“Ho un grande popolo in questo Continente”

Omelia pronunciata domenica 7 luglio 2019 a Pontremoli per il XXII Columban's Day
09-07-2019
Diocesi di Massa Carrara-Pontremoli
Domenica 7.7.2019
XXII Columban’s Day
OMELIA
“Ho un grande popolo in questo Continente”
 
Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato
Autorità Civili e Militari
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
 
È per me un onore celebrare con voi il XXII Columban’s Day, consolidata iniziativa degli Amici di san Colombano. E’ tanto più significativo in quanto siamo attorno all’altare che è il punto più alto della memoria: davanti a Dio, infatti, il ricordo si fa più luminoso, la sua sorgente più pura, e il fuoco per l’unità spirituale e morale del Continente si partecipa a noi, rinnovando intelligenza, passione e propositi.
Ringrazio per l’invito S.E. Mons. Giovanni Santucci, Pastore di questa Chiesa, e – anche a nome degli Episcopati d’Europa che mi onoro di rappresentare – porgo a tutti un grato saluto, perché tenete la fiaccola di San Colombano, “uno dei Padri dell’Europa”, sogno che da decenni cerca di prendere forma, e che sempre più appare come una strada necessaria per l’ora che stiamo vivendo, ma anche è scritta nella storia del Continente.
Il Vangelo ascoltato è una pagina illuminante ed esigente insieme: accogliamola come un dono.
 
 
1, “Nessuno, che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio”
Mettere mano all’aratro è andare dietro a Gesù non per uno slancio emotivo o per prova, ma sapendo che il Mistero mette in movimento tutto di noi, intelligenza, cuore, anima e corpo; tocca l’intero orizzonte dell’esistenza, non solo quello personale ma anche quello sociale. Egli ci chiede di porre la nostra libertà nella libertà di Dio, il nostro piccolo “io” nell’ “Io” di Dio, scoprendo che se il cuore dell’uomo è sconfinato, il cuore di Dio è infinito; che Dio non è geloso della nostra gioia, né della nostra libertà, ma – piuttosto – ne è il fondamento e il migliore garante.
Avere paura di Dio è superficiale, volerlo estirpare dall’anima è impossibile, pretendere di emarginarlo dalla società civile è miope, perché è privarsi di energie morali storicamente rilevanti. L’apertura alla trascendenza è garanzia indispensabile per la dignità umana, poiché ci sono aneliti profondi che solo in Dio trovano risposta. Una società che non riconosce questo va contro l’uomo, quindi è ingiusta e antiumana. L’Europa ha una storia peculiare che ha elevato ad altezza incomparabile la dignità della persona in qualunque situazione si trovi. Ecco perché il Concilio Vaticano II afferma che “la creatura, senza il Creatore, svanisce” (GS 36), e un pensatore ebreo scrive che “con l’affievolirsi del cristianesimo è diventata problematica anche l’umanità” (Karl Lovith, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi 1994, pag 482).
Cari Amici, abbiamo ricevuto l’inestimabile dono della fede non solo per noi ma per tutti: fra i tutti vi è l’Europa. Essa è stata generata dal Cristianesimo, ci ha generati alla fede, ma ora è lei che ha bisogno di essere rigenerata da noi, dalle comunità cristiane. Siamo debitori al Continente, siamo responsabili della sua missione nel mondo: non si tratta del vecchio eurocentrismo, ma della visione inarrivabile della persona umana che scaturisce dal volto di Gesù Cristo. Potremmo mai volgerci indietro? Potremmo mai abbandonare l’aratro del Vangelo? Potremmo mai arrenderci di fronte allo smarrimento e all’angoscia strisciante di tante generazioni, specialmente di giovani? Dio rispetta la libertà dei suoi figli, ma è ostinato nella pazienza e nel richiamarci con amore a guardarLo di nuovo. Oggi Dio è una presenza non guardata: possiamo forse ritrarci e vivere con la scusa della testimonianza silenziosa?
 
 
2. “La messe è molta, ma gli operai sono pochi”
Hanno ancora senso queste parole? Veramente possiamo dire che la messe è molta se noi tocchiamo l’indifferenza, la distrazione e il disimpegno, l’incomprensione della cultura dominate, del “pensiero unico” – come ricorda Papa Francesco – tanto da pensare alle altre parole del Maestro: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”?
Sì, la messe è molta! Anche in mezzo ai deserti dell’Europa e dell’Occidente, troviamo dei germogli promettenti, germogli piccoli, a volte invisibili, ma tanto più forti quanto più esposti alle intemperie. Non poche coscienze, infatti, si interrogano sulla verità, sulla fede, su un mondo diverso, più solidale e vivibile, più giusto e in pace. Sono anime che si riconoscono non per rinchiudersi, perché hanno paura a vivere, ma per aiutarsi a crescere nella fede, a guardare il mondo con lo sguardo di Cristo e per servirlo con il suo cuore; anime che respirano la liturgia come incontro con il Mistero, vicino ma che non cessa di essere Dio, che è famigliare e amico ma che è anche sempre oltre, e davanti al Quale sentiamo il bisogno di piegare la fronte come liberazione gioiosa da noi stessi e dal male.
San Colombano fu “diffusore intrepido della Confessione”, scriveva il Segretario di Stato nella Lettera del 2015. L’uomo moderno, che conquista le forze della natura e sempre più si sente padrone di se stesso, avverte il bisogno di piegare il ginocchio davanti ad una Presenza che lo supera senza schiacciarlo, che lo trascende e lo eleva: sa che solo da quel Mistero può ascoltare la parola del perdono e della fiducia, che permette di riprendere la vita: una parola che l’uomo sa di non potersi dire da se stesso, e che invoca come un dono dall’alto.
Cari Amici, come non ascoltare anche noi oggi: “Non avere paura, continua a parlare e non tacere, perché io sono conte (…) perché io ho un popolo numeroso in questa città” (Atti 18,10)? Sì, Gesù ha un popolo grande in Europa. Dev’essere risvegliato nelle sue domande, nei suoi aneliti più veri: sotto la crosta della menzogna diffusa, della distrazione strategica, dello stordimento cinico, dobbiamo ridestare l’anima perché si rimetta in piedi nella verità. E’ il tempo del lento risveglio: forse è ancora timido, ma è inarrestabile, poiché lo spirito non può rimanere schiacciato per sempre: “Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore non riposa se non in Te”! Per questo motivo il migliore alleato del Vangelo non sono i nostri programmi, la cultura, le risorse, le organizzazioni; ma l’uomo!
 
3. “Li inviò a due a due”
Ecco il modo, ecco la strada della evangelizzazione: andare non da soli, ma insieme per sostenerci nella fede. La vera sfida non è trovare nuovi metodi o vie o mezzi o linguaggi; la vera sfida è la nostra fede. In qu0esta scommessa ognuno gioca se stesso nell’ a tu per tu con Cristo, ma comunque il Signore manda i discepoli a due a due nel segno della comunione in Lui. La comunione ecclesiale è necessaria perché brilli il volto del Risorto.
Ma che cosa vuol dire in concreto? Vuol dire che dalla comunione nella fede scaturisce la nostra testimonianza, il servizio, la capacità di amare, ma soprattutto nasce la gioia del Vangelo, cioè la gioia di essere cristiani. Forse – più che delle nostre opere – l’uomo moderno ha bisogno di vedere che la gioia vera è ancora possibile, e che essa non dipende dal successo della vita, ma dall’essere amati da Dio. Da questa consapevolezza di fede avanza la luce che dà senso anche alle croci, al sacrificio, al perdersi per amore, alla vita eterna che ci attende. Ricordiamo: solo l’eterno è il senso dell’uomo e del tempo. L’Europa dei mercati e della moneta ha bisogno di ritrovare la sua anima, cioè la gioia del Vangelo.
 
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE)
 
 
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