Arcidiocesi di Genova
Sala Quadrivium 16 marzo 2021
Presentazione del Libro
“Quel prete che viene in azienda”
di Enzo Melillo
- Introduzione
Un cordiale saluto a tutti i partecipanti, Autorità, Relatori, e un grato benvenuto a Don Simone Bruno, Direttore Editoriale delle Edizioni San Paolo. Permettete un fraterno abbraccio all’ Arcivescovo, S.E. Mons. Marco Tasca che ci ospita nella storica sede del Quadrivium. Mi rallegro per questa presentazione, il libro che la Diocesi ha fortemente voluto per fare memoria dell’antico e continuativo legame della Chiesa genovese con il mondo del lavoro, dai difficili esordi agli anni complessi di oggi. E’ un testo scritto dal Dott. Enzo Melillo, noto giornalista della RAI e conduttore del TGR Liguria: lo ringrazio, e ammiro l’attenta documentazione di un pezzo importante della nostra vita, la storia dell’ARMO, Assistenza Religiosa e Morale degli Operai. L’ARMO ha assicurato la presenza rispettosa e convinta della Diocesi nei luoghi dove moltissime persone impegnano tempo ed energie ogni giorno.
Com’è noto, il servizio pastorale di un manipolo di sacerdoti dedicati è stato voluto dal Cardinale Pietro Boetto nel 1943, poi sostenuto con moderna lungimiranza dal Cardinale Giuseppe Siri per 41 anni, e successivamente da tutti gli Arcivescovi fino ad oggi. Inizialmente fu coordinato da Mons. Aurelio Torrazza, e in seguito da Mons. Luigi Molinari qui presente.
- Ricordi personali
Non posso dimenticare la mia prima visita per la Messa di Natale in uno stabilimento genovese nel 2006. Fuori dal capannone c’era un drappello di operai che mi dissero: “Eccellenza, noi non veniamo alla Messa, ma l’aspettiamo per mangiare la focaccia insieme. Le diamo il benvenuto e ci ricordiamo di ciò che il Cardinale Siri fece per noi: le chiediamo di continuare sulla stessa strada”. Penso che questo episodio sia la sintesi di una storia che certamente continuerà come un patrimonio da non disperdere.
Ricordo anche che, nel 1989, davanti alla salma del Cardinale Siri esposta in cattedrale, sfilò una processione continua di persone di ogni provenienza: tra questi, c’erano gruppi di operai con le loro tute da lavoro che – a distanza ravvicinata – si fermavano a lungo, quasi a voler ricambiare con il loro affetto la sua vicinanza di Padre e Pastore, di Vescovo e di concittadino. Quasi a dire nel silenzio: noi ci siamo perché tu ci sei stato sempre vicino. In piedi, con le braccia incrociate, non sapevo se rispondessero al rosaio, ma so che erano lì, quasi a vegliare colui che per tanti anni aveva vegliato su di loro e sulle loro famiglie.
- Mondo e mondi
Il mondo è fatto di mondi, tra questi, vi è quello della famiglia e quello del lavoro. Se questi microcosmi non ci fossero o non funzionassero, il mondo sarebbe invivibile, non più casa ma deserto. Oggi sembra che, in nome della globalizzazione, tutto debba essere uniformato, e tutti debbano piegarsi a stili di vita predeterminati. Ciò pare evidente ancora di più nel lavoro e nel mercato, fino a diventare mercatismo, dove l’anima è il profitto, e il metodo è la concorrenza senza limiti. Il fenomeno della globalizzazione sembra inevitabile, ma l’uomo deve governarlo per non esserne asservito, perché non diventi un’arma in mano ai più forti dimenticando, o peggio sfruttando i più deboli: Popoli, Nazioni, Continenti.
Una buona globalizzazione deve rispettare i Paesi senza colonialismi culturali, senza ricatti, senza piegare brutalmente i sistemi economici, ma cercando di includere regole e valori in una visione compatibile, sostenibile e umana. Il principio della concorrenza ha una sua logica ma deve essere normato: se l’agire economico e finanziario non è guidato da principi morali, sarà inevitabile puntare sulle leggi del mercato, confidando nei meccanismi singolarmente fluttuanti della finanza.
Anche il principio di legalità – assolutamente necessario – da solo non è in grado di affrontare ogni nodo: torna la necessità dell’etica perché cresca non solo il lavoro e l’economia, ma la civiltà. Non tutto ciò che è legale, infatti, è anche morale: il principio di legalità è necessario per l’ordine sociale, il principio etico è necessario per promuovere la persona, e per tale ragione deve ispirare anche il diritto. Da qui nasce una società giusta che assicura ad ogni soggetto – individuale e sociale – spazio, garanzia e sostegno.
Nel contesto globale vedo che molti guardano all’Italia: essa è un grande Paese, e gli italiani sono apprezzati ovunque per intelligenza, genialità, capacità di relazione. Al di là di alcuni stereotipi, che dobbiamo tutti contribuire a sciogliere, all’Italia si guarda con ammirazione. Non è solamente per la sua incomparabile bellezza, ma anche per aver impresso il suo sigillo nella cultura occidentale, e in particolare europea, grazie all’incontro tra il diritto romano e il Cristianesimo, fra Atene, Gerusalemme e Roma. Da nessuno dev’essere considerata, tanto meno ridotta, a shopping conveniente o a utile laboratorio di visioni sociali.
- La fiducia è…
Il lavoratore ha bisogno di portare il pane a casa per la famiglia, di sapersi capace di fare, di sentirsi utile , di partecipare alla vita della società: tutto questo significa realizzare se stesso. Tutto però è più difficile se non percepisce attorno a sé un clima di fiducia: non basta l’efficienza per assicurare il risultato, questo si può raggiungere con la professionalità e il calcolo, ma l’ingrediente più vitale che amalgama è la fiducia tra le persone, sia in linea verticale che orizzontale.
Al riguardo, è illuminante la parabola evangelica del seminatore: il seme è come l’insieme di competenze, capacità, organizzazioni, ma ha bisogno del terreno favorevole per portare frutto. Ora, il buon terreno, l’humus, è la fiducia che si respira nell’ambiente, è la positività interiore, è l’anima del luogo: familiare, lavorativo, sociale, amministrativo e politico, nazionale e internazionale. Quando il seme buono cade nel terreno buono della affidabilità, allora produce il cento per uno a vantaggio di tutti. Per contro, quando si perde la fiducia subentra il sospetto, cova il risentimento, si è demotivati, si spande la competizione arrivista. In tale contesto, neppure la genialità è vincente.
Fiducia è credere che gli altri non ci ingannano. Ad essere affidabili non si impara sui libri ma nella vita, in casa, nel lavoro, si impara quando si sente che gli altri hanno fiducia in noi, quando ognuno è fedele al proprio compito, quando ci si sente parte di un corpo, quando l’affezione all’azienda non è tradita, quando le parole sono vere anche se non tutto può essere propagato. Ciò non significa essere ambigui, approfittarsi della buona fede altrui, non significa mascherare obiettivi di affermazione personale o di speculazione con ragioni umanitarie. Prima o poi tutto viene a galla perché nessuno è al riparo, e allora l’immagine pubblica si smonta ed è difficile recuperare la fiducia e il consenso.
Si può sbagliare ovunque e ad ogni livello nell’esercizio delle proprie responsabilità. Si possono avere comportamenti scorretti, e ciò è grave specie se ha conseguenze su lavoro, persone, enti. Nel caso, non basta dispiacersi, è necessario riparare nel modo migliore e senza ricorrere a sotterfugi o, peggio, screditando coloro che, conoscendo le cose, possono apparire pericolosi! La vera dignità non sta nel ruolo ricoperto, nel potere, nella ricchezza, ma nell’agire retto e affidabile.
Fiducia è avere una sola parola, è poterci contare. Viene in mente il tempo in cui non c’era bisogno di atti scritti, bastava la parola e la stretta di mano. Quanto lontani sono quei giorni! Siamo forse cresciuti in dignità?
Naturalmente, a creare un ambiente sano tutti devono contribuire, dai singoli individui ai raggruppamenti omogenei, sapendo che i corpi intermedi sono necessari per comporre obiettivi ed esigenze che non devono configgere, ma confluire nel bene comune. Ciò specialmente in questo momento in cui si diffondono forme che hanno forti analogie con il lavoro schiavo: cioè massima resa e minima retribuzione senza coperture. In questo contesto, la “rete”dei social amplia la platea del mercato umano e le condizioni al ribasso. Non si può tacere neppure il fatto che, su autorevoli giornali, si è perfino evocata una configurazione giuridica di tali forme, per cui, a fronte del riconoscimento di alcuni diritti, si chiederebbe una generica e preoccupante “disponibilità incondizionata”.
Va altresì ricordato il mondo delle microaziende che scompaiono nel silenzio generale: si legge che nell’anno passato hanno chiuso 35.000 piccole imprese, il che significa almeno 70.000 lavoratori.
- L’opportunità e la sfida tecnologica
Le possibilità delle applicazioni tecnologiche sono sempre più ampie: ricerca, sicurezza, attività, certi lavori pesanti e altro. Nel tempo della pandemia, si rivelano un ausilio provvidenziale. Dobbiamo però considerare queste prospettive con giusto realismo, senza negarne limiti e rischi dal punto di vista antropologico e sociale. Una incondizionata applicazione, infatti, può indurre a stili di vita “felicemente” isolati, può far credere che questo è il futuro globale, senza peraltro considerare campi amplissimi di lavoro dove l’uomo non può essere sostituito nella sua intelligente manualità.
La civiltà non si misura solo con il grado di benessere, con la tecnologia avanzata – tutte cose apprezzabili – ma innanzitutto con la qualità dei rapporti. In nome della dignità si possono compiere crimini rivestiti di pietà, e in nome della ricerca i peggiori esperimenti rivestiti di progresso. La Chiesa non è contro il progresso, e nessuno può negare che la scienza nasce e si diffonde col cristianesimo che annuncia la superiorità dell’ uomo sulla natura, mentre in altre culture veniva ritenuto inferiore, e il cosmo era visto come un luogo abitato da divinità ostili e bizzarre. Così, tra il Medioevo e il Rinascimento, nasce la ricerca scientifica grazie a pionieri spesso ecclesiastici.
Certe rappresentazioni enfatiche sul futuro radioso grazie al progresso delle tecno scienze potrebbero distogliere l’attenzione da problemi non risolvibili sul piano solamente tecnologico, e che chiamano in causa capacità che non si hanno, e responsabilità nostre che non siamo in grado di assumere . Qualcuno addirittura sogna di azzerare l’attività lavorativa perché sostituibile per intero dalla macchina. Avanzare tale ipotesi può apparire “moderno”, ma in realtà è antiumano e antisociale, induce a situazioni di totale condizionamento e solitudine: anziché una comunità di vita, si profila una massa di individui senza relazioni, alla mercé di pochi.
- L’ARMO
Ci si chiederà la pertinenza di queste considerazioni nel nostro incontro: la realtà e la storia dei cappellani del lavoro. La pertinenza è piena, e si pone a livello spirituale e morale, livello che abbraccia tutto l’umano. La presenza riconoscibile del sacerdote nell’’ambiente lavorativo richiama un’altra Presenza, quella di Dio fondamento dell’etica , Orizzonte dell’esistenza, Ragione alta di valori imprescindibili e quindi non negoziabili, che non possono essere oggetto di nessun diritto positivo.
Il sacerdote è come colui che custodisce e coltiva il buon terreno. Il suo esserci discreto, la sua capacità di leale ascolto, la sua parola umana ed evangelica, l’ interesse per i singoli e le famiglie, tutto concorre affinché – come la rugiada e il sole per la terra – il campo del lavoro sia intriso di fiducia e di speranza, di solidarietà, di impegno e di soddisfazione. Tutto fa sì che il terreno non inaridisca o non frani, ma possa accogliere e portare a frutto il buon seme delle competenze, delle capacità, delle sfide e delle prospettive. Ecco la presenza del sacerdote: non gli compete la prima linea, egli ha il dovere pastorale di assicurare le provviste, affinché tutti possano lavorare in un contesto di fiducia, di impegno e di partecipazione.
In forza della fiducia guadagnata sul campo, la Chiesa genovese può guardare all’insieme del lavoro cittadino nell’orizzonte più ampio della Nazione e oltre. Anche su questo versante delicato ed istituzionale, essa non prevarica e non è assente: ha sempre cercato di contribuire senza proclami. Sono cambiati i tempi? Certe innovazioni tecnologiche renderanno superflua la presenza dei Cappellani? Sono certo di no! Tutto può cambiare nel mondo – anche se ritengo che il cambiamento continuo e incondizionato porterà all’implosione – ma il cuore dell’uomo non cambierà nei suoi aneliti: essi non sono frutto di stagioni o di epoche, sono inscritti dalla mano del Creatore. L’essere umano ha infatti bisogno di diventare una cosa sola con se stesso e con gli altri, ha bisogno del grande raccoglimento interiore, della grande felicità. Egli ha fame del grande amore; ha fame di Dio.
E poiché l’uomo è la missione della Chiesa, essa sarà sempre là dove sono gli uomini, non per inseguirli ma per indicare la via di ciò che tutti cerchiamo a volte per sentieri sbagliati.
Nel mondo del lavoro ci sarà sempre la presenza fisica delle persone: la Chiesa non deve precedere i tempi, come potrebbe fare un’azienda, deve piuttosto seguire il Maestro. Guidata dal suo Pastore, la Chiesa genovese continuerà a seguire i passi del Signore accanto agli uomini: dalla terra verso il Cielo, continuerà ad essere presente in ogni ambiente di vita. Grazie.
Cardinale Angelo Bagnasco