“Magnificat anima mea Domino”

Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa per i 25 anni di Episcopato
07-02-2023

Genova, 7 Febbraio 2023

25° Anniversario di Ordinazione Episcopale 

OMELIA

“Magnificat anima mea Domino”

Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato

Distinte Autorità

Cari Fratelli e Sorelle nel Signore

Ringrazio Mons. Arcivescovo per il fraterno invito a presiedere la Divina Eucaristia nel 25° anniversario della mia Ordinazione Episcopale. E grazie ai Confratelli Vescovi e sacerdoti e a tutti voi che benevolmente partecipate a questo Giubileo. Ne sono commosso e onorato. Ci sono momenti nei quali si sente il bisogno di ricordare insieme, e insieme ringraziare il Signore, Datore di ogni bene. Nulla, allora è convenzionale, perché si respira stima, affetto e preghiera.

Nominato Vescovo e dovendo scegliere un motto per lo stemma, mi parve che l’imminente passaggio da un millennio all’altro fosse segnato da molte inquietudini. Pensai quindi che il mio servizio episcopale dovesse portare il sigillo della speranza, dell’unica grande speranza senza la quale le speranze umane non hanno fondamento: il Signore Gesù. Fu così che affiorò il motto “Christus spes mea” che, come stella polare insieme a Maria Madre della Speranza, mi avrebbe accompagnato quale guida, e insieme come risposta alla parola affidabile di Cristo: “non temere, io sono con te”.

  1. In quell’attraversamento del millennio, gravido di interrogativi e trepidazioni, si sentivano voci autorevoli che affermavano – quasi monito e profezia – che il nuovo millennio o sarebbe stato “mistico” o non sarebbe stato, e la civiltà si sarebbe ritirata nella nebbia della confusione e dello smarrimento. Il mistico non è un visionario, ma è colui che vede l‘invisibile che ci avvolge e ci sostiene, è colui che, dietro alle cose passeggere, cerca il definitivo. Se il mondo non è capace di vederlo, allora implode perché tutto diventa contingente, non sa più chi è e perché esiste, si disorienta. Non è più in grado di sapere cos’è la vita e la morte, e così il mondo diventa il tutto dell’uomo. Quale inganno e quale delusione!

Solo l’invisibile, infatti, rende sensata la realtà sensibile. Per questo i credenti devono bruciare d’amore per Gesù, affinché il mondo non muoia di freddo. Solamente così la Chiesa è attuale e avanza i tempi: può non essere in pari con le modernità strumentali e le dinamiche organizzative, ma la Chiesa sarà sempre al passo con l’uomo di ogni tempo, perché dal suo Signore ha appreso la conoscenza del cuore umano segnato dal bisogno di infinito, cioè di Dio.

  1. L’uomo è la via della Chiesa, ma non è lui che fa la Chiesa e la modella. Gesù ci chiama alla conversione, ed è questa la nostra vocazione vera: purificare il cuore e volgerlo continuamente verso Cristo, volto del Padre, volto nel quale scopriamo il nostro volto, bellezza e compito. Lontano da quel volto, inseguiamo le nostre idee, le nostre povertà e le nostre ombre, e le erigiamo a verità e modello. In modo significativo, Madre Teresa di Calcutta, alla domanda su quale fosse il problema più grande della Chiesa, rispose: “Il problema più grande siamo io e lei, la nostra conversione!”. I Santi vedono dentro la realtà e lontano, vedono l’essenza delle cose: questa è la sapienza di cui tutti abbiamo bisogno, soprattutto oggi.
  2. In 25 anni di Episcopato, il Signore ha disposto che dovessi allargare l’orizzonte e mi confrontassi con situazioni, culture, religioni e mondi molto diversi: è stato un impegno, ma soprattutto una grande grazia che mi ha provocato, fatto pensare e arricchito. Avrò risposto al meglio a tanta bontà di Dio? Solo Lui lo sa, e questo mi basta per buttarmi tra le sue braccia pasquali.

In qualunque situazione e latitudine mi sono trovato, ho sentito salire – tra innumerevoli voci e con accenti diversi – una medesima domanda, quasi un’invocazione: “ci sarà un futuro di gioia e di pace? Gioia e pace che non riusciamo a costruire con le nostre mani, e che ci spingono a guardare oltre i nostri fragili sforzi, verso il cielo? Ci sarà mai un mondo migliore? Che sarà di noi?”.

Il Vescovo, come buon Pastore, ascolta le voci delle anime che a volte sembrano come pecore disperse e assetate; scorge l’invisibile domanda di Dio, e il suo cuore diventa compassione e parola, annuncio e grazia di Cristo. Ecco il filo che ha attraversato la mia piccola esistenza, il filo luminoso che attraversa la vita di ogni Sacerdote, chiamato in virtù della sacra Ordinazione ad essere Padre e Maestro in una società senza padri, cioè con riferimenti labili e incerti. La paternità sacerdotale, infatti, non è una scelta personale secondo tempi e luoghi, non è facoltativa, la sua radice è sacramentale e quindi è un dono e un compito di cui Dio stesso riveste ogni Pastore per sempre. Certamente costa, poiché generare è gioia e sofferenza, e voi lo sapete bene.

  1. A questo proposito, sale alla memoria del cuore la figura di Paolo VI – il Papa della mia giovinezza sacerdotale – che il Santo Padre Francesco ha canonizzato. Dopo aver condotto in porto il grande Concilio Vaticano II, nel mezzo della contestazione globale del ’68, proclamò in piazza San Pietro il Credo. Era il Credo di sempre, ma più dettagliato ed esplicito per riaffermare davanti al mondo la fede perenne della Chiesa, la bellezza della grande Tradizione che non è una sequenza di abitudini, ma un patrimonio di valori.  Nello stupore universale, quel gesto apparve come uno straordinario atto di libertà, di coraggio, di verità, che restituì forza ai credenti spauriti. Fu un gigantesco atto di fedeltà a Cristo e di amore al mondo, quasi un atto di consapevole martirio.

Cari Fratelli e Amici, grazie perché mi aiutate a lodare il Signore in questa Cattedrale, grembo del mio Sacerdozio per mano del Cardinale Giuseppe Siri, e dell’Episcopato per mano del Cardinale Dionigi Tettamanzi. Guardo il fascino di questo tempio e sento la voce dei secoli, della Repubblica genovese, dei Dogi, degli Arcivescovi. Vedo la presenza del Vescovo Siro, sulla cui cattedra ho avuto l’onore di presiedere invocando il suo coraggio per annunciare la verità di Cristo, e l’amore alla Chiesa per servire la Città. Ma soprattutto sentiamo l’eco del popolo di cui hai raccolto le preghiere, tu o Cattedrale nostra, le speranze e le pene di tanti, ma anche sei testimone del cuore pulsante e nobile della nostra amata Città. Contemplo la bellezza della tua arte ardita e composita: tutto in te parla dell’anima, del cielo, di Dio! Che il nostro popolo non perda mai la fede, e che guardandoti senta l’umile fierezza della propria storia civile e religiosa.

Ora a te Madre e Regina di Genova, che da questo altare volgi su tutti lo sguardo, rinnovo la supplica che 25 anni fa feci come desiderio e preghiera:

“A Te, Vergine Maria, rivolgo la mia invocazione. Qualunque saranno le difficoltà e le gioie, vorrei con Te magnificare il Signore della vita. So che Tu mi indicherai – oggi domani e sempre –  il volto splendente e affascinante del Tuo Figlio Gesù, mia e nostra speranza”. Amen!

Card. Angelo Bagnasco

Arcivescovo emerito di Genova

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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