Il ritiro di Avvento per il clero si è svolto in presenza in Cattedrale e anche in modalità on line per permettere a quanti più presbiteri di poter partecipare, grazie al gruppo TNN che in questo periodo in particolare assicura davvero un servizio indispensabile per continuare il cammino della Chiesa genovese nonostante le difficoltà dell’emergenza sanitaria. Un momento di preghiera e di condivisione molto partecipato e reso ancora più ricco dalle parole dell’Arcivescovo Mons. Tasca che, all’inizio di questo tempo liturgico forte, ha voluto parlare della fraternità tra i ministri ordinari, in particolare tra i presbiteri offrendo quelli che ha definito ‘pensieri ad alta voce’, senza pretesa di sistematicità o esaustività.
L’unica strada per realizzare un’autentica fraternità sacerdotale è quella evangelica: nella Scrittura, infatti, non ci sono fantasie, ma uomini e donne che si fidano di Dio, non ci sono programmi, ma promesse che Dio realizza. Il compito di ciascuno è riuscire a cogliere queste promesse, facendo fare a Dio tutto il resto. Mons. Tasca ha voluto mettere in guardia dal considerare la fraternità come qualcosa che rientra solo nello stile di vita dei religiosi, perché ognuno deve cercare il proprio modo di condividere valori ed esperienze, la fraternità deve nascere ‘dal basso dell’esperienza’: “Sarei davvero felice – ha detto l’Arcivescovo – se i miei sacerdoti facessero esperienze di fede insieme, perché credo che senza i fratelli di fatto non esista”.
L’Arcivescovo si è quindi soffermato sul momento particolare che la Chiesa sta vivendo, bello e complesso, nel quale le aspettative nei confronti dei pastori e dei sacerdoti sono ancora più alte, con il conseguente rischio di sentirsi inadeguati. La sensazione è di trovarsi in mezzo a due sentimenti contrastanti: l’opportunità che questo tempo offre e la paura di non riuscire a rispondere adeguatamente ai bisogni della gente: “Le aspettative, se assecondate – ha detto ancora Mons. Tasca – uccidono il discernimento”.
Di fronte a tutto questo credo le domande corrette non sono ‘Che cosa dobbiamo fare?’ o ‘Che cosa vogliamo essere?’ Non c’è niente da inventare, infatti, e non bisogna diventare nessuno. Piuttosto la domanda giusta è ‘Di chi siamo?’ “Nella vita cristiana l’appartenenza precede l’identità individuale. Io so chi sono se so di chi sono”.
Il presbitero deve fare attenzione a non cadere nella declinazione edonistica dello stare insieme, vivendo la fraternità cristiana nella logica pasquale di croce e resurrezione, non fermandosi alle ingiustizie subite o al fatto ad esempio di diventare oggetto di invidie ingiustificate.
L’Arcivescovo ha quindi invitato a vivere al meglio il concetto di comunione, tra Dio e le creature che anche in questo caso non è qualcosa che dipende dall’uomo; la comunione è un dono da accogliere: “Cristo ci ha liberato dall’isolamento, noi non creiamo la comunione ma piuttosto la riceviamo; ‘bisogna costruire la comunione’ è ad esempio un’affermazione ambigua. La comunione è il nostro destino, non è in mano nostra”.
Particolarmente suggestivo il riferimento che l’Arcivescovo ha fatto ai cosiddetti ‘demoni doganieri’ di cui parlano vagli antichi padri greci e che, portando con sé atteggiamenti interiori sbagliati, bloccano il frutto dello Spirito in ogni individuo, non producendo una prassi costruttiva. Si tratta di oblio, negligenza e ignoranza con cui ancora oggi quotidianamente bisogna combattere perché non abbiano il sopravvento nella vita e nel servizio agli altri.
L’oblio fa dimenticare la ‘memoria Dei’, nella convinzione di potercela fare da solo, rischiando la superbia e di dimenticare che quello che sono è il frutto di una comunità di credenti di cui ancora oggi ho bisogno. La negligenza nasce invece dalla mancanza di fede nella grandezza delle piccole cose, apre all’accidia spirituale e relazionale. Infine, l’ignoranza fa appiattire solo sul presente, non intercettando la traiettoria degli eventi e chiudendo in una ‘zona di quiete’ da cui non si vuole uscire, non mettendosi mai in discussione.
Ma la verità è che senza un confronto con il fratello si è privati totalmente della possibilità di perdonare e si essere corretti. E allora secondo l’Arcivescovo bisogna seguire tre verbi e tre conseguenti azioni: lasciare, cercare, abbracciare.
Lasciare significa non soltanto rinunciare ai beni materiali, ma soprattutto alle proprie idee e convinzioni per andare incontro all’altro, in un dialogo davvero arricchente. Ma fare un passo indietro sembra essere la cosa più difficile: “Avere ragione sembra essere più importante della relazione con l’altro e questo non va bene – ha detto Mons. Tasca ai suoi sacerdoti -; piuttosto che affermarsi a tutti i costi si tende a svalutare l’altro in modo scorretto”.
Altro verbo fondamentale è cercare, perché è necessario formarsi continuamente amando la solitudine con Dio. Infine, abbracciare: chi ha incontrato la grazia di Dio Padre ha allontanato l’utopia dell’indipendenza, che crea solo problemi.
L’Arcivescovo ha concluso il suo intervento con questa riflessione: “La proposta che ho cercato di farvi oggi è consapevole delle differenze con la vita religiosa; la vita del prete non è una vita in comunità, ma è nella dedizione al popolo santo di Dio. Il prete fa famiglia con il Vescovo e con il presbiterio, nella vita quotidiana fa casa con la gente che gli viene affidata. Non vi propongo quindi di fare i frati! Ma di considerare quanto un presbiterio segnato da un clima fraternamente evangelico possa rendere ancora più bella la nostra chiesa di Genova”.
Laura Ferrero
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