordata da parte dei pastori nelle comunità cristiane in alcune occasioni dell’anno liturgico. Sento dire, con rammarico, che alcuni genitori, pur impegnati in attività ecclesiali, non iscrivono i loro figli all’ora di religione cattolica a scuola. Non si può certo sostenere che questo sia un atteggiamento responsabile ed educativo.

  1. Come la famiglia non deve essere lasciata sola nell’affrontare le difficoltà della vita quotidiana, così anche la famiglia è chiamata a dare il proprio originale contributo per alleviare le molteplici e diverse forme di povertà, che sono presenti nella nostra società. A questo riguardo ritengo che possano svolgere un’importante opera di coinvolgimento le iniziative della Caritas diocesana, dell’Ufficio per la Pastorale Missionaria e di tutte le altre realtà caritative presenti in Diocesi. I figli, che crescono in quest’ambiente di attenzione e di cura per i poveri, sperimentano la possibilità di tradurre in gesti di carità la fede che viene professata e, dunque, di vivere con coerenza il Vangelo. Senza dimenticare che le esperienze di carità educano alla condivisione e alla comunione, e rendono veramente la famiglia una “piccola Chiesa”, che ascolta la Parola, la celebra e la testimonia nell’amore. Si ricordi che la prima forma di carità in famiglia è l’accoglienza della vita nascente, insieme all’accoglienza premurosa e delicata nei riguardi degli anziani e dei malati.

Mi è caro spendere una parola particolare per gli anziani che, nella mentalità del nostro tempo, sono una categoria senza alcun ruolo produttivo e, quindi, incapace di offrire un concreto contributo allo sviluppo sociale. In realtà il valore della tradizione e della trasmissione della fede, per la stessa vita della Chiesa, ci indica il compito insostituibile e prezioso degli anziani all’interno della famiglie, della comunità cristiana e della stessa società. E le famiglie devono tornare a prendersi cura della persona anziana, collaborando a realizzare al proprio interno il fondamentale “patto tra le generazioni”.

Si pensi all’abitudine diffusa di lasciare i nipoti ai nonni, soprattutto là dove ambedue i genitori per motivi economici devono lavorare. E’ poi generalizzata la presenza di catechisti e di catechiste che, raggiunta l’età della pensione, si dedicano con zelo e generosità al loro importante compito. Diventa spesso anche normale che alcuni anziani scelgano di svolgere un servizio di volontariato, per alleviare in qualche modo le povertà di altri fratelli, per promuovere la dignità e la crescita della persona bisognosa ed indigente. Per questi, come per molti altri motivi, sollecito tutti coloro che sono impegnati nella pastorale della terza età a programmare e ad avviare percorsi idonei per valorizzare il patrimonio di fede e l’esperienza di vita degli anziani, e che siano anche di aiuto  a vivere senza dramma lo sviluppo sociale e il rinnovamento ecclesiale, evitando contrapposizioni e incomprensioni, ma nella ricchezza della novità e nella saggezza della continuità.

Le parrocchie potranno svolgere un compito importante, come d’altronde già fanno in molti casi, nell’aiutare gli anziani soli e senza il supporto e il calore della famiglia, offrendo spazi e luoghi d’incontro gioioso, di crescita e di formazione permanente.

Capitolo terzo

“Va’ la tua fede ti ha salvato”… e prese a seguirlo per la strada

(Mc 10, 52)

Con Cristo per le strade del mondo

  1. Per il cieco di Gerico l’incontro con il Signore non ha significato semplicemente la gioiosa esperienza della guarigione fisica e neppure soltanto l’ingresso esaltante nella salvezza. Quell’incontro è stato anche l’inizio di una sequela che ha portato l’uomo mendicante a rimanere con il Signore e a seguirlo nel suo cammino per le strade della Palestina. In altre parole, da quel giorno il cieco di Gerico è diventato collaboratore di Cristo nella sua missione di annuncio della Parola di Dio.

C’è quell’annotazione “per la strada” che è bene mettere in risalto. Perché sta a dire una presenza del nuovo discepolo in ogni situazione umana vissuta dal Signore e, in modo particolare, sottolinea la dimensione abituale e quotidiana della testimonianza cristiana. Quella dimensione abituale e quotidiana che urge recuperare nello stile della fede, sia come singoli che come comunità. E che diventa incoraggiamento ad assumere il volto del testimone fedele di Cristo in ogni ambiente di vita. Anche perché la fede ce lo assicura: Gesù Cristo è l’unico e universale Salvatore e, dunque, nessun ambito umano può essere estraneo al Vangelo. “In questo senso si può e si deve dire che Gesù Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia, singolare e unico, a lui solo proprio, esclusivo, universale, assoluto. Gesù è, infatti, il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dominus Iesus, n. 15).

Con il cieco di Gerico, chiamato e salvato dal Signore, anche noi vogliamo metterci al seguito di Gesù per le strade del mondo, della nostra città. E percorrere queste strade portando nel cuore la stessa gioia e lo stesso entusiasmo di quell’uomo che aveva ricevuto il dono della vista. Si tratta di recuperare la felice esperienza della pienezza di vita e di verità che viene a noi dall’incontro con il Signore, per poi avvertire l’insopprimibile desiderio di comunicare a tutti e sempre la Parola della salvezza. Non dimentichiamo che proprio a partire dallo slancio missionario è possibile misurare la qualità della nostra fede. Qualcuno ha detto che “abbiamo la fede che annunciamo”. Raccogliamo questa sfida e usciamone vincitori!

  1. Di ambienti di vita come luogo di impegno e di missionarietà, come già ho avuto modo di ricordare, si è molto discusso e progettato in Diocesi ai tempi dell’episcopato del Cardinale Tettamanzi. Del mio Predecessore desidero qui riprendere alcune indicazioni che rimangono sempre molto attuali.

“Certo, il Vangelo chiede di essere annunciato in continuità agli stessi credenti all’interno della vita della comunità cristiana. Lo esige il fenomeno della “scristianizzazione”, del ritorno al “paganesimo” e dell’indifferenza che attraversa anche le nostre comunità ecclesiali. Lo mostra, tra l’altro, il fatto che la percentuale dei cristiani che frequentano più o meno abitualmente la Chiesa tocca oggi livelli piuttosto bassi, tanto da far pensare che la parabola evangelica del pastore in cerca della pecora smarrita deve essere ritrascritta, modificando la proporzione tra le pecore che sono dentro e quelle che sono fuori dell’ovile!

Con altrettanta certezza, sono gli stessi credenti a dover essere testimoni e missionari nei loro ambienti di vita sociale. Proprio qui – negli ambienti di vita – la missionarietà si fa più urgente: infatti, se la “scristianizzazione” tocca le stesse comunità cristiane, tocca più pesantemente la società umana e, dunque, gli ambienti di vita professionale e sociale.

Si aggiunga in particolare che, anche a prescindere dalla mutata condizione di fede e di religiosità nella nostra società “scristianizzata”, i laici – in forza dell’indole secolare loro propria e peculiare – hanno una vocazione essenziale e permanente di «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (Lumen gentium, 31). Sono chiamati, dunque, a vivere e a testimoniare la loro fede, la loro adesione al Vangelo di Gesù Cristo «nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta» (Lumen gentium, 31).

È richiesta allora una profonda conversione culturale e pastorale: il cristiano è cristiano sempre e dovunque, è cristiano non solo in chiesa o nei momenti di fede e di preghiera, ma anche nel mondo, ossia negli ambienti concreti della vita quotidiana. E’ naturale che ci siano sentimenti e gesti diversi, quelli vissuti in chiesa e quelli vissuti sul lavoro o nella scuola o in altri ambienti. Non è naturale, però, sentirsi “impegnati” come cristiani in chiesa e “disimpegnati” fuori” (Chiesa di Genova, prendi il largo, n. 26).

È chiaro che queste indicazioni chiedono di essere messe in atto e verificate in modo più concreto e specifico ai diversi ambienti di vita, come l’università e la cultura, il lavoro, la comunicazione sociale, la salute-malattia, le vecchie e nuove povertà, la società civile, il tempo libero e lo sport. In questa generale direzione di attenzione agli ambienti di vita è necessario camminare tutti insieme e con decisione.

Diamo nuova incisività alla pastorale scolastica

  1. Un’attenzione privilegiata desidero riservare, nella presente programmazione diocesana e per i motivi già illustrati in precedenza, all’ambiente scolastico.

Sottolineo, anzitutto, come sia da incrementare una pastorale generale della scuola, richiamando una bellissima pagina del Concilio Vaticano II: “Tra tutti gli strumenti educativi un’importanza particolare riveste la scuola, che in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto con il patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca” (Gravissimum Educationis, n. 5)

Si capisce il motivo per cui, anche nel dare nuova incisività alla pastorale della scuola, la nostra Chiesa locale avrà modo di partecipare più attivamente in questo anno al significativo appuntamento con “Genova 2004. Capitale europea della cultura”. In questo senso è mio desiderio che siano ampliate le competenze dell’Ufficio Diocesano per l’Educazione e la Scuola, in modo tale che l’Ufficio non abbia a occuparsi quasi in maniera esclusiva dell’Insegnamento della Religione Cattolica, ma possa coordinare e promuovere iniziative a più ampio raggio con la collaborazione di tutti i soggetti presenti e operanti nel mondo variegato della scuola: penso in particolare ai docenti cattolici e alle relative associazioni ecclesiali, ai dirigenti scolastici e alle istituzioni. Per loro mi auguro che possano avere inizio periodici incontri, anche presente l’Arcivescovo, soprattutto in occasione particolarmente significative come la preparazione al Natale o alla Pasqua. Sarei anche contento di poter visitare qualche istituto scolastico, per incontri debitamente preparati e autorizzati, al fine di entrare direttamente in questo importante areopago della cultura per proporre un serio e leale confronto su tematiche di interesse generale e per le quali la fede cristiana ha da dire la sua parola originale e umanizzante.

Senza dimenticare il mondo della scuola cattolica. Infatti, “nel cammino dell’evangelizzazione della cultura si inserisce l’importante servizio svolto dalle scuole cattoliche. Occorrerà operare perché venga riconosciuta un’effettiva libertà di educazione e la parità giuridica tra le scuole statali e non statali. Queste ultime sono talvolta l’unico mezzo per proporre la tradizione cristiana a quanti ne sono lontani” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, n. 59). Questo mondo, della scuola cattolica, non soltanto lo si dovrà promuovere, sostenere e incoraggiare, ma anche lo si dovrà  fare maggiormente convergere nella pastorale diocesana e in vista di un reciproco aiuto. “Essendo anche in campo scolastico sommamente necessaria quella cooperazione, che per la sua urgenza va sempre più affermandosi a livello diocesano, nazionale e internazionale, bisogna fare ogni sforzo per coordinare convenientemente tra loro le scuole cattoliche e per favorire tra esse e le altre scuole quella collaborazione richiesta dal bene della comunità umana universale” (Gravissimum Educationis, n. 12).

Non si dimentichi le difficoltà nelle quali si trova la scuola cattolica in Italia. I recenti provvedimenti che a livello nazionale e regionale consentiranno alle famiglie di avere un sussidio per sostenere le spese della scelta della scuola non statale costituiscono solo un piccolo, anche se significativo passo, nella direzione di un’effettiva parità scolastica: nel senso di una pari opportunità offerta alle famiglie per scegliere liberamente la forma educativa più idonea per i propri figli. Così l’impegno per l’affermazione della scuola cattolica rimane un impegno serio per l’affermazione della libertà di scelta in campo educativo, diritto fondamentale di ogni famiglia. Sarà ipotizzabile una festa diocesana della scuola cattolica? Tutto questo, dunque, affido all’Ufficio per l’Educazione e la Scuola; tutto questo intendo promuovere in prima persona e come linea programmatica per gli anni a venire.

Anche per questo, in tempi brevi, sarà istituita la Commissione Diocesana per la Pastorale scolastica, all’interno della quale potranno essere rappresentati i diversi soggetti presenti e operanti nel mondo della scuola e che periodicamente potranno confrontarsi sui grandi temi della pastorale scolastica, condividere i problemi  e le soddisfazioni, progettare future realizzazioni.

  1. Come già ho avuto modo di sottolineare si avverte l’urgenza di armonizzare la pastorale della scuola con i più ampi disegni della programmazione diocesana. In questo senso si rende quanto mai necessaria una convergenza tra il settore della scuola, quello dei giovani, delle famiglie e della catechesi. Ho già indicato alcune linee al riguardo. Ciò che ora mi sta a cuore sottolineare è il ruolo assolutamente decisivo che in questo orientamento dell’azione pastorale viene ad assumere il settore scolastico. Non si può sottacere come pressoché l’intero universo giovanile attraversi l’esperienza scolastica. Come anche è evidente che nella scuola si ha la possibilità di incontrare genitori e famiglie. E’ poi anche rilevante sottolineare che molti di quegli stessi giovani che vivono l’esperienza scolastica sono anche presenti nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti.

In questo stesso senso è da accogliere l’intendimento, che prima di essere mio personale è dell’episcopato italiano, di recuperare qualche spazio per i sacerdoti e per i religiosi quanto all’insegnamento della religione nelle scuole. E’ inutile sottolineare quanto la presenza del presbitero o della persona consacrata possa essere rilevante nella presentazione della religione cattolica, anche perché, al di là del momento tipicamente scolastico, sappiamo bene quanto il sacerdote e il religioso possano diventare punto di riferimento importante e ricercato per alunni e docenti.

Risulta di conseguenza molto importante che i cattolici che operano all’interno della scuola tengano stretti rapporti di collaborazione con quanti operano in altre realtà ecclesiali, soprattutto con quelle presenti sullo stesso territorio. Penso, ad esempio, alla feconda collaborazione che potrebbe avviarsi tra insegnanti di religione, docenti in genere, educatori, catechisti, genitori, parroci per i ragazzi che frequentano le scuole medie e, dunque, residenti sul territorio parrocchiale corrispondente alla scuola frequentata. Si richiede probabilmente un cambiamento di mentalità; ma è una conversione pastorale necessaria. A cominciare dagli insegnanti di religione che devono sentirsi sempre più investiti di un vero e proprio ministero ecclesiale e inseriti attivamente nella comunità cristiana, per collaborare con tutti gli altri soggetti interessati che chiedo guardino con favore, stima e fiducia agli insegnanti di religione. Per il tramite degli Uffici Diocesani competenti si inizieranno esperienze territorialmente limitate. Auspico la collaborazione fattiva e pronta da parte di tutti.

  1. A partire da questi due elementi che ritengo qualificanti per un rilancio non solo della pastorale della scuola, ma anche della pastorale diocesana, vengo ora a determinare qualche altro elemento importante relativo agli Insegnanti di Religione Cattolica, che già ho avuto modo di incontrare recentemente per presentare alcune linee programmatiche. Queste stesse linee ho determinato in modo più puntuale in una lettera indirizzata all’inizio dell’anno scolastico a ciascun insegnante. Queste linee intendo qui riprenderle ancora per integrarle nella programmazione pastorale triennale. Anche ricordando che “oggi più che mai è necessaria la coscienza missionaria in ogni cristiano, a iniziare dai Vescovi, dai presbiteri, dai diaconi, dai consacrati, dai catechisti e dagli insegnanti di religione” (Ecclesia in Europa, n. 49)

Pensando agli Insegnanti di Religione ho da rivolgere loro, anzitutto, una parola di gratitudine e di apprezzamento. Conosco la generosità e la fatica del loro impegno quotidiano nella presentazione della religione cattolica, sotto il profilo culturale, alle nostre giovani generazioni in età scolare. Si tratta di un compito esaltante che la Chiesa affida, e anche accompagnato da molte belle soddisfazioni; ma è certo che non sono poche le difficoltà che sono chiamati ad affrontare quotidianamente. Assicuro loro la vicinanza, il sostegno e la comprensione, mia e dell’intera Chiesa genovese.

Ho parlato di compito affidato dalla Chiesa. In questo senso quello dell’Insegnante di religione è qualificabile come un vero e proprio ministero ecclesiale. Non mi stancherò di ricordare anche in futuro questa verità che costituisce il più autentico significato dell’insegnamento scolastico della religione. E desidero ricordarlo ai diversi soggetti della comunità diocesana, perché sappiano sempre meglio accogliere, apprezzare e valorizzare la loro presenza e la loro opera.

In proposito esprimo un desiderio che ho coltivato da subito, fin dai primi appuntamenti a carattere diocesano che hanno caratterizzato il mio servizio episcopale alla Chiesa di Genova. Il desiderio di vedere gli Insegnanti di Religione sempre più partecipi alle attività diocesane, alle quali tutte le componenti della comunità cristiana genovese sono chiamate a convenire, durante l’anno, per la preghiera liturgica comune, l’ascolto delle indicazioni del Vescovo, lo scambio fraterno di valutazioni e di proposte pastorali.

  1. Desidero anche rivolgere agli Insegnanti di Religione una parola di incoraggiamento e di stimolo. L’insegnamento della religione cattolica a scuola è stato per molti di loro il punto di arrivo di un itinerario di studio e formativo, che ha richiesto tempo e impegno. E’ certo, però, che è necessario continuare ad approfondire i contenuti della dottrina cattolica, come anche le modalità didattiche dell’insegnamento; senza dimenticare un aspetto che ritengo qualificante per l’insegnante di religione: mi riferisco al suo inserimento partecipe, fedele ed esemplare all’interno della comunità cristiana. Tutto questo richiede aggiornamento, formazione permanente, impegno costante di vita spirituale. Tanto è stato fatto in questo senso negli anni passati; ma si rende necessario un ulteriore sforzo da parte di tutti al fine di essere all’altezza della chiamata che il Signore ha loro riservato.

Anche perché il presente anno scolastico ci riserva l’importante novità, peraltro a lungo attesa, del riconoscimento dello statuto giuridico degli insegnanti di religione. Il traguardo finalmente raggiunto richiede da parte di tutti gli Insegnanti una rinnovata assunzione di responsabilità: nei confronti della scuola, dell’insegnamento della religione cattolica, dei giovani ai quali siamo chiamati a rendere un servizio qualificato sotto molteplici punti di vista, nell’età in cui devono responsabilmente preparare il loro futuro.

Si deve anche tenere conto che ci troviamo nella stagione della riforma della scuola, che si va delineando con interessanti prospettive se pure insieme a non pochi ritardi e difficoltà. Dagli Insegnanti di Religione mi attendo un significativo contributo di contenuti ideali e di esperienza. Ma come poter realizzare tutto questo senza il possesso di un alto profilo professionale e cristiano?

Così auspico che occasioni di aggiornamento e di formazione permanente siano intensificate, se possibile, per durata e qualità, e che ciò sia accolto da tutti con cordiale soddisfazione e considerato come un servizio prezioso reso al miglioramento del proprio compito.

Anche per questo, a tal fine, ho chiesto all’Ufficio Diocesano per l’Educazione e la Scuola di costituire in tempi brevi una Commissione Diocesana per l’accertamento dell’idoneità di quanti avranno la possibilità di accedere al Corso in preparazione al Concorso per l’immissione in ruolo. Per la grave responsabilità di Pastore della Chiesa che è in Genova che mi è stata affidata, ritengo che questo possa essere uno strumento significativo per una verifica ulteriore di quell’idoneità all’insegnamento della religione cattolica che sono chiamato a rilasciare. I particolari circa l’attività di questa Commissione saranno curati, di comune accordo con l’Arcivescovo, dal Direttore dell’Ufficio per l’Educazione e la Scuola.

È mio desiderio che la stessa Commissione, d’ora in avanti, svolga anche un compito di verifica circa l’idoneità all’insegnamento per tutti coloro che, avendo i requisiti richiesti dalla legge, inoltreranno domanda per insegnare religione a scuola. Sarei contento che questi provvedimenti non venissero interpretati in chiave negativa, ma come l’espressione di un interesse del tutto particolare che nella mia missione di Pastore intendo riservare al mondo della scuola e a ciascun insegnante di religione che, nella pastorale scolastica, amo pensare in qualche modo punta di diamante cui riservare cura, attenzione, affetto e sollecitudine.

A ulteriore testimonianza di questo, ho pensato di istituire per la nostra Diocesi la Giornata dell’Insegnante di Religione Cattolica, quale occasione per l’annuale incontro degli Insegnanti di religione con l’Arcivescovo. Mi è parso anche questo un modo semplice ma significativo per dare il meritato rilievo al loro ministero ecclesiale. La Giornata darà anche l’opportunità di avviare nei vicariati e nelle parrocchie un tempo di sensibilizzazione per la scelta, da parte di genitori e alunni, di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, entro i termini stabiliti dalla legge nel mese di gennaio. Anche per questo motivo la data scelta per la Giornata coincide con la Festa del Battesimo del Signore, la prima Domenica di gennaio dopo la solennità dell’Epifania. Il Direttore dell’Ufficio Educazione e Scuola provvederà a fornire, a suo tempo, i dettagli della Giornata. Mi auguro che l’iniziativa possa trovare l’accoglienza cordiale di tutta la comunità diocesana e che gli stessi insegnanti di religione diano la propria disponibilità a collaborare fattivamente per la sua migliore riuscita.

Conclusione

Gesù Cristo, nostra speranza!

  1. Ritornando alla pagina del Vangelo di Marco che ha ispirato la presente programmazione pastorale l’attenzione si porta nuovamente sulle parole indirizzate a Gesù dal cieco mendicante: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” (10, 47). Sono, evidentemente, parole che escono da un cuore in pena e piagato dalle sofferenze e dalle difficoltà della vita. Però, sono anche parole cariche di speranza.

Quella speranza che il pover uomo di Gerico aveva smarrito rimanendo a lungo ai margini della strada ritorna nel momento in cui avverte, grazie a coloro che gli stanno passando vicino, che Gesù è presso di lui, a poca distanza.

L’esperienza del cieco del Vangelo è una bellissima parabola dell’esperienza di ciascuno di noi e della Chiesa intera. Non mancano le fatiche e le difficoltà ad appesantire il cammino della nostra comunità cristiana. E, forse, qualche volta ci sentiamo proprio mendicanti ai margini di un tempo e di un mondo che ci appaiono estranei, indifferenti, distratti se non sempre proprio contrari rispetto all’annuncio della buona notizia della salvezza nel Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per noi.

Ma questo ci accade quando perdiamo di vista la verità più bella e consolante: quella della presenza fedele del Signore nella vita di noi tutti e nella vita della Chiesa. Si tratta, allora di lasciarci di nuovo afferrare dalla bellezza del volto di Cristo, amore infinito e speranza che non delude. Guardare a lui significa poter dire con inesprimibile gioia del cuore: “Tu, o Signore, risorto e vivo, sei la speranza sempre nuova della Chiesa e dell’umanità; tu sei l’unica vera speranza dell’uomo e della storia; tu sei “tra noi la speranza della gloria” (Col 1, 27) già in questa nostra vita e oltre la morte. In te e con te, noi possiamo raggiungere la verità, la nostra esistenza ha un senso, la comunione è possibile, la diversità può diventare ricchezza, la potenza del Regno è all’opera nella storia e aiuta l’edificazione della città dell’uomo, la carità dà valore perenne agli sforzi dell’umanità, il dolore può diventare salvifico, la vita vincerà la morte, il creato parteciperà alla gloria dei figli di Dio” (Sinodo dei Vescovi, Seconda Assemblea Speciale per l’Europa, Messaggio finale, n. 2).

Chiesa di Genova, ricordati che sei amata da Cristo Salvatore! Per questo la speranza non potrà mai tramontare sulle giornate della tua esperienza terrena. Per questo potrai essere ancora oggi punto di riferimento per ogni uomo che guarda al domani, desideroso di infrangere le oscurità della propria vita.

Chiesa di Genova, Gesù Cristo è la tua speranza! Per questo sei chiamata a riprendere il tuo cammino come Chiesa che vive di speranza e che offre speranza.

   + Tarcisio Bertone,

     Arcivescovo

Genova, 7 ottobre 2003

Festa della Madonna del Rosario

07-10-2003
condividi su