Omelia dei Vespri di Pasqua 2019

Omelia pronunciata in Cattedrale domenica 21 aprile 2019 nella celebrazione dei Vespri Pontificali di Pasqua
21-04-2019
Arcidiocesi di Genova
Vespri di Pasqua, 21.4.2019
OMELIA
 
 
Cari Fratelli e Sorelle
 
1. Il canto del Vespro conclude il giorno di Pasqua, ma non il gaudio pasquale che durerà per l’intera Ottava. Come alle prime luci dell’alba le donne, trovando il sepolcro vuoto, corsero incredule dagli Apostoli, e quasi con un filo di voce raccontarono quanto avevano visto, così anche noi diciamo l’un l’altro: “Il Signore è risorto”! Le donne del Vangelo sembrano quasi temere il suono delle loro stesse parole, un messaggio incredibile, ma lo loro voce, confermata dai Dodici, ha attraversato i secoli ed è giunta fino a noi, perché anche noi possiamo credere a qualcosa che è impossibile agli uomini: “E’ risorto”! Quel fatto, che hanno raccontato con trepidazione, coi millenni si è fatto evidenza nel cuore dei credenti, tanto da diventare popoli e Nazioni, tanto da ispirare cultura, tanto da dare forma all’arte, da favorire le scienze e il vivere insieme, da consegnare all’umanità un patrimonio di bontà e bellezza. Nessuna ombra, né ieri né oggi, può cancellare la luce: Cristo è risorto e un mondo nuovo è nato.
 
2. L’Europa è stata come il terreno nel quale il seme del Vangelo si è radicato, ed è diventato un albero dai molti rami, dove gli uccelli del cielo hanno potuto trovare ristoro e casa, dove i simboli della fede si sono moltiplicati con straordinaria varietà e magnificenza, destando lo stupore e l’ammirazione del mondo. La storia corre e i cambiamenti incalzano, sapendo però che cambiare non sempre significa migliorare, e che andare avanti non è necessariamente sviluppo e progresso. Il criterio per giudicare questo è il bene dell’uomo, è ciò che corrisponde ai suoi bisogni più profondi, bisogno di vita e amore, di relazioni e libertà, di giustizia e di pace. Per usare i simboli liturgici, di luce e fiamma, cioè di verità e amore.
Non sempre ciò avviene: ci sono momenti nei quali si dimentica da dove si origina la storia universale e quella di ciascuno, si percepiscono i vincoli con Dio, con gli altri, con la storia, come insopportabili limitazioni alla spontaneità individuale. Come il figlio giovane del Vangelo, si diventa insofferenti al Padre che ci ha generati, e alla casa che ci ha custoditi: allora si esce volendo prendere in mano da soli la vita, presi dalla smania di una libertà senza contenuti né limiti, che promette la felicità ma toglie la dignità e la gioia. Si rinnega la casa, la verità è sostituita dall’opinione, e la tradizione è intesa come abitudine.
 
3. Ma i segni della storia restano, a volte guardati con indifferenza, a volte con fastidio. Quando, però, questi simboli si perdono, allora improvvisamente la coscienza si scuote, sente che qualcosa di profondo e di proprio è stato ferito, un nervo che – nonostante tutto – è rimasto scoperto e lo resterà sempre, poiché questi simboli – ancorché disattesi nella pratica – sono lì a ricordare chi siamo e dove stiamo andando. Continuano a parlare anche se non vogliamo ascoltarli.
Di fronte al rogo che ha avvolto la cattedrale di Parigi, il mondo sembra essersi fermato attonito, colpito al cuore. Il Medioevo l’aveva pensata – Notre-Dame – anzi, era nata dalla sua anima e dal suo genio in tutta la sua ardita bellezza, radicata nella terra e svettante verso il cielo, affascinante richiamo alla verità dello spirito, all’identità dell’Europa, oggi infiammata dal rogo, ma povera del fuoco del Vangelo. Potrebbe, il cristianesimo che ha concepito tanta bellezza, essere nemico dell’ uomo? Potrebbe, guardando a Cristo, non avere a cuore l’uomo, non essere lievito di civiltà, dignità, e pace? Nel buio e tra il fumo della cattedrale, abbiamo visto stagliarsi nel presbiterio la croce illuminata dalle fiamme: come non pensare alla potenza simbolica, quasi a un messaggio per il mondo? Non vogliamo fare della retorica né essere visionari, ma come poterci sottrarre alla suggestione delle immagini e degli accadimenti? Essi parlano senza parole. A chi chiede: “che cosa è bruciato nel rogo oltre la cattedrale di Parigi?”, mi viene da rispondere: “Forse è bruciata un po’ di indifferenza”, l’indifferenza a ciò che siamo, a ciò che l’Europa è, alle sue, alle nostre radici cristiane. Puntuale la riflessione di Chesterton: “Il cristianesimo è stato dichiarato morto infinite volte. Ma alla fine è sempre risorto, perché è fondato sulla fede in un Dio che conosce bene la strada per uscire dal sepolcro”!
 Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
 
 
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