In testa al corteo ci sono i bambini. Tanti, tantissimi, per un grigio pomeriggio del primo gennaio. Alcuni vengono da lontano: dal campo rom di via Adamoli, dalle periferie del Cep, di Begato.
I volti svegli, vivaci, lasciano intuire vite non sempre facili, ma quando urlano “ora è il momento della pace” non sembrano solo un'aggiunta coreografica. Alcuni parlano di Malala, la ragazzina pakistana che ha sfidato il terrorismo, come di “un mito” e si capisce che per molti di loro la pace non è solo un'affermazione ideale e astratta, ma un bisogno, un desiderio o, come dicono alcuni “un sogno”.
La manifestazione cittadina per la Giornata mondiale della Pace, il primo gennaio, come ogni anno – e forse, più delle scorse edizioni – stupisce per il suo successo. Mentre Genova, ancora sonnolenta, sembra faticare a smaltire i postumi dei festeggiamenti del Capodanno, almeno duemila persone, bambini, giovani, adulti, anziani, di ogni provenienza nazionale, si sono raccolti nella basilica dell'Annunziata per ascoltare il commento del cardinale Angelo Bagnasco al messaggio di papa Francesco, e poi hanno marciato fino a piazza San Lorenzo, portando per le vie del centro antico i nomi dei paesi in cui oggi sono in corso violenze: Siria, Casamance, Mindanao.
È questo “quel popolo cristiano che – come ha affermato il Cardinale – istintivamente rifiuta la cultura dello scarto, l'ideologia consumista che porta a considerare gli altri come solo come un limite al proprio io e non come una ricchezza ed una salvezza”.
La Marcia “Pace in tutte le terre” ha attraversato questa mattina il centro di Roma. Al momento dell'avvio (a Castel Sant'Angelo) il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, ha ricordato che “la guerra è madre di tutte le povertà” e che “100 anni fa in Europa scoppiava la prima guerra mondiale: un anniversario che ci fa riflettere su cosa sia il nostro Continente”.
“Il Papa – ha concluso – ci ha detto che la pace e la fraternità sono un destino comune e allora scambiamoci un abbraccio di pace e diciamo: 'Mai più la guerra!'”.
Numerosi cartelli portati in piazza San Pietro proclamavano: “Pace in Siria” e “La guerra è la madre di tutte le povertà”. Al termine dell'Angelus del primo gennaio, papa Francesco ha salutato “con gratitudine le tante iniziative di preghiera e impegno per la pace che si svolgono in ogni parte del mondo in occasione della Giornata Mondiale della Pace”.
Poi ha guardato la piazza, gremita da oltre 100mila fedeli: “saluto i partecipanti alla manifestazione “Pace in tutte le terre”, promossa a Roma e in molti Paesi dalla Comunità di Sant'Egidio: siete tanti!”.
A Genova, di fronte all'Arcivescovo, sfilano testimoni di un quotidiano lavoro per la pace: c'è Giorgio, giovane ricercatore universitario, padre di due figli, che racconta le angosce e le speranze della generazione che per prima ha conosciuto le conseguenze della crisi. C'è Corina, che viene dalla Romania, dove il nemico è la povertà, ma in Italia non ha trovato solo un lavoro: “la mia classe, alla scuola di italiano di Sant'Egidio, è variegata e multiculturale.
Insieme non solo studiamo ma abbiamo pregato per le Filippine colpite dal tifone, ricordato i migranti morti a Lampedusa, visitato le detenute del carcere di Pontedecimo”.
E poi c'è Francesca, che ha 21 anni e racconta del suo impegno accanto ai bambini della Scuola della Pace, nel Centro Storico: “mi sono accostata con semplicità a questi bambini – spiega – ed ho scoperto che educare non è trasmettere contenuti o nozioni ma camminare insieme e farsi carico. Ho scoperto la domanda di Dio che a tutti chiede: “dov'è tuo fratello?””.
Fuori dalla chiesa si avvicina Wahid, 18 anni, fuggito dall'Afghanistan.
Lui sa che cosa sono le bombe: “la guerra dei talebani non la ricordo bene, perché ero troppo piccolo, mentre ho conosciuto quella degli americani. La guerra dei russi invece me la hanno raccontata i miei genitori”.
Per lui, che conosce la paura e ha visto la morte, la pace è veramente il sogno più dolce.
Sergio Casali