“Europa: l’attualità di un impegno nuovo”

Discorso pronunciato venerdì 14 giugno 2019 a Caltagirone (CT) al Convegno per il centenario dell'appello di Don Luigi Sturzo
17-06-2019
Diocesi di Caltagirone
Venerdì 14.6.2019
 
“Europa: l’attualità di un impegno nuovo”
 
 
 
 Mi rallegro per il desiderio di ricordare la figura di Don Luigi Sturzo, figlio di questa Terra di Sicilia, a cento anni dall’ “Appello agli uomini liberi e forti”. L’evento di oggi cade in una contingenza che lo rende particolarmente attuale e utile: le recenti elezioni del Parlamento Europeo.
 
1. La coscienza europea
Credo che l’appuntamento elettorale appena concluso possa essere considerato il primo o il secondo che rivesta un significato veramente europeo; sembra cioè che abbia sia andato oltre l’aspetto di test nel confronto politico interno ai singoli Stati. Forse, a causa di fatti nuovi come la Brexit britannica e le spinte centrifughe che sono sorte, ognuno ha improvvisamente avvertito che l’Europa Unita non é qualcosa di lontano, ma che in qualche misura riguarda direttamente ciascuno. Da qui la necessità di prendere posizione: e così è avvenuto. Ne è segno la complessiva e forse inattesa partecipazione. A questo riguardo – pur in mezzo a dubbi, incertezze, delusioni – si è voluto affermare, spero non solo sulla spinta di timori, che bisogna camminare insieme; che il mondo globale lo richiede; che l’interesse di chi ci vuole divisi per mercanteggiare meglio alla lunga non può essere vincente; che l’occidente compatto dovrebbe favorire un’Europa unita in mezzo a giganti vecchi e nuovi, che vorrebbero non la sparizione ma la sudditanza dell’Europa.
L’interessante dibattito storiografico sul tema europeo nei decenni precedenti, non è riuscito ad ispirare la cultura popolare generando una vera coscienza europea, ma è rimasto all’interno di una cerchia elitaria, intellettualmente aristocratica e autoreferenziale. Le politiche nazionali poi – dopo l’entusiasmo degli inizi e nella memoria dei grandi padri ispiratori – si sono preoccupate principalmente di costruire identità ideologiche miranti a raccogliere consensi interni, e spesso hanno dato l’idea che ogni Stato pensasse non al soggetto europeo che ha valore in sé, ma ad un’Europa secondo la propria visione, come se l’elemento decisivo non fosse l’appartenenza al continente, ma la visione nazionale trasferita alla dimensione continentale. In questo orizzonte, è urgente una reale coscienza europea sia a livello delle singole persone che dei singoli Paesi,
E’ vero che le vicende storiche, specialmente del secolo scorso, ancora pesano sull’oggi: è necessario pertanto che ci sia una conversione degli Stati, quasi un liberarsi non della propria storia ma delle aspirazioni che ancora si trascinano dalla storia, e che impediscono di fare un balzo in avanti. Per questo motivo ritengo che la teoria delle “diverse velocità” non sia la strada migliore per camminare insieme: in realtà, misurare il passo gli con gli altri senza presunzione e sinceramente, è certamente più impegnativo e responsabile per tutti, ma fa crescere la cultura della cittadinanza europea.
 
2. La Chiesa crede nell’Europa Unita
I Vescovi europei – che ho l’onore di rappresentare – credono all’Europa Unita e ritengono che nessuno possa seriamente sostenere che – per principio – sia meglio “da soli” che “insieme”: questo principio vale per le persone come per i gruppi, le Nazioni e gli Stati, anche se da ogni parte è stato riconosciuto che il punto centrale non è il “se” ma il “come” camminare insieme.
 
 Romano Guardini, descrivendo l’età della giovinezza, dice che il giovane ha “la sensazione che il mondo gli sia infinitamente dischiuso e che le energie siano illimitate; da qui l’aspettativa che la vita offra doni di portata incalcolabile e la certezza di poter fare grandi cose. E’ un atteggiamento rivolto verso l’infinito, l’infinito di quando non si è ancora provato a iniziare. Questo atteggiamento ha il carattere dell’incondizionato (…). Contemporaneamente, però, manca l’esperienza della realtà. Mancano la conoscenza del reale contesto e la misura di quanto si può fare, di quanto altri possono fare e di quanto può fare l’uomo in quanto tale. Manca la coscienza dell’enorme ostinatezza della realtà e della resistenza che essa oppone alla volontà. Pertanto è molto forte il pericolo di ingannarsi, di scambiare l’assolutezza delle convinzioni con la forza con la quale si possono affermare (…) Manca quell’atteggiamento tanto banale quanto fondamentale per qualsiasi riuscita, che è la pazienza” (Le età della vita, Vita e Pensiero 1993, pagg. 46-47), e io aggiungerei, l’umiltà.
In questa acuta descrizione, mi sembra si possano intravedere alcuni tratti dell’Unione Europea che sta vivendo un’età di passaggio, cioè di crisi. Il pericolo potrebbe essere quello di rifiutare la crisi, tempo di grazia, e di confermarsi con “ostinatezza” nelle proprie visioni giudicando la realtà con sufficienza. Se questo fosse l’atteggiamento, sarebbe a rischio il sogno dei grandi spiriti ai quali dobbiamo l’Europa come destino e come opera. Al giovane, continua il Guardini, “manca la capacità di vedere e di elaborare ciò che ha visto. Pertanto il giovane non può fare a meno dell’esperienza altrui” (cit pag 58).
Se guardiamo il mondo greco, Aristotele ha pensato l’etica come “mesòtes”, cioè come l’arte di tenere il giusto mezzo, e ha raggiunto la “sofrosùnes”, il senno e la moderazione per scendere negli abissi del cuore umano. Ma La Grecia non è riuscita, nonostante tutto, a costruire uno stato unitario, in questo ha fallito. Perché dunque? Perché bisogna entrare con determinazione umile nel progetto della propria vita – singolo, gruppo, popolo o stato – e contemporaneamente utilizzare l’esperienza degli altri con saggezza e umiltà.
La Chiesa confida che l’Europa accolga il tempo di crisi come tempo di grazia, per esaminare il percorso fatto e per ripensare se stessa non innanzitutto come una architettura da applicare, ma come un cammino di popoli. Nella prima prospettiva il rischio è quello di accelerare e imporre, nella seconda può essere quello di una eccessiva lentezza: ma nel primo caso la reazione è il distacco dei popoli da qualcosa che è sentito esterno e lontano, nel secondo il frutto è l’adesione ad un sogno crescente e condiviso che emerge dal mondo interiore degli uomini e delle Nazioni.
 
3. Tre versanti di revisione
A poca distanza dalle elezioni, vediamo un nuovo quadro politico: nuovi soggetti sono entrati a condividere la responsabilità di un cammino unitario. Era prevedibile. Ora la politica deve fare il proprio dovere: il primo dovrebbe essere quello di mettersi al tavolo senza la sindrome del nemico, bensì con la fiducia nelle diversità, quelle differenze che sono tanto esaltate in alcuni campi, ma sono odiate ed emarginate in altri. E’ il solito schema dei due pesi e misure! La politica è l’arte della sintesi alta non della esclusione a priori o del compromesso al ribasso, tanto meno della faziosità: deve partire dalla convinzione sincera che ogni soggetto può portare un frammento di verità, di istanze legittime, di metodi da non escludere a prescindere.
Finora, la scena politica europea sembra impegnata a ridefinire i quadri istituzionali: ma è da ricordare che è il Consiglio d’Europa e il Parlamento che dovranno avere la visione e dare le linee, registrare i tempi, rivedere i metodi. Non si tratta – mi sembra –solo di ridistribuire rapidamente i compiti, ma di ripensare il cammino, e questo può essere fatto poiché non si parte da zero, l’esperienza non è né breve né inconsistente, i popoli hanno già detto molte volte e in molti modi le loro storie, e i Padri hanno consegnato a noi parole e sentimenti chiari e alti entro in quali segnare il cammino dei cittadini europei. La via della comunione e del camminare insieme è la via.
 
Un primo piano di ripensamento, sembra quello dove subito l’attenzione si è applicata: quello dei problemi di ordine economico e finanziario. Legate a questi, si impongono le politiche per la famiglia, il lavoro e la disoccupazione, le migrazioni, la difesa, e altro ancora: l’Europa deve essere “più leggera per essere più efficace.
Un secondo piano, mi sembra quello della purificazione della memoria: se il Continente ha una vocazione unitaria e ricca di storie peculiari, allora bisogna guardare in faccia queste storie che si sono incrociate nei secoli, alleate o scontrate con alterne vicende, basta pensare al secolo scorso. Questa storia complessa dovrebbe essere purificata per non pregiudicare il progetto comune. Pregresse aspirazioni, successi o delusioni, supremazie o annessioni…dovrebbero essere purificate da quel sogno che si chiama Europa Unita. Essa, da quelle vicende, deve trarre insegnamento e direzione, senza rinnovare aspirazioni egemoniche di nessun tipo: precedere nella fila non significa imporre il passo a tutti.
Il terzo piano di riflessione, è quello più profondo e quindi fondativo: è quello che Platone – nella “Repubblica” – chiama “la cura dell’anima”. Ragionando sulla polis greca come un fenomeno alto di democrazia e di convivenza, egli sostiene che ciò è stato possibile fino a quando Atene si è presa cura dell’anima: Secondo Patocka, fu questa la forza spirituale che generò dopo la città-stato e l’impero romano, e in seguito generò l’Europa. Naturalmente questa energia si incontrò con il diritto romano, e il cristianesimo ne fece sintesi con il Vangelo.
Che cosa intendeva Platone con la “cura dell’anima”? Intendeva la ricerca della verità, delle grandi verità che stanno oltre le cose quotidiane e che riguardano l’esistenza umana; le verità che danno senso alla vita personale, che superano la frammentazione, che portano verso un’unità che non omologa ma armonizza. Ora come allora, e come sempre nella storia, l’uomo sente in sé e si pone il problema dell’eternità: esso nasce dalla ineludibile esperienza del limite, della finitezza e della morte, della fragilità metafisica dell’essere che si scontra con l’anelito insopprimibile verso una felicità piena e definitiva. Viene alla memoria quanto scrive Pirandello: “Non possiamo comprendere la vita, se in qualche modo non ci spieghiamo la morte” (Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal). E’ la cura dell’anima che permette al Continente di non essere l’Europa dei mercati e della finanza, ma innanzitutto l’Europa dello spirito. Se nella storia di ieri e di oggi molti popoli hanno potuto resistere in situazioni materiali gravissime, dove mancavano i beni primari insieme alle libertà fondamentali, ciò significa che, al di là del benessere materiale, esiste una energia di tipo immateriale che è la forza dello spirito. E’ questa forza che genera il senso di appartenenza, l’impegno e il sacrificio, in una parola la passione per realizzare qualcosa di alto come un continente unito e solidale.
 
4. Cristianesimo ed Europa
“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della Patria, senza pregiudizi né preconcetti facciamo appello perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà” (Luigi Sturzo, Appello agli uomini liberi e forti, 1919). Sturzo pensava alla “Società delle Nazioni”, che possiamo tradurre anche come Comunità dei Popoli”. E’ una visione alta che – prima che essere organizzativa, esprime l’anima dei popoli, il desiderio – prima che la legittima opportunità – di camminare insieme con quella virtù umana e cristiana che si chiama solidarietà: essa significa portare in solidum la vita, e si declina anche nel principio di sussidiarietà per cui ognuno viene valorizzato ed è fiero non solo di ricevere ma anche di dare il meglio del suo cuore e della sua intelligenza, della sua storia e della sua vita.
Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE)
 
 
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