“La santità è appartenere a Dio”

Omelia pronunciata venerdì 1 novembre 2019 in Cattedrale per i Vespri nella solennità di Tutti i Santi
02-11-2019

Arcidiocesi di Genova

Solennità di Tutti i Santi, 1.11.2019

Omelia dei Vespri

“La santità è appartenere a Dio”

 

Nella luce della sera leviamo lo sguardo verso la luminosità dei Santi: sono i nostri amici, ci incoraggiano nella via del bene, ci parlano della vita di grazia, ci indicano il cielo. Anche ora, dall’alto della Cattedrale, si affacciano verso di noi, ci sorridono e dicono a ciascuno: ‘Non avere paura, ce l’abbiamo fatta noi, puoi farcela anche tu’. Sì, essi – fratelli e sorelle di una moltitudine immensa che nessuno può contare – hanno preso sul serio l’amore di Dio, ogni giorno hanno rinnovato l’incanto della fede, la meraviglia di essere amati da Dio nella loro povertà. Dio, per loro, non era scontato, qualcosa di ovvio, a cui abituarsi stancamente. E quanto più cresceva la consapevolezza della loro miseria, altrettanto aumentava la sorpresa di un Dio che si era coinvolto fino al dono della vita. La vita dei Santi a volte è stata straordinaria fino al miracolo, più spesso è stata normale, ordinaria. Essi ci ricordano che non è necessario fare cose grandi, è necessario fare le cose piccole in modo grande, cioè con l’animo grande della fede e dell’amore, giorno dopo giorno, fino alla grande porta del tempo, oltre la quale l’eterno ci attende.

 

La santità è appartenere a Gesù: un’appartenenza da persona a persona, da cuore a cuore. Un’appartenenza che si alimenta nel conoscere il pensiero di Cristo per vivere secondo Cristo.

Oggi il senso di appartenenza è affievolito, anche nella comunità di fede. Sembra che appartenere a qualcuno sia indegno, un legame insopportabile, un attentato alla libertà. Paradossalmente si tende a vivere insieme, ma in modo individuale: la società civile, l’ambiente di lavoro, gli amici, la stessa vita di famiglia, la comunità ecclesiale… Ma, quanto più si afferma uno stile di vita slegato dagli altri, dalla legge di Dio, dalle regole sociali ed etiche, tanto più si tocca con mano che da soli non si è più liberi ma più smarriti e prigionieri del nostro io. Per questo l’uomo moderno ha un crescente bisogno di ritrovarsi insieme, di sentirsi accolto, di vivere in una rete di relazioni che – in quanto tali – chiedono impegno e a volte fatica, ma sono vitali per essere persone umane. Quanto bisogno c’è di riscoprire la bellezza di appartenere a qualcuno: l’uomo non appartiene agli altri come una cosa, ma come una persona che nel rapporto con gli altri non diminuisce se stesso, ma si ritrova perché appartenere significa importare a qualcuno, avere rilievo, non essere invisibili; vuol dire contare, essere nel desiderio buono di altri, nei loro pensieri. Potremmo dire tragicamente che non appartenere a nessuno significa di fatto non esistere.

 

Il credente sa che il suo appartenere al Signore è la salvezza; sa che per questo Dio si è fatto uomo, che per primo si è lasciato appartenere dall’uomo perché l’uomo volesse appartenere a Lui nei legami dell’amore; sa che appartenere a Dio significa vivere di Lui, cioè vivere con Lui.

E’ dentro a questo legame che noi siamo veramente noi stessi, e i Santi hanno giocato la loro storia; fuori da questo vincolo scompariamo agli occhi del mondo e – ciò che è peggio – ai nostri stessi occhi. Diventiamo dei volti di sabbia.

I Santi ci facciano la grazia di voler appartenere a Gesù, di legarci a Lui ogni giorno, per poter vivere con Lui ogni respiro.

Card. Angelo Bagnasco

Arcivescovo Metropolita di Genova

 

 

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