“Chi ha paura del Vangelo?”

Omelia pronunciata nella Chiesa di S. Caterina nella S. Messa per l'apertura del giubileo per il V centenario della morte del Servo di Dio Ettore Vernazza
27-06-2023

Genova, Chiesa di Santa Caterina, 27.6.2023

Santa Messa in memoria del Servo di Dio Ettore Vernazza

Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

Sono trascorsi cinque secoli da quando Genova vide Ettore Vernazza,  cittadino di cui la Città custodisce la memoria, un  cristiano al quale la Chiesa guarda con ammirazione nella speranza che presto sia  riconosciuto santo dell’universo cattolico.

A ricordare la sua opera  si resta stupefatti: esprime  attenzione alla società del suo tempo, sollecitudine per i più bisognosi, lungimiranza provvidente,  intelligenza e generosità,

Noi  genovesi siamo responsabili di fronte alla storia: egli ha fatto crescere Genova,  è stato missionario  della carità,  ha fatto vedere come si è  cittadini partecipi, e dei credenti veri.

Oggi  sembra che guardare alla storia sia vecchio e inutile, che il nostro tempo abbia perso la memoria, che il mondo cominci con noi. Abbiamo bisogno di figure che ci facciano pensare e  ricordare che il tempo è un grande fiume dove tutti, persone e istituzioni, siamo.

Abbiamo bisogno, per guardare avanti, di fare memoria e di riconoscere che tutti noi camminiamo  sulle spalle di giganti che ci hanno preceduto e insegnato. Per questo Genova è responsabile dei doni che ha ricevuto  affinché non siano oscurati dall’oblio o peggio dalla esibita  sufficienza del presente.

 

  1. Chi ha paura del Vangelo?

 

Forse può apparire una domanda fuori luogo, ma purtroppo è attualissima – diffusa e spesso non detta – in ambienti diversi soprattutto acculturati. Oggi si parla spesso della fede come uno stadio arretrato dell’evoluzione, stadio che si pretende superato solo oggi  nella misura in cui si sposa il secolarismo, che è vivere come se Dio non ci fosse. A volte si pensa che credere in Gesù sia contro il progresso, un  freno alla nostra libertà.

Un certo disinteresse per la verità, ormai sostituita dall’opinione, lo scioglimento delle identità considerate divisive, l’indifferenza verso  la storia considerata superata anziché l’anima del presente, non  sono segno di intelligenza e di sapienza,  né di fede. Provocano  una specie di fastidio verso  il  Cristianesimo visto  come  un corpo estraneo in una realtà che  pretende di essere  tollerante e inclusiva, ma che invece è fortemente selettiva.

Ettore Vernazza testimonia un altro mondo. Il Vangelo, infatti, ha generato duemila anni di bellezza, di cultura, di arte, di civiltà. Ha dato il fondamento della dignità  di ogni essere umano, per cui vale la pena di prendersi cura del corpo e dello spirito, della libertà e del cuore: e ha indicato nella giustizia la  base del diritto. Queste  nobili parole, che oggi si sprecano in tutte le sedi, sono conseguenza del Vangelo di Cristo. Il Cristianesimo non è  lontano ed evanescente, ma concreto come la carne di Cristo, e il Vernazza, discepolo di Gesù, non era fuori dalla storia ma  era lievito della Genova del suo tempo, In questa operosa concretezza troviamo una nota  essenziale che oggi si cerca di tacere  per far credere che la fede estranea dal reale e  frena il progresso. Chi può avere, dunque,  paura del Vangelo?

 

  1. “Amatevi come io vi ho amato”

 

Il comandamento dell’amore appartiene al cuore del Vangelo, ma deve essere inteso alla luce del Vangelo. La lettura fedele ce la offrono  le anime grandi  che – con opere grandi o nel nascondimento delle piccole cose quotidiane – hanno vissuto la legge dell’amore.

Ettore Vernazza non era un filantropo, un esponente dell’attuale umanitarismo declaratorio e normativo. Come i due discepoli del Battista, si era messo a seguire Gesù, lo ha fatto per tutta la vita nelle piccole e nella grandi cose: ha guardato a  Lui Signore e Redentore, e nel suo cuore è esplosa la fantasia del bene come  riflesso della fantasia di Dio-Amore.

Egli ha guardato l’umanità sofferente con gli occhi di Cristo,  ne ha colto risvolti visibili e invisibili, ha precorso secoli, ed ha agito con fiducia e determinazione. Non aveva solo dei beni ma aveva il cuore: la sua anima abitava in Dio e quindi vedeva gli uomini nella loro verità, nel bisogno del pane, della cura del corpo, dell’educazione della mente, della sorprendente delicatezza nell’aiuto offerto senza essere visti (basta pensare alla Compagnia del “Mandiletto”!).

Nel suo operato vi era però una novità rispetto al mondo: egli sapeva che senza il pane l’uomo è povero, ma senza Dio è poverissimo. Sta qui la pienezza della carità evangelica: il desiderio che tutti possano incontrare il volto di Gesù e trovare la gioia che nessun benessere può dare.

Ma c’è anche un’altra differenza, differenza che San Paolo descrive nelle sue lettere: “se anche dessi tutti i miei beni ai  poveri ma non ho la carità, sono un bronzo sonante”, faccio rumore ma non arrivo al cuore dell’uomo. La filantropia risponde lodevolmente a dei bisogni, la carità va oltre e raggiunge quella necessità spesso inconfessata di speranza, di fiducia, di senso, di eterno.

Per questo motivo, volerci bene non è un sussulto di generosità umana, ma è  far  posto in noi a Dio, affinché Egli operi attraverso noi e continui la salvezza nel mondo.

Cari Amici, ringraziamo  Dio  perché ha donato a Genova quest’anima; chiediamo che ci salvi dalla dimenticanza della storia, dalla supponenza. Preghiamo affinché  la Santa Chiesa lo indichi presto alla devozione del popolo, come intercessore ed esempio, come  amico e  compagno  di strada verso il Cielo.

Angelo Card. Bagnasco

Arcivescovo emerito di Genova

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